Incontro partecipato e attento quello di ieri sera nelle sale parrocchiali di Fornaci di Barga. Il tema, un problema tanto invisibile quanto grave, quello dell’inquinamento da PFAS (sostanze perfluoroalchiliche).
Di cosa si tratta? Ad illustrare la questione è stato Tommaso Panigada del Forum Lucca Acqua Pubblica e SI-Cura, introdotto da Luca Campani e Paolo Fusco del movimento La Libellula.
“I PFAS, noti anche come ‘inquinanti eterni’, sono sostanze chimiche che in natura non esistono – spiega Panigada – Sono nate chimicamente negli anni ’40 e, per le loro caratteristiche, entrarono a far parte del Progetto Manhattan, lo stesso che portò alla costruzione della bomba atomica. Si tratta di catene costituite dal legame tra carbonio e fluoro: più sono lunghe, più sono solide e difficili da degradare; quelle più corte sono comparse successivamente. Negli anni ne sono state create di nuove, spesso in risposta ai vincoli normativi”.
Panigada spiega come siamo arrivati alla situazione odierna. Infatti, dal dopoguerra ad oggi, essendo sostanze idrorepellenti, lipofobiche e resistenti alla pressione, sono state inserite in numerose pratiche nella nostra vita. Ad esempio si trovano in alcuni tipi di lubrificanti, guarnizioni, protezioni di cavi e fibre ottiche, display, rivestimenti di tessuti, rivestimenti di padelle anti-aderenti, in alcuni tipi di carta-forno, anche nelle pellicole di alcune capsule medicinali. La ISDE Italia (Associazione Italiana Medici per l'Ambiente) le definisce “una contaminazione persistente, pervasiva e pericolosa”, poiché molte di queste sostanze sono interferenti endocrini, influiscono sulla fertilità e alcune sono persino cancerogene.
Panigada sottolinea l’importanza della divulgazione: “La situazione è molto preoccupante per la parte del mondo scientifico, ma la ricerca applicata produce diverse opzioni e nuove opportunità, anche a livello di mercato. È importante partire da un punto di interesse, poi da una presa di coscienza e da una condivisione, così si può arrivare anche a regolamentare, a cambiare le regole.”
La pericolosità dei PFAS è emersa anche grazie ad una campagna di sensibilizzazione promossa da Greenpeace, che ha realizzato la prima mappa in Italia della contaminazione da PFAS nelle acque potabili. ARPAT li sta monitorando dal 2017.
Negli ultimi anni, il tema della regolamentazione dei PFAS ha acquisito sempre maggiore rilevanza a livello europeo. Alcuni Paesi, come Belgio, Olanda, Danimarca e Norvegia, hanno già introdotto normative specifiche per limitare la diffusione di queste sostanze, mentre la Francia ha avviato un percorso per la loro proibizione. A livello europeo, la direttiva UE 2020/2184, pubblicata nel dicembre 2020, ha stabilito un nuovo limite massimo per la presenza di PFAS nelle acque potabili, fissandolo a 100 nanogrammi per litro (ng/L). Questo valore sarebbe dovuto entrare in vigore il 1º gennaio 2026. L'Italia ha recepito questa direttiva nel 2023. Tuttavia, nelle scorse ore, differenziandosi sul principio di precauzione, il governo Meloni ha annunciato l'intenzione di anticipare i tempi e abbassare il limite a 20 nanogrammi per litro tramite decretazione d’urgenza.
Nella Valle del Serchio i dati sono preoccupanti. ARPAT ha condotto analisi sulle acque sotto i pozzi e nella falda, ma Panigada pone l’attenzione sui dati relativi ai pesci. Le analisi sui pesci si preferiscono persino al campionamento delle acque superficiali, perché mentre nelle acque i risultati possono variare dal momento del campionamento, con le secche e le piene dei fiumi, momenti nei quali ci sono più o meno sedimenti, invece sul pesce il dato è più stabile. Il risultato ci dice qualcosa proprio sull’assorbimento di queste sostanze, perché i pesci vivono sul fondale dove sono i sedimenti.
Sui dati del biota, il pesce, Panigada espone i risultati ARPAT: Lucca, Ponte San Quirico (4 agosto 2021): 2134 nanogrammi su un cavedano. Il Piaggione (4 agosto 2021): 2001 nanogrammi. Chifenti, Ponte delle Catene (18 aprile 2024): 15.700 nanogrammi. Pian di Coreglia (2024): 1228 nanogrammi prima dell’immissione del torrente Fegana, 1470 dopo. Camporgiano, torrente Edron (2024): 626 nanogrammi.
Cosa accomuna queste località? La presenza di cartiere, che hanno scaricato o che scaricano in fiume, segherie che usano oli per taglio a secco e industrie tessili. Attualmente, nessun depuratore industriale è progettato per rimuovere i PFAS, e oltre al problema degli scarichi nei fiumi, anche i vapori delle cartiere rappresentano un rischio: le sostanze possono ricadere al suolo a diversi chilometri di distanza. Gli unici 6 PFAS monitorati da ARPAT (su oltre 4000 esistenti) sono: PFBA, PFPEA, FOS, PFHXA, PFBS, PFOA, alcuni dei quali derivano dalla loro degradazione.
Cosa fare ora? “Nessun litigio – conclude Panigada – ma dobbiamo riconoscere che c’è un problema, la normativa si sta muovendo e noi dobbiamo chiedere che i dati disponibili siano monitorati per la tutela dei cittadini. Prima la legge, poi il monitoraggio e la trasparenza sui risultati.”
Il consigliere Filippo Lunardi, in rappresentanza del comune di Barga, ha ringraziato La Libellula e Tommaso Panigada per aver affrontato il tema. Ha annunciato che l’amministrazione ha chiesto a GAIA Spa (gestore del servizio idrico) di effettuare analisi sulle acque, anticipando l’obbligo normativo del 2026. Al momento, sono stati effettuati due campionamenti sul territorio comunale, di cui si attendono i risultati. L’obiettivo del comune è monitorare le acque destinate al consumo umano già in questo 2025.