"Si è conclusa alle 23:40 – si legge nell'ultimo bollettino medico – la procedura di accertamento di morte con criteri neurologici”. Niente da fare, quindi, per Barbara Capovani, la psichiatra madre di tre figli assalita e uccisa da un suo ex paziente che, adesso, se ne sta tranquillo o giù di lì all'interno del carcere Don Bosco di Pisa. La Gazzetta di Lucca, purtroppo, aveva già dato notizia della morte cerebrale della vittima il giorno seguente al fatto, avvenuto proprio fuori il reparto di psichiatria dell'ospedale S. Chiara. Troppo gravi le ferite subìte e di questo erano ben consci i colleghi che avevano già ricevuto la devastante comunicazione.
Adesso si procederà come al solito: polemiche, repliche, tentativi di spiegazione e giustificazioni a non finire, ma, la sostanza, resterà sempre la stessa: una donna, un medico di grandi capacità professionali e doti umane, una madre di tre figli, è stata ammazzata come un cane in mezzo alla strada da una persona che, in passato, aveva già rischiato di mandare all'altro mondo altri esseri umani. E che, invece, nonostante tutti i reati compiuti, girava tranquillamente per la strada come se niente fosse e senza che lo stato e le sue autorità sanitarie o anche amministrative e giudiziaria tantomeno politiche, siano riuscite a metterlo nelle condizioni di non nuocere.
L'Ordine dei Medici di Lucca, come sempre accade in simili circostanze, ha voluto esprimere il proprio profondo cordoglio per la morte della collega Barbara Capovani, fatta segno di una brutale aggressione. Aggressione che si sarebbe potuta evitare se, in precedenza, fossero stati adottati provvedimenti concreti da parte di chi aveva la potestà e il dovere di compierli. Il barbaro femminicidio della collega è il frutto avvelenato di una certa antipsichiatria, da sempre tesa a derubricare certi disturbi psichici a semplice disagio sociale o, addirittura, a negarne l'esistenza. È il frutto avvelenato di una certa pseudocultura tutta concentrata a sminuire la figura del medico, che costituisce invece il cardine dell'assistenza sanitaria, e ad assecondare il luogo comune che vede sempre e comunque quest'ultimo come principale responsabile di ogni disservizio in sanità. È venuto il momento di rivedere certi paradigmi, è necessario che le istituzioni smettano di girarsi dall'altra parte di fronte alla denuncia di situazioni a rischio e si assumano piena responsabilità non solo dell'accaduto, e di altri numerosi simili episodi, ma anche nel garantire sicurezza a chi lavora in sanità, a servizio dell’intera comunità. È necessaria una presa in carico più appropriata dei disturbi mentali, clinica e non ideologica, ambulatoriale, ma anche istituzionalizzata quando necessario, smettendola, una buona volta, con atteggiamenti di colpevole sottovalutazione delle situazioni a rischio da parte degli amministratori secondo la logica oggi imperante del buonismo o, peggio, della negazione.
E ancora il segretario generale UIL Toscana Paolo Fantappiè e il segretario di categoria UIL FPL Toscana Flavio Gambini: Esprimiamo la nostra vicinanza e cordoglio per l'improvvisa scomparsa della D.ssa Barbara Capovani. Una morte insensata, un'aggressione che va ad aggiungersi - purtroppo - alle migliaia che si sono verificate negli ultimi anni, che per più della metà dei casi - 7 su 10 - hanno visto protagoniste le donne. Tra lo sgomento e l'indignazione - normali in questo momento - non deve mancare una lucida riflessione sul perché gli operatori sanitari continuano ad essere presi di mira, sul perché non riusciamo a proteggerli adeguatamente. Non possiamo considerare questa aggressione come un caso isolato dalla realtà. Esiste ormai un fenomeno consolidato che riguarda più in generale tutti i lavoratori che svolgono un servizio a contatto con il pubblico. Serve agire subito e per questo chiediamo un tavolo di confronto con la regione Toscana che coinvolga anche le Forze dell'Ordine, per individuare più investimenti e uomini a tutela delle lavoratrici e lavoratori del settore sanitario e più in generale del servizio pubblico. Anche i datori di lavoro devono fare la loro parte, perché non si può perdere la vita lavorando.
Che cosa, i familiari della vittima, ci faranno con questi messaggi di cordoglio, due dei tanti, due tra i tanti, non possiamo saperlo, ma sappiamo benissimo che cosa ci faremmo noi e, se lo dicessimo, ci accuserebbero di chissà quali nefandezze deontologiche. Purtroppo, oggi, nell'era del Pensiero Unico Dominante e del politicamente corretto, rivelare il senso comune ossia il pensiero della gente normale, è considerato alla stregua di un reato. Il cordoglio va bene e, chissà, magari farà anche bene, ma è troppo facile e troppo semplice manifestarlo a cose, ormai, accadute. E che cose!
Tuttavia le parole del presidente dell'ordine dei medici della provincia di Lucca Umberto Quiriconi colgono nel segno e mettono il dito sulla piaga. Anzi, noi, al suo posto, sulla piaga ci avremmo schiacciato anche con il piede per fare più male e causare ancora più dolore a tutti coloro che, da decenni a questa parte, si sciacquano la bocca nel tentativo di esorcizzare ciò che la natura, maledetta, a volte crea e che nessuno, nemmeno l'uomo che dovrebbe assumersene la responsabilità, distrugge.
In particolare certa cultura anzi, pseudocultura di sinistra e verniciata di rosso continua a ritenere come ha sempre fatto dal Sessantotto ad oggi che i disturbi psichici anche quelli più gravi siano il frutto di una società malata che invece di essere vittima, è, al contrario colpevole per certe conseguenze psichiatriche. Senza tenere minimamente conto che, così facendo, si continua a deresponsabilizzare lo Stato e chi dovrebbe tutelare la collettività.
Diciamola tutta così saremo brutali fino in fondo: se a morire non fosse stata una singola dottoressa che nessuno, tranne chi la conosceva e frequentava, sapeva esistere, ma qualche personalità pubblica di alto rango o anche un folto gruppo di persone appartenenti a qualsiasi categoria professionale, beh, si sarebbero mobilitate anche le truppe Nato. Così, purtroppo e per sfortuna della vittima e dei suoi familiari, la pallina è caduta in una bica sola e in questa bica ci stava proprio lei, la povera dottoressa che tanto aveva dato e stava dando per aiutare i disabili psichici.
Il dottor Stefano Michelini, lucchese, che conosceva bene la collega, non ha avuto dubbi sin da subito nel definire l'operato dell'assassino un gesto di lucida follia proveniente da una persona che aveva e ha, a tutti gli effetti, capacità di intendere e di volere. Continuare a negare questo o a depenalizzare chi, presentando una perizia più o meno attestante l'infermità mentale, è un garantismo senza senso che ha prodotto e produrrà danni sempre maggiori che, però, lo ripeteremo fino alla nausea, colpisce, in genere, una persona alla volta e, quindi, nessun allarme sociale o provvedimento generalizzato. Di sicuro, se il 35 enne di origini cinesi - un'altra risorsa della quale avremmo fatto, volentieri, a meno - fosse stato rinchiuso, visti i precedenti, in un bel manicomio criminale, la dottoressa sarebbe ancora viva. Già, ma i manicomi sono stati giudicati dalla Sinistra e da certa psichiatria - aridatece Mario Tobino che i suoi malati, a Maggiano, li amava tutti uno per uno - alla stregua di campi di sterminio e i giornalisti e gli intellettuali ideologizzati tutti lì ad applaudire.
Adesso ci sarà il consueto can can, le accuse e le difese, i funerali e, poi, ciccia: chi vive si da(rà) pace e chi è morto giace(rà) in pace.
Noi, che per l'omicida propenderemmo per la pena di morte - del resto non si capisce né quale potrebbe essere la funzione rieducativa della pena in questo caso né a cosa servirebbe tenerlo in vita e, magari, un po' più in là tra permessi e garanzie, vederlo uccidere di nuovo - non sopportiamo i politicanti da strapazzo e tutti coloro che preferiscono mantenere la testa sotto la sabbia invece di guardare dove questa società sta precipitando.
Ai familiari della dottoressa la nostra solidarietà. A tutti gli altri, a coloro che avrebbero potuto e dovuto fare e non hanno fatto, il nostro profondo, quello sì, disprezzo.