Il pub - abbreviazione di “Public house” - non è solo un posto dove bere: è la seconda casa, la prima terapia e, a tratti, una chiesa laica dove si venera la pinta e si confessa l’anima… tra una birra e l’altra.
Non ci crederete, o meglio, lo pensate ed ora ve lo confermo: il pub è un’istituzione nazionale. È la versione britannica del salotto buono, della messa della domenica e del confessionale, tutto insieme. Ci si va per festeggiare, per dimenticare, per tifare, per flirtare, per trovare un amore (o almeno provarci) e ovviamente… per bere. Tanto. Con metodo e dedizione.
Gli inglesi, gli scozzesi e gli irlandesi hanno un talento speciale: riescono a bere sei pinte e conversare con compostezza. Almeno fino alle 18. Dopo, comincia il delirio: karaoke improvvisati, dichiarazioni d’amore a semafori spenti, risse verbali con panchine pubbliche. Eppure, alle 21... sono a letto. Vestiti. Con le scarpe. E a volte con il cappello natalizio, anche se è luglio.
E attenzione, perché in questa terra bagnata dal tè e dalla pioggia, il pub è anche campo di battaglia nazionale. La vera classifica della resistenza alcolica? Eccola qui, basata su attenta osservazione sul campo (e qualche ricordo personale):
Al primo posto troviamo gli Scozzesi. Il whisky scorre come fosse succo di frutta e ti guardano male se chiedi l’acqua. Non tremano mai. E io ne ho avuto la conferma anni fa, assistendo alla loro resistenza dal vivo. Barga, la mia ultima tana prima di Londra, è gemellata con Glasgow e East Lothian, e ogni anno ospita lo Scottish Weekend: cornamuse, kilt, danze e… whisky, naturalmente. Un intero fine settimana dove si scopre quanto sia profonda la connessione tra le nostre due culture — e quanto sia profonda anche la loro resistenza alcolica.
Proseguendo al secondo posto troviamo gli Irlandesi: cuore caldo e fegato d’acciaio. Dopo tre Guinness ti raccontano la loro vita intera con una poesia. Infine terzi (ma solo per quantità, non per impegno) gli Inglesi: iniziano fortissimo, danno tutto entro le 18… si sbronzano in tempo record e alle 21 sono già a letto.
Però attenzione: alle 8 del mattino dopo, sono in piedi, in giacca e cravatta, pettinati, con il caffè (americano, tristemente), e in perfetto orario in ufficio. Ma li hai visti la sera prima e sai. Tu sai!
Poi c’è il pub quiz, sport nazionale più sentito del cricket. Domande folli tipo: “Qual era il secondo nome del cane della Regina Vittoria?” oppure “Qual è il nome del quarto Spice Boy apparso in un episodio di Doctor Who?” E tu, che ti senti anche abbastanza colta, non hai idea. Loro invece rispondono d’un fiato, sembrano sobri con in mano la settima birra. O almeno sembrano sobri. Ma forse è solo allenamento. Io ancora non ho capito se li invidio o se dovrei farmi una tisana e dormire.
Io, in tutto questo? Non sono una bevitrice. Mi concedo una mezza pinta ogni tanto, giusto per partecipare al rito collettivo e osservare da vicino questa meravigliosa follia anglosassone. Eppure una volta mi è capitato qualcosa che in Italia, sinceramente, non avevo mai visto: un matrimonio celebrato dentro un pub. Sì, proprio così. Damigelle, fiori, abiti eleganti, e pinte di birra al posto del prosecco. Tutto perfettamente normale, qui. Anzi, direi anche romantico, a modo loro. E io, toscana fino al midollo, per un attimo ho pensato: un matrimonio in un pub? A noi ci pigliano pe' matti se lo facciamo, ma qui l'è normale! Ti sposi, fai il brindisi, e se la va male... sei già nel posto giusto pe' dimenticartelo!
Li prendo in giro, sì. Ma poi mi ritrovo anche io con il bollitore sempre pronto e il cappello di carta a Natale. Forse è questo il bello: imparare a ridere delle stranezze altrui, e anche delle nostre. Perché in fondo, pure noi toscani abbiamo i nostri riti… tipo discutere per ore se la ribollita va fatta con la verza o col cavolo nero.
Alla prossima tazza di tè…o (pinta di birra) con un brindisi ideale tra kilt scozzesi, mezze pinte e cuore toscano.
Lovely to see you!
T&R