Lo spettacolo di ieri sera, al Teatro Alfieri, è stato grandioso.
Iniziamo con tessere le lodi di Ottavia Piccolo, questa donna - una "gigantessa" di 75 anni compiuti - che racconta la vicenda relativa al delitto di Giacomo Matteotti in modo incredibilmente serio, lucido, pulito, con il pubblico praticamente ipnotizzato. Tutto il suo monologo è sapientemente interrotto dalla musica bellissima e suggestiva di Enrico Fink eseguita dei Solisti dell'Orchestra Multietnica di Arezzo (con Massimiliano Dragoni hammer dulcimer, percussioni, Luca Roccia Baldini basso, Massimo Ferri chitarra, Gianni Micheli clarinetto basso, Mariel Tahiraj violino e Enrico Fink flauto, ewi, oltre che autore).
Il testo è di Stefano Massini, che abbiamo imparato a conoscere con i suoi monologhi, e, in autunno, con il programma su Rai Tre "Riserva indiana"; già lo avevo citato, perché è un autore che ha vinto, nel 2022, ben cinque Tony Award con lo spettacolo "Lehman Trilogy" a Broadway.
La vicenda del delitto Matteotti l'ho approfondita, posso dire, da poco: infatti, visto che lo scorso anno ricorrevano i 100 anni dal suo omicidio, ho cominciato ad ascoltare e a leggere di più su questa storia. Certo, sono stata aiutata da Alessandro Barbero (il suo racconto del delitto Matteoti lo trovate in Youtube, se volete approfondire) e poi, certamente, da Scurati con i suoi libri su "M" e le sue interviste, ma anche la serie tv tratta dalle sue opere letterarie.
Il racconto di Ottavia inizia e finisce alle quattro e mezza del pomeriggio del 10 giugno 1924 in una via lungotevere a Roma, quando Matteotti fu fatto salire su un'auto nera, quella della "gente ricca", per poi scomparire. Scopriremo che fu ucciso subito, da quelli che erano amici intimi di Mussolini.
Piccolo ripercorre la vicenda di Matteotti, che veniva dal Polesine e seguiva le proteste dei braccianti agricoli. Già in quel contesto rurale, cercava di trovare per loro condizioni lavorative migliori. Quindi si arriva al suo discorso in parlamento, pochi giorni prima del 10 giugno dove seppe comprendere il fascismo in tutta la sua estrema gravità - a differenza di molti che non videro o non vollero vedere. Per questo fu ucciso: "Io denuncio la manovra politica con cui si è spacciata l'eversione più radicale camuffandola nel suo esatto opposto, ovverosia nella garanzia dell'ordine. Io denuncio il sistematico uso della forza, la riduzione al silenzio delle voci dissenzienti. Io denuncio all'Italia e al mondo intero che un mostro chiamato fascismo ogni giorno diventa più potente proprio grazie al silenzioso assenso di chi lo svaluta, lo legittima e non lo combatte!"
Ottavia e Massini ci raccontano che lì, nel Polesine, lo chiamavano 'Tempesta' perché era uno fumino, uno che si scaldava facilmente. Particolarmente toccante e suggestivo è il racconto dell'incontro tra la vedova di Matteotti e il duce.
La scenografia è scarna, ci sono solo dei parallelepipedi grigi dove Ottavia e i musicisti salgono per recitare e suonare. Dietro di loro, uno schermo gigante dove compaiono delle immagini sfumate di Roma o del Polesine, con in sovraimpressione diverse parole chiave a tutto scermo, come "la parola" o "Gente", che sottolineano le fasi del racconto.
Alla fine Ottovia ringrazia e tesse le lodi del nostro teatro, dove racconta di essere già stata con "Casa di Bambola" alcuni anni fa e io c'ero. Questa è solo una pillolina di "Matteotti (anatomia di un fascismo)", uno spettacolo da vedere assolutamente.
Seguitemi nella mia rubrica "Il teatro è servito", ovviamente insieme a tutto quanto fa spettacolo!