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"Garfagnana Terra Unica, quelli del palco... Grazie a tutti"
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa lettera di ringraziamento di Carlos Alfredo Bartolomei, direttore artistico dell'edizione 2024 di “Garfagnana Terra Única”, rivolta a tutti coloro che sono saliti sul palco dell'area spettacoli
Come e perché fare testamento solidale
Esistono donazioni da poter fare nel presente e donazioni che valgono invece per il futuro. É il caso del testamento solidale, conosciuto…
Itinerari subacquei all'Isola d'Elba: dove e quando fare immersioni indimenticabili
L’Isola d’Elba è una delle perle dell’Arcipelago Toscano, famosa per le sue spiagge, i borghi storici e la sua natura incontaminata
Un nuovo rischio online: le bot farm
Ogni strumento, anche il più innocuo che possa essere stato creato, può rivelarsi dannoso se utilizzato in maniera impropria. E nello sconfinato mondo online questo genere di rischio è sempre all’ordine del giorno
La Juventus di Thiago Motta può tenere testa all’Inter di Simone Inzaghi?
Siamo soltanto alla terza giornata di Serie A, eppure già ci si interroga su quale squadra sarà la vincitrice del tricolore 2024-2025. Se il…
"Chiusa la scuola di Fabbriche di Vallico, tutta colpa di Giannini"
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa lettera inviataci da un gruppo di residenti sulla chiusura della scuola di Fabbriche di Vallico: Arrivati all' nizio dell' anno scolastico è…
Andrea Campani va in pensione: "Un saluto alla scuola al... rovescio"
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa lettera di Andrea Campani che dal 31 agosto è andato in pensione dopo aver trascorso gli ultimi sette anni della sua carriera come assistente amministrativo addetto alla didattica presso il Comprensivo di Borgo a Mozzano
I giochi in Toscana, fra tradizione e modernità
La Toscana è una delle regioni italiane più apprezzate a livello internazionale; non è un caso che in ogni periodo dell’anno, anche nei mesi più freddi, venga presa d’assalto da…
Convegno su San Pellegrino in Alpe: digitalizzazione e accessibilità dei documenti storici
La conservazione e la valorizzazione del patrimonio storico sono temi di grande rilevanza in Italia. Recentemente, si è tenuto un convegno a…
Navigare nel mercato del lavoro nella Valle del Serchio: opportunità e crescita professionale
La Valle del Serchio, incastonata nel cuore della Toscana, non è solo una regione ricca di bellezze naturali e patrimonio culturale, ma anche un fiorente centro…
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Lo scontro tra i cosiddetti “ambientalisti” e gli imprenditori ed i lavoratori delle cave (ma anche dell’indotto) è la conseguenza diretta di una scelta ideologica che definire sconsiderata è il minimo.
Non si parla, da parte di “Apuane libere” delle offese intollerabili diffuse sui social in nome del “chiudiamo le cave”. Loro hanno – ovviamente – ragione, tutti gli altri inevitabilmente hanno torto. Chi vive con il marmo è un distruttore della natura, un attentatore alla bellezza di luoghi incontaminati, un rapace profittatore, insomma un ladro, senza tanti giri di parole. Questo non è vero, ovviamente. Ma se ripetete una frase mille volte, alla fine diventerà la verità. Non occorre che sia vero. Oggi siamo tutti convinti ecologisti (salvo poi utilizzare i cellulari, i media, le lavatrici, i frigoriferi, i televisori, le batterie eccetera eccetera) ma abbiamo bisogno di un nemico per farci sentire. Allora crocifiggiamo qualcuno senza una ragione vera. Ci serve per far vedere quanto siamo intelligenti, rispettosi della natura, in prima linea contro i vampiri. Nessuno vuol vietare il libero pensiero. Semmai sono questi finti ecologisti che negano persino l’ascolto delle ragioni di chi col marmo ci vive. Dei Pasdaran della purezza ecologica. Centinaia di famiglie vivono grazie a questa storica attività, che non è anarchica, ma regolamentata da leggi molto stringenti e severe, specialmente in Toscana. Lo sanno che c’è una cava antichissima, nel cuore del Parco Nazionale dello Stelvio, alla quale sono stati rinnovati dalla regione Trentino-Alto Adige i permessi di escavazione ancora oggi senza grossi problemi? Certamente gli altoatesini non sono dei “nemici dell’ambiente”. Ma in Alto Adige la montagna è piena di alberghi, di strutture ricettive, di strade ben costruite, i boschi sono mantenuti in condizioni ottimali, esiste collaborazione tra Parco e popolazioni con le loro attività che convivono senza problemi da tempo immemorabile. Lì si vive della montagna e con la montagna, senza pregiudizi di nessun genere. Qua ci lamentiamo dello spopolamento dei paesi montani, ignorando le enormi difficoltà per riuscire a viverci, modificare una abitazione, a costruire una via d’accesso, a mantenere il bosco pulito. Da noi pensiamo che la natura vada lasciata libera di fare come vuole, senza interferenze. Dimenticando che è da sempre l’uomo per sopravvivere modifica l’ambiente. Non tenere conto dell’assoluta importanza sia economica che culturale del settore lapideo indica una ignoranza colossale. Non citiamo il “solito” Michelangelo (qualcuno lo ha definito “roba vecchia”) al quale principalmente si deve l’espansione di questo lavoro. O la famiglia dei Medici, che hanno utilizzato i materiali delle Apuane nei loro palazzi, nelle loro residenze. Il marmo è un prodotto naturale, duraturo, ideale per la decorazione delle abitazioni. Ma vi sembra sensato cancellare un percorso di conoscenza che porta dal Rinascimento fino ad oggi? Cammino disseminato di sforzi, di buona volontà, di lotta con la natura ma sempre rispettandola (basta chiedere ai vecchi cavatori sulla loro attività per capirlo). Non ci sono banditi né ladri, anche se identificare gli imprenditori come banditi fa parte di una cultura anti aziendalista imbevuta di luoghi comuni che tende sempre a vedere ovunque complotti ed è sempre serpeggiata in certi ambienti. Da un lato vogliamo essere una nazione che esporta, un Paese manifatturiero, dall’altro odiamo chiunque riesca a vivere fondando una azienda, rischiando quello che possiede per costruire lavoro, e quindi ricchezza. Che è ricchezza di tutti, non di pochi fortunati. E non abbiamo grandi gruppi industriali. Il 90% delle aziende è di dimensioni piccolissime o piccole. I dipendenti sono attaccati all’azienda e la vivono come fosse di loro proprietà. Questa attività è quella che ha fatto conoscere la Toscana, la Versilia nel mondo intero. Un sasso è solo un sasso, ma se trasformato utilizzando conoscenze maturate nei secoli può diventare un capolavoro, può rivelare la sua anima.
L’intolleranza non porta da nessuna parte. Arrivare a definire la CGIL come “serva dei padroni”, con un linguaggio piuttosto antico è la spia di un ragionamento totalmente errato. La CGIL ha a cuore la difesa del comparto lapideo, così come gli imprenditori. Non è una colpa, ma un merito. Sparare a zero su di noi in fondo è facile, ma non è facile farci fuori come qualcuno sogna. Sappiamo di utilizzare una risorsa finita (anche il silicio, anche il cobalto o il palladio o il coltan lo sono, ma dato che servono per telefonini e batterie non ha molta importanza la loro estrazione, o dovremmo rinunciare all’auto elettrica, veramente ecologica…) e la rispettiamo profondamente. Pensare di essere i soli dalla parte della ragione non fa parte della democrazia. Discuterne? Benissimo, ma non con il presupposto di “chiudiamo tutto”. Altrimenti non esiste possibilità di dialogo. Anche se forse non è il dialogo che si vuole, dato che la ragione è solo una e dato che imprenditori e lavoratori di questo settore sono soltanto avvoltoi senza scrupoli. Occorre rispetto per le comunità che abitano le nostre montagne, che lavorano duramente e che stranamente non sono felici di sentirsi definire rapaci distruttori dell’ambiente. Rispetto per chi lavora. Solo allora si può chiedere di poter esprimere una posizione diversa, ma che deve necessariamente tenere conto della realtà.
Lucca, 5 luglio 2021
Daniele Cardini
Portavoce Cna Marmo provincia di Lucca
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È con grande piacere che per celebrare Napoleone Bonaparte nel bicentenario della morte inizio questa entusiasmante rubrica Passioni napoleoniche e ringrazio Aldo Grandi, direttore di La Gazzetta di Lucca, per questa opportunità.
Entusiasmante, ma non certo facile, raccontare le gesta di un personaggio il cui solo pronunciare il nome evoca in me l’immensità dell’oceano e tradurre questa infinita grandezza in una rubrica.
Napoleone è stato un personaggio le cui gesta sono di tale grandezza che qualsiasi pensiero o scritto riferito alle sue vicende non troverà mai un punto fermo di certezza che lo possa collocare, definire o interpretare secondo un pensiero unico precostituito. L’intera vita di Napoleone è decisa da uno strano destino intrecciato a tre isole, Corsica, Elba e Sant’Elena.
Nato ad Ajaccio, in Corsica, il 15 agosto 1769 l’imperatore si spense il 5 maggio 1821 in un luogo sperduto dell’Oceano Atlantico, uno dei luoghi più inaccessibili al mondo, l’isola di Sant’Elena, dopo una vita intensa, straordinariamente ricca di eventi e non priva di qualche contraddizione, che lo vide essere condottiero militare, generale, primo console ed imperatore dei francesi oltreché promotore di grandi riforme economiche, sociali, giuridiche ed artistiche con la creazione di un vero e proprio nuovo stile artistico che nella scia del Neoclassicismo settecentesco prenderà il nome di Stile Impero legandosi eternamente alla sua figura.
Napoleone che lo si ami e al contrario lo si odi è uno degli uomini più famosi della Storia ed ha creato intorno a sé una leggenda che il suo “Memoriale” ha reso un immortale, un Mito.
La costruzione di un mito che resti intatto nei secoli nella memoria collettiva passa sia attraverso grandi eventi storici sia tramite l’uso dei simboli, in alcuni casi semplicissimi, che compenetrino in modo cosi profondo la figura storica da renderla immediatamente riconoscibile in qualsiasi contesto.
Nel caso di Napoleone Bonaparte il simbolo che ancora lo incarna nella memoria collettiva è senza dubbio il suo cappello, sempre indossato, non en colonne come gli ufficiali, con un corno davanti ed uno dietro, ma en bataille con i due corni paralleli alla linea della spalla, per renderlo immediatamente riconoscibile ai suoi uomini sul teatro di guerra.
Durante il periodo del consolato Napoleone cominciò ad utilizzare il cappello entrato poi nell’immaginario comune.
Si tratta del modello detto petit chapeau, realizzato in feltro di pelliccia di castoro, caratterizzato dal colore scuro, o nero o grigio, e dalla forma semplice, decorato da una piccola coccarda tricolore fermata da un anello di seta chiuso da un bottone.
La prima attestazione di questa nuova mise è in un disegno, conservato presso il Castello della Malmaison, del pittore francese Jean Baptiste Isabey (Nancy, 1767 – Parigi, 1855) che rappresenta il primo console con la divisa delle guardie consolari proprio nei giardini dello stesso castello. Di questo cappello si conserva un esemplare presso il Museo de l’Armée – Invalides di Parigi, databile al periodo del consolato (1799-1800), lungo 43 cm da un estremo all’altro del copricapo ed alto 13 cm nella parte anteriore e 16 cm in quella posteriore, con un diametro di 18 cm. La datazione al periodo del consolato è stata attribuita grazie alla presenza all’interno dell’oggetto del marchio di fabbrica di Paupard, «Au temple du goût. Poupard, Marchand Chapelier Gallonier. Palais Egalité n. 32. A Paris». Tale marchio non fu più apposto ai cappelli consegnati al sovrano dopo la proclamazione della Francia ad impero nel 1804.
Dal 1804 il chapeau français fu l’unico cappello adottato da Napoleone ed insieme alla rendigote grigia divenne uno degli attributi maggiormente conosciuti dal grande pubblico. Le fonti continuano ad attestare come unico fornitore ufficiale dei cappelli di Napoleone il parigino Poupard che, secondo la commissione ottenuta, doveva consegnare quattro cappelli l’anno in castoro nero, senza decorazione, se non una coccarda tricolore infilata in un anello di seta nero con bottone di analoga fattura, per un prezzo di 48 franchi ciascuno, poi innalzato a 60 franchi. Le dimensioni variavano da 41 a 47 cm da un estremo all’altro del copricapo, e da 24 a 26 cm nella sua massima altezza. Dei cappelli del periodo imperiale se ne conservano due bellissimi esemplari presso il Museo de l’Armée Invalides di Parigi di cui uno fu il cappello utilizzato da Napoleone durante il suo esilio sull’isola di Sant’Elena.
Oggi si stima che Napoleone abbia utilizzato dal 1800 sino al 1821, anno della sua morte, circa 160 bicorni ed attualmente se ne conservano 30 che risultano legati attraverso la documentazione Bonaparte.