Ci sono storie che si leggono. E altre che si attraversano. Poi ci sono quelle che non si vedono, ma si sentono: come un respiro antico che abita i luoghi e li trasforma. Castelnuovo di Garfagnana è uno di questi luoghi.
Un borgo dove il visibile e l'invisibile si incontrano con la naturalezza del tempo che passa, ma non svanisce. A unirli è un filo sottile, mai dichiarato, che lega tre figure inaspettate: Giambattista d'Este, Orlando Furioso e Filippo, protagonista della tragedia alfieriana.
Tre personaggi distanti, appartenenti a mondi diversi — religioso, cavalleresco, politico — eppure accomunati da un'unica tensione: la perdita che genera trasformazione.
Il Duca Frate, dopo la morte della moglie, abbandona la corte e si fa francescano, trovando proprio a Castelnuovo il suo luogo di silenzio e rinascita.
Orlando, creatura di Ariosto, perde il senno per amore e attraversa un vuoto esistenziale da cui rinasce diverso — e proprio Ariosto viene inviato a Castelnuovo da Alfonso I d'Este,bisnonno del duca frate in un legame sotterraneo tra l'autore, il personaggio e il luogo.
Infine Filippo, ispirato a Filippo II di Spagna, è parente della moglie del Duca Frate, Isabella di Savoia. Anche lui è un uomo che si consuma nel sospetto e nella solitudine del potere. Non si redime, ma la sua tragedia lo rende specchio della fragilità umana.
E Castelnuovo è il palcoscenico invisibile di questa rigenerazione. Qui non ci sono statue, né grandi musei: ci sono chiostri, strade, silenzi che parlano al viaggiatore attento in cerca di autenticità lontani dal frastuono della quotidianità e dalla movida.