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C'è un pezzo della Valle del Serchio nella nascita del movimento politico Il mondo al contrario a Marina di Grosseto con Roberto Vannacci
Loreno Bertolacci, Ferruccio Pera, Alessandro Marovelli, Yamila Bertieri, Annamaria Frigo: sono solo alcuni simpatizzanti e iscritti al comitato culturale Il mondo al contrario che, da oggi a Marina di Grosseto, scende in pista nell'agone politico nazionale. Potevano mancare le Gazzette? No che non potevano e in tempo reale ecco il primo reportage
Parlamento Europeo di Bruxelles: viaggio col generale Roberto Vannacci nel cuore della politica del vecchio continente
Bruxelles, capitale del Belgio e sede istituzionale dell'Unione Europea, accogliendo ogni anno, oltre a parlamentari e funzionari a vari livelli, migliaia di visitatori desiderosi come noi di esplorare il Parlamento Europeo per scoprire dinamiche spesso sconosciute e avere una migliore visione del lavoro che viene svolto al suo interno
Yamila Bertieri e Loreno Bertolacci a Bruxelles con Roberto Vannacci e non solo... Ecco (alcuni) dei tanti amici del generale
Dopo il volo Pisa-Bruxelles e una sosta in hotel e, poi, in centro, una fermata ad uno dei più famosi locali della città, l'ex birrificio The Beer Factory in piazza Lussemburgo. Oggi la visita al Parlamento Europeo
Elezioni ordinistiche per il quadriennio 2025-2028
Sabato 23, domenica 24 e lunedì 25 novembre (sempre dalle 9 alle 19) si terranno le…
Lo champagne della famiglia Signorini dalla Francia ai Caraibi nella splendida isola di Barth
Ci sono isole da sogno che per essere raggiunte necessitano non solo di molte ore di viaggio in aereo, ma anche di un cospicuo bagaglio in euro se…
Il teatro per grandi e piccoli con "Matilde di Canossa, la donna che sfidò il suo tempo" a Barga e "Amerigo, il topolino che scoprì il mondo" a Borgo a Mozzano
Il teatro per grandi e piccoli in due appuntamenti a Barga e Borgo a Mozzano, sabato 16 novembre per il del terzo festival "I Musei del Sorriso", organizzato dal…
Una donna straordinaria, uno spettacolo per tutti. Sono aperte le prenotazioni per lo spettacolo "Matilde di Canossa, la donna che sfidò il suo tempo"
Ancora posti disponibili per assistere gratuitamente all'anteprima dello spettacolo "Matilde di Canossa, la donna che sfidò il suo tempo" nel calendario di questa settimana del terzo festival "I Musei del…
Consegnati il Premio Enzo Pedreschi e il Premio speciale alla memoria di Andrea Bertucci
Nell’ambito della cerimonia di apertura di “Garfagnana Terra Unica” alla tensostruttura di Castelnuovo, sono stati consegnati due importanti premi, il Premio Enzo Pedreschi e il Premio speciale alla memoria di Andrea Bertucci, assegnati a tre persone del territorio
Lions Club Antiche Valli Lucchesi - Lions Club Valle del Serchio, convegno su lavoro, diritto e produttività
I due Lions Club organizzano per martedì 12 novembre alle ore 16,30 presso la sala assemblea di Confindustria Toscana in piazza Bernardini 41 a Lucca un importante convegno…
A Milano la consegna dei premi di ricerca promossi dalla fondazione Carlo Erba e Kedrion Biopharma
Oggi a Milano, presso la Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano (Via Francesco Sforza, 35), si è svolta la cerimonia di consegna dei Premi di ricerca 2023 promossi dalla Fondazione Carlo Erba e Kedrion Biopharma in collaborazione con INGM
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Il 25 aprile è una data battesimale dell’Italia. Ma che cosa tiene a battesimo?
Per quelli della generazione che fu partecipe degli eventi e per quelli della mia generazione che fu educata dalla precedente, il 25 aprile tiene a battesimo la liberazione. E celebra, questa data, le virtù eroiche, il coraggio, la dignità, la sofferenza e anche il martirio di chi si batté, vinse e resitituì l’Italia alla libertà. In una parola, il 25 aprile è la data della celebrazione della Resistenza, dunque celebrazione della vittoria di una parte sull’altra, di alcuni Italiani contro altri Italiani.
E’ così ancor oggi? No, non è più soltanto così. La storia si fa basandosi su fatti. Ma nessun fatto della storia è tale senza una interpretazione che gli dia un senso. E l’interpretazione storiografica oggi più diffusa dice che negli eventi fra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945 si ravvisano non una, bensì tre guerre: una guerra contro la Germania (si ricordino le parole della toccante canzone “Bella ciao”: «una mattina mi sono alzato ed ho trovato l’invasor»); una guerra fra Repubblica Sociale e Regno d’Italia; una guerra ideologica tra fascismo e antifascismo. La Resistenza è uno dei soggetti di una di queste guerre. Assumerla ad emblema di tutte, farla, da sola, assurgere al rango di unica contesa, considerarla isolatamente il simbolo della libertà contro l’oppressione e il regime antidemocratico è riduttivo sul piano storico e sbagliato su quello etico. E poiché sono proprio i princìpi etici quelli che dànno senso ad una celebrazione, quelli che fanno di una data una fonte di ispirazione, è su questi princìpi che vorrei richiamare l’attenzione.
Prendo, tra le molte che potrei citare, due lettere di condannati a morte.
In una si dice: «Mammina mia tanto cara, ... Ho amato tanto questa Italia martoriata e divisa che anche se apparentemente oggi pare di no, cado per il mio Paese».
In un’altra lettera si dice: «Caro Papà e tanto cara mamma, ... Ho amato tanto l’Italia e la mia idea e per essa sono pronto al sacrificio supremo... Ama anche tu la cara Patria nostra. Se hai qualche idea, professala e per essa sii pronto a dare la tua vita».
Persino le parole sono identiche e intercambiabili. Ma chi ha scritto l’una e chi ha scritto l’altra lettera? La prima è di Renzo Scognamiglio, un partigiano della VI Divisione Alpina Canvesana Giustizia e Libertà, fucilato senza processo il 22 marzo 1945. La seconda è di Armando Marchese, un esponente del fascismo repubblicano di Voghera, fucilato il 4 novembre 1945.
Che significa questo comune richiamo, da opposte sponde, alla Patria divisa, all’Italia, alla dignità, al coraggio, alla libertà di professare e credere nelle proprie idee?
Credo che significhi due cose. La prima: che non tutti i fascisti lottarono a favore di un regime e contro la libertà. La seconda: che non tutti gli antifascisti lottarono a favore della libertà e contro un regime. Le lettere ci dicono che gli uni e gli altri lottarono a favore della patria e della libertà, ma avevano diverse concezioni della patria e della libertà. C’è chi lotta per la libertà e la sente assicurata dal fascismo; c’è chi lotta per la libertà e la sente garantita dal comunismo.
Oggi possiamo dire che furono due tragiche illusioni. Ma possiamo dirlo perché la storia dell’umanità, non solo quella italiana, ha mostrato che sia il fascismo sia il comunismo sono falliti. E perché la nostra idea della libertà, quella che si è imposta all’una e all’altra, è diversa dall’una e dall’altra.
Ciò che non possiamo dire, ciò che non dobbiamo dire, è che solo gli uni avevano ragione, solo gli altri torto. Se ci impegniamo a ciò, se riconosciamo che ci fu retta coscienza da una parte e dall’altra, che ci furono autentiche professioni di fede da ambedue i lati, allora siamo anche in grado di dare un senso diverso, più alto, più unitario, e veramente battesimale, alla nostra celebrazione. Possiamo, e io credo che dovremmo dire, dire che il 25 aprile non è la festa della Liberazione ma la festa della libertà. La nostra libertà, la libertà liberale, la libertà democratica.
Ecco perché dobbiamo rendere omaggio ai caduti di entrambi i fronti. Non per convenienza politica, ancor meno per calcolo di partiti e meno che mai per richiamo retorico. Ma per riconoscere le nostre radici e per apprezzare i nostri princìpi.
Infine, mi sia consentita una considerazione finale. L’Italia di oggi deve la sua libertà ai nostri caduti di ieri. Ma fra quei caduti non dobbiamo dimenticare gli angloamericani, proprio oggi che l’Italia vive una fase di guerra contro regimi e massacri alleata con l’Europa e gli angloamericani. La libertà che noi oggi celebriamo è un valore universale. Dobbiamo difenderla per noi e per gli altri contro chi, oggi come ieri, intende invece negarla. Valga questa nostra festa anche per ricordare chi è ancora vittima dell’oppressione.
Postfazione di Aldo Grandi
Era il 25 aprile 1999, esattamente ventiquattro anni fa. Marcello Pera era al suo primo mandato da senatore di Forza Italia, nella sala Ademollo. Il suo intervento, che qui riproduciamo e che potrebbe benissimo essere stato scritto appena ieri, suscitò polemiche e critiche a cominciare da quelle di Maria Eletta Martini. Lo ripubblichiamo convinti della sua saggezza - dell'intervento e del suo autore - Se anche un solo, uno!, presidente della repubblica avesse detto, nel frattempo, le stesse cose, la pagina forse si sarebbe chiusa e gli italiani potrebbero, realmente, se non festeggiare, certamente celebrare, uniti, la libertà. Invece anche l'attuale presidente della repubblica Sergio Mattarella non va, come dovrebbe, in questa giornata distante, ora, ben 78 anni da quando avvenne, all'altare della patria, poi, al cimitero di Anzio, poi, in un qualunque altro luogo simbolico. No, Mattarella va a rinfocolare, qualunque cosa dica, gli odi della guerra civile in modo retorico e controproducente. A nostro avviso il discorso del professor Marcello Pera dovrebbe essere conosciuto e meditato, ma, soprattutto e da entrambi gli schieramenti, digerito.
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"Si è conclusa alle 23:40 – si legge nell'ultimo bollettino medico – la procedura di accertamento di morte con criteri neurologici”. Niente da fare, quindi, per Barbara Capovani, la psichiatra madre di tre figli assalita e uccisa da un suo ex paziente che, adesso, se ne sta tranquillo o giù di lì all'interno del carcere Don Bosco di Pisa. La Gazzetta di Lucca, purtroppo, aveva già dato notizia della morte cerebrale della vittima il giorno seguente al fatto, avvenuto proprio fuori il reparto di psichiatria dell'ospedale S. Chiara. Troppo gravi le ferite subìte e di questo erano ben consci i colleghi che avevano già ricevuto la devastante comunicazione.
Adesso si procederà come al solito: polemiche, repliche, tentativi di spiegazione e giustificazioni a non finire, ma, la sostanza, resterà sempre la stessa: una donna, un medico di grandi capacità professionali e doti umane, una madre di tre figli, è stata ammazzata come un cane in mezzo alla strada da una persona che, in passato, aveva già rischiato di mandare all'altro mondo altri esseri umani. E che, invece, nonostante tutti i reati compiuti, girava tranquillamente per la strada come se niente fosse e senza che lo stato e le sue autorità sanitarie o anche amministrative e giudiziaria tantomeno politiche, siano riuscite a metterlo nelle condizioni di non nuocere.
L'Ordine dei Medici di Lucca, come sempre accade in simili circostanze, ha voluto esprimere il proprio profondo cordoglio per la morte della collega Barbara Capovani, fatta segno di una brutale aggressione. Aggressione che si sarebbe potuta evitare se, in precedenza, fossero stati adottati provvedimenti concreti da parte di chi aveva la potestà e il dovere di compierli. Il barbaro femminicidio della collega è il frutto avvelenato di una certa antipsichiatria, da sempre tesa a derubricare certi disturbi psichici a semplice disagio sociale o, addirittura, a negarne l'esistenza. È il frutto avvelenato di una certa pseudocultura tutta concentrata a sminuire la figura del medico, che costituisce invece il cardine dell'assistenza sanitaria, e ad assecondare il luogo comune che vede sempre e comunque quest'ultimo come principale responsabile di ogni disservizio in sanità. È venuto il momento di rivedere certi paradigmi, è necessario che le istituzioni smettano di girarsi dall'altra parte di fronte alla denuncia di situazioni a rischio e si assumano piena responsabilità non solo dell'accaduto, e di altri numerosi simili episodi, ma anche nel garantire sicurezza a chi lavora in sanità, a servizio dell’intera comunità. È necessaria una presa in carico più appropriata dei disturbi mentali, clinica e non ideologica, ambulatoriale, ma anche istituzionalizzata quando necessario, smettendola, una buona volta, con atteggiamenti di colpevole sottovalutazione delle situazioni a rischio da parte degli amministratori secondo la logica oggi imperante del buonismo o, peggio, della negazione.
E ancora il segretario generale UIL Toscana Paolo Fantappiè e il segretario di categoria UIL FPL Toscana Flavio Gambini: Esprimiamo la nostra vicinanza e cordoglio per l'improvvisa scomparsa della D.ssa Barbara Capovani. Una morte insensata, un'aggressione che va ad aggiungersi - purtroppo - alle migliaia che si sono verificate negli ultimi anni, che per più della metà dei casi - 7 su 10 - hanno visto protagoniste le donne. Tra lo sgomento e l'indignazione - normali in questo momento - non deve mancare una lucida riflessione sul perché gli operatori sanitari continuano ad essere presi di mira, sul perché non riusciamo a proteggerli adeguatamente. Non possiamo considerare questa aggressione come un caso isolato dalla realtà. Esiste ormai un fenomeno consolidato che riguarda più in generale tutti i lavoratori che svolgono un servizio a contatto con il pubblico. Serve agire subito e per questo chiediamo un tavolo di confronto con la regione Toscana che coinvolga anche le Forze dell'Ordine, per individuare più investimenti e uomini a tutela delle lavoratrici e lavoratori del settore sanitario e più in generale del servizio pubblico. Anche i datori di lavoro devono fare la loro parte, perché non si può perdere la vita lavorando.
Che cosa, i familiari della vittima, ci faranno con questi messaggi di cordoglio, due dei tanti, due tra i tanti, non possiamo saperlo, ma sappiamo benissimo che cosa ci faremmo noi e, se lo dicessimo, ci accuserebbero di chissà quali nefandezze deontologiche. Purtroppo, oggi, nell'era del Pensiero Unico Dominante e del politicamente corretto, rivelare il senso comune ossia il pensiero della gente normale, è considerato alla stregua di un reato. Il cordoglio va bene e, chissà, magari farà anche bene, ma è troppo facile e troppo semplice manifestarlo a cose, ormai, accadute. E che cose!
Tuttavia le parole del presidente dell'ordine dei medici della provincia di Lucca Umberto Quiriconi colgono nel segno e mettono il dito sulla piaga. Anzi, noi, al suo posto, sulla piaga ci avremmo schiacciato anche con il piede per fare più male e causare ancora più dolore a tutti coloro che, da decenni a questa parte, si sciacquano la bocca nel tentativo di esorcizzare ciò che la natura, maledetta, a volte crea e che nessuno, nemmeno l'uomo che dovrebbe assumersene la responsabilità, distrugge.
In particolare certa cultura anzi, pseudocultura di sinistra e verniciata di rosso continua a ritenere come ha sempre fatto dal Sessantotto ad oggi che i disturbi psichici anche quelli più gravi siano il frutto di una società malata che invece di essere vittima, è, al contrario colpevole per certe conseguenze psichiatriche. Senza tenere minimamente conto che, così facendo, si continua a deresponsabilizzare lo Stato e chi dovrebbe tutelare la collettività.
Diciamola tutta così saremo brutali fino in fondo: se a morire non fosse stata una singola dottoressa che nessuno, tranne chi la conosceva e frequentava, sapeva esistere, ma qualche personalità pubblica di alto rango o anche un folto gruppo di persone appartenenti a qualsiasi categoria professionale, beh, si sarebbero mobilitate anche le truppe Nato. Così, purtroppo e per sfortuna della vittima e dei suoi familiari, la pallina è caduta in una bica sola e in questa bica ci stava proprio lei, la povera dottoressa che tanto aveva dato e stava dando per aiutare i disabili psichici.
Il dottor Stefano Michelini, lucchese, che conosceva bene la collega, non ha avuto dubbi sin da subito nel definire l'operato dell'assassino un gesto di lucida follia proveniente da una persona che aveva e ha, a tutti gli effetti, capacità di intendere e di volere. Continuare a negare questo o a depenalizzare chi, presentando una perizia più o meno attestante l'infermità mentale, è un garantismo senza senso che ha prodotto e produrrà danni sempre maggiori che, però, lo ripeteremo fino alla nausea, colpisce, in genere, una persona alla volta e, quindi, nessun allarme sociale o provvedimento generalizzato. Di sicuro, se il 35 enne di origini cinesi - un'altra risorsa della quale avremmo fatto, volentieri, a meno - fosse stato rinchiuso, visti i precedenti, in un bel manicomio criminale, la dottoressa sarebbe ancora viva. Già, ma i manicomi sono stati giudicati dalla Sinistra e da certa psichiatria - aridatece Mario Tobino che i suoi malati, a Maggiano, li amava tutti uno per uno - alla stregua di campi di sterminio e i giornalisti e gli intellettuali ideologizzati tutti lì ad applaudire.
Adesso ci sarà il consueto can can, le accuse e le difese, i funerali e, poi, ciccia: chi vive si da(rà) pace e chi è morto giace(rà) in pace.
Noi, che per l'omicida propenderemmo per la pena di morte - del resto non si capisce né quale potrebbe essere la funzione rieducativa della pena in questo caso né a cosa servirebbe tenerlo in vita e, magari, un po' più in là tra permessi e garanzie, vederlo uccidere di nuovo - non sopportiamo i politicanti da strapazzo e tutti coloro che preferiscono mantenere la testa sotto la sabbia invece di guardare dove questa società sta precipitando.
Ai familiari della dottoressa la nostra solidarietà. A tutti gli altri, a coloro che avrebbero potuto e dovuto fare e non hanno fatto, il nostro profondo, quello sì, disprezzo.