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Consegnati il Premio Enzo Pedreschi e il Premio speciale alla memoria di Andrea Bertucci
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A Milano la consegna dei premi di ricerca promossi dalla fondazione Carlo Erba e Kedrion Biopharma
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Questi appuntamenti enogastronomici nati per scherzo e per divertimento stanno, in realtà, assumendo la forma di un vero e proprio convivio o convito o, anche, Simposio dal titolo del più famoso dei dialoghi di Platone. Un banchetto dove, oltre a degustare cibo genuino e cucinato da chef tutt'altro che stellati, si bevono e si sorseggiano champagne e vino provenienti da alcune aziende agricole di nicchia della Francia e dell'Italia centrale e settentrionale.
Dopo i primi due eventi celebrati, si fa per dire, all'Antica Locanda di Sesto di Aurelio Barattini, questa volta teatro della serata - più che una cena una degustazione ad hoc avvenuta in uno dei locali più caratteristici per non dire il migliore, di tutta la città - è il Caffè S. Zita in piazza San Frediano, aperto da Michele Tambellini con l'ausilio e la collaborazione di Alessandro e Claudio Tosi, gli eredi di Foto Alcide, il negozio di fotografia che aveva sede dove, adesso, è nato il bar anche se la parola è assolutamente riduttiva.
Una tavola tutt'altro che rotonda, anzi, rettangolare, intorno alla quale si sono seduti, dopo un aperitivo d'entrée nella sala affrescata e con tanto di pianoforte e pianista, i commensali. Tutti uomini ha fatto osservare qualcuno, ma non è stata una scelta, più un caso e, comunque, anche nel dialogo di Platone - visto che Socrate non ha lasciato niente di scritto e di sé - al banchetto erano tutti di sesso maschile. Certo, ieri sera mancavano gli Alcibiade e i Pausania, ma non per questo l'atmosfera deve essere stata così diversa rispetto a quella di migliaia di anni fa. All'epoca, si era in un periodo avanti Cristo, ma non chiedeteci quando né quale, si riunirono alcuni intellettuali tra i più conosciuti per una cena offerta dal poeta Agatone e, ad un certo punto, venne deciso di affrontare un tema al quale tutti aderirono entusiasti, quello di Eros dio dell'amore.
Ad essere sinceri, di amore poco e, forse, nulla si è parlato ieri sera nella meravigliosa sala dove un tempo c'era l'archivio fotografico di Alcide e, adesso, un luogo adibito a colazioni o eventi, ma non cene per cui si la nostra è stata una eccezione che abbiamo accolto volentieri. Invece che intellettuali, i commensali erano imprenditori, ristoratori, amministratori pubblici, liberi professionisti. Tutti, come sempre, avevano e hanno in comune una cosa in particolare: essere amici di più o meno lunga data e persone stimate dall'irresponsabile direttore delle Gazzette, al secolo Aldo Grandi e, per la prima volta, lo stesso Michele Tambellini ha voluto stampare il menu con tanto di nome di quello che, da ora in avanti, sarà il titolo del format: A cena con Aldo. Peccato che, a volte, ci sarà anche il pranzo.
Un'accoglienza, è bene dirlo subito, di altissimo livello grazie alla professionalità di tutto lo staff del Caffè S. Zita a cominciare da Valentina, splendida padrona di casa. Champagne Veuve Pelletier Brut, prodotto dalla Veuve Pelletier & Fils di Reims, un colore delicato e dorato, con un perlage nemmeno particolarmente invasivo, piacevole e gioioso acquistato nella convinzione, rivelatasi, poi, giusta, di un vino in grado di regalare robuste soddisfazioni nonostante non sia un marchio particolarmente conosciuto. Assolutamente da comprare e da provare.
Tutti seduti, presentazioni già effettuate, ma è assolutamente rigoroso e previsto dal cerimoniale che l'organizzatore dipinga, brevemente, un profilo biografico di ogni singolo ospite e così è stato anche questa volta con un numero di partecipanti invitati superiore alle altre due. Il motivo? Non c'è, tutto è molto spontaneo a queste latitudini.
A capotavola, uno di fronte all'altro, l'autore di queste righe e il sindaco Mario Pardini, per il quale non c'è bisogno di molte parole se non per dire che la sua presenza trasmette la stessa sensazione che, ci dicono, regala ai suoi concittadini: serenità, passione, dedizione, ottimismo, entusiasmo. Della serie e dopo dieci anni di conduzione rosso-fucsia, non c'è più a palazzo dei Bradipi quell'atmosfera deprimente e depressiva così difficile da rimuovere. Sembra che la sinistra sia venuta al mondo solo e soltanto per soffrire. In proposito e lo abbiamo già raccontato, è un po' come negli anni dell'immediato dopoguerra quando Amerigo Terenzi, anima della stampa comunista e tra i fondatori dell'agenzia Ansa, alle prese con il problema di far aumentare la diffusione dei quotidiani simpatizzanti per il Pci, ebbe a comprendere che la gente comprava meno l'Unità perché su quelle pagine tutto andava sempre male e i lettori si erano stufati. Così pensò ai cosiddetti quotidiani fiancheggiatori, tra le cui file furono non pochi gli intellettuali che, in gioventù, erano stati fascisti salvo, poi, comprendere l'errore e passare al Pci tra i quali Felice Chilanti e Ruggero Zangrandi. Tra le sue geniali invenzioni, i giornali Repubblica d'Italia, Il Paese e, soprattutto, Paese Sera. Questi erano meno ancorati all'ideologia e alla politica del Pci e più vicini alla società e alla realtà quotidiana diventando, progressivamente, capaci di intercettare anche le simpatie di chi comunista non era mai stato.
Partendo dalla sinistra del padre, Flavio Torrini, assicuratore, maestro di sci, gaudente e fratello del presidente del consiglio comunale Enrico. Lui, ormai, è un habitué di queste serate, persona simpatica e, in particolare, amante della vita cosa non sempre facile da trovare.
Accanto a lui, new entry, Ferruccio Pera, ristoratore una volta tanto 'ristorato' che sta anche per riposato e rilassato. Sguardo vivo, occhi furbi e indagatori, uno che della vita conosce sicuramente abbastanza.
Accanto sta Marcantonio Gambardella, avvocato civilista, anche lui persona amante delle cose belle della vita, pacato, sorridente e vecchio, si fa per dire, amico delle Gazzette.
Nicola Lattanzi, professore universitario, attualmente docente a IMT, figlio dell'ex presidente della fondazione Carilucca e della Cassa di Risparmio di Lucca quando le banche avevano un senso e un ruolo, ma, soprattutto, colui che riuscì a vendere la banca lucchese a Gianpiero Fiorani di Banca Popolare di Lodi alla cifra, tonda tonda, di 3 mila 450 miliardi parte dei quali, quelli non ancora versati, garantiti da fiudejussione della Dresdner Bank, non certo di Banca Etruria e perdonateci l'ardire. Lattanzi figlio è un intellettuale a tutti gli effetti e alcune citazioni durante la serata hanno lasciato estasiati i commensali, a cominciare da Ferruccio Pera che ha invitato il professore a recarsi tutti i giorni al suo ristorante Gosto e Mea, a fine giornata, per insegnare la sua eloquenza.
Carmine Mariniello altrimenti conosciuto anche come Gigi, dal ristorante che dirige da dio e che proprio quest'anno ha compiuto la bellezza di 20 anni. Carmine è una di quelle persone di cui questo Paese ha una enorme necessità, ma che, purtroppo, sono sempre più rare. Nato e cresciuto in Germania, ha il grande pregio di non avere peli sulla lingua e di dire sempre quello che pensa e, a dirla tutto, raramente sbaglia. Grande esperto di vini, personaggio gradevolissimo, curioso e capace di ascoltare oltre che, al momento giusto, piazzare i suoi colpi che sono vere e proprie perle di saggezza.
Alessandro Bianchi, anche lui già alla seconda uscita pubblica, medico veterinario da Altopascio, ex assessore e consigliere comunale, impeccabile nel suo stile e nella sua eleganza. Voto top.
Poi, vicino a lui, il presidente del club amici del sigaro toscano nonché parrucchiere e proprietario di uno degli atelier più grandi e prestigiosi d'Italia, a Chiesina Uzzanese: Luca Piattelli da Marginone di Altopascio - il paese del Tau ha dato i natali a decine di persone che si sono fatte valere e strada nella vita - con la sua barba e il look inconfondibile, stilista oltre che artista, innamorato dell'essere femminile nella sua più alta concezione. Con sé ha portato dei sigari toscani a disposizione di chi, a fine serata, avrà voglia, in giardino, di provare a fumarlo per la prima volta.
Ed ecco, ora, la persona che sarà festeggiata nell'occasione, Mohamed El Hawi, il ristoratore fiorentino di origini egiziane assolto il giorno prima dall'accusa di aver violato le disposizioni anti Covid per aver rimosso i sigilli al proprio ristorante-pizzeria Tito a Novoli, durante la pandemia. Momi è un personaggio pubblico creato dalla diabolica mente del direttore delle Gazzette, conosciuto per caso al ristorante lucchese l'Olivo nel corso di un incontro per la promozione della candidatura a presidente della Regione di Susanna Ceccardi e la cui partecipazione costò la poltrona di Lucca Crea al sindaco Pardini che si dimise di fronte alle contestazioni della sinistra lucchese. Ferruccio Pera lo aveva già conosciuto quando i ristoratori indipendenti bloccarono l'autostrada Firenze-Mare di ritorno da Roma.
Da Milano, nientepopodimeno che da via Spadari, strada tra le più famose a due passi dal duomo, Leone Marzotto, figlio dell'ex vice-presidente di Confindustria nonché componente della famosa dinastia degli industriali del tessile. Il più giovane degli eredi della dinastia, è CEO di Peck, la gastronomia più famosa d'Italia e, probabilmente, anche d'Europa. Dopo aver aperto un ristorante di grande classe a City Life, il nuovissimo quartiere del capoluogo meneghino, ha anche raddoppiato la gastronomia aprendo a Forte dei Marmi e chissà che anche lui non sia un amante dell'Antico Caffè delle Mura o del Caffè di Simo. Profondo conoscitore di tutte le eccellenze gastronomiche ed enologiche del pianeta, persona di grande gusto e assolutamente senza alcuna 'puzza sotto il naso'.
Last but not least, Lorenzo Nardin, origini venete, ma da decenni abitante a Firenze che ama, ma che non sopporta più e approfitta del convivio per mandare un messaggio al sindaco Nardella dicendo che la città non è più quella di un tempo, divenuta, ormai, senza identità e mangiatoia a tutti gli effetti. "Ho venduto casa una settimana fa - dice - nonostante si trovasse nel cuore di Firenze. Non mi riconosco più in quella Firenze che ho conosciuto tanti anni fa, un luogo come il Caffè Santa Zita si fa fatica a trovarlo e la fiorentinità non esiste se non nelle bistecche acchiappacitrulli dei turisti che affollano in massa le strade cittadine. Nardella non è il mio sindaco, assolutamente".
Una fauna umana decisamente varia oltreché variabile. Dall'altro, essendo tutti seduti, osserva e benedice Michele Tambellini, ex portiere di calcio di serie B e C, imprenditore genialoide del settore della ristorazione che una ne pensa e, nel frattempo, mille ne fa. A Lucca uno così, lo abbiamo già ripetuto fino alla noia, ci sta come il cacio sui maccheroni. Il suo sodalizio ultraventennale con Carmine è roba da libro Cuore di Edmondo De Amicis.
L'aperitivo di benvenuto, accanto allo champagne, spopola grazie alle panelle fritte con gambero crudo e al pan brioche con baccalà mantecato: i commensali si scaldano come se fossero su un campo di gioco. Se il buongiorno si vede dal mattino, chef Davide deve aver fatto le cose in grande.
Si parte alla grande con l'arrivo dell'antipasto, uovo poché per i più sofisticati o uovo in camicia per chi proviene dalla letteratura e cucina popolari. Spettacolo direbbe l'amico e fotografo Mimmo Tosi ed effettivamente le bollicine dello Champagne Philippe Thevenin Cuvée Tradition Brut spediscono in paradiso ammesso che esista. L'azienda vinicola ha sede a Ville-sur-Arce, un comune francese di 257 abitanti situato nel dipartimento dell'Aube nella regione del Grand Est, più nicchia di così non si può. Colore giallo sì, ma pallido e non dorato come il precedente, si gusta che è una delizia. Valentina non fa in tempo a versarlo nei calici che, immediatamente, scompare come in un tour de magie.
Che atmosfera ragazzi! Chissà se anche Socrate con i suoi discepoli e amici godeva del medesimo spirito a tavola. Avrebbe dovuto esserci anche l'immancabile promoter del Summer Festival, ma questa volta ci ha dato buca, affetto da una lieve, ma fastidiosa forma influenzale contratta, dice lui, proprio a Napoli e, aggiungiamo noi, durante i festeggiamenti dello scudetto.
Sbarca in tavola il primo piatto, un risotto mantecato alla crescenza, crema di piselli, fondo bruno e carpaccio di manzo. Talmente buono che, siamo convinti, sia in una quantità notevole all'interno di un piatto concavo. Invece, fondo piatto e dopo qualche assaggio è già finito: delizioso, gustosissimo, papille gustative e anche le pupille, in eccitazione scomposta. Le fettine di carpaccio di manzo sono simili, se osservate con fantasia e continuità, alle labbra rosse e carnose di una giovane donna.
Nei calici, pronto per la portata successiva, arriva l'Amarone della Valpolicella Corte Majoli, giovane senza dubbio, annata 2018, Scelta apposita per le origini venete di Lorenzo Nardin che, ci eravamo dimenticati, è anche nostro nipote avendo sposato Serena Grandi che non è, però, l'omonima attrice icona del sesso negli anni Ottanta. Con questo nettare di Bacco si sposa un filetto di manzo, demi glace, millefoglie di patate che è tenero come il burro. Nemmeno il tempo di commentare che Carmine prende, improvvisamente, la parola per descrivere il vino appena versato: Amarone della Valpolicella, uno dei vini iconici che hanno scritto pagine memorabili della storia enoica italiana. Al naso si distinguono note di frutta rossa sotto spirito, seguite da profumi che ricordano la cioccolata, il tabacco e liquirizia. In bocca è avvolgente la morbidezza, bilanciata perfettamente dalla freschezza che, insieme ad un tannino elegante, danno vita ad una cinesi gustativa piacevolissima. Azz... chapeau! Mariniello è anche una ottima guida turistica per inglesi e tedeschi. Grande cultura.
Nicola Lattanzi chiede la parola per domandare come mai tutti, chi più chi meno, abbiano avuto il proprio profilo biografico descritto e nessuno lo abbia fatto per l'organizzatore della serata. Se stava zitto era meglio. Ormai il direttore (ir)responsabile delle Gazzette sta simpatico almeno a quante persone sta l'opposto. Tra querele, esposti e libri pubblicati, linguaggio irriverente e provocatorio da un lato, pacato e corretto dall'altro, la schizofrenia impera suscitando domande e risposte non sempre attinenti con l'oggetto della disputa.
Anche Lattanzi, con una retorica da far invidia ai sofisti di un tempo, snocciola una serie di citazioni che a Ferruccio Pera fanno venire, addirittura, i brividi. Ed effettivamente il docente IMT scomoda, per cercare di spiegare la filosofia giornalistica che ha spinto il pennivendolo di provincia autore dell'invito a cena a fondare le Gazzette, addirittura, Søren Kierkegaard, filosofo danese fondatore dell'esistenzialismo: il suo In vino veritas è uno dei testi filosofico-letterari più seducenti della modernità. E' uno dei cinque scritti che compongono l'opera polifonica Stadi sul cammino della vita scritta nel 1845. Si tratta di una rivisitazione del Simposio di Platone e qui cinque commensali si danno appuntamento per un banchetto e finiscono per parlare d'amore. Il libro lo trovate edito da Feltrinelli tra i classici dell'Universale Economica. Ebbene, Lattanzi ne compie una specie di adattamento che consiste in una considerazione: la bellezza delle opportunità è nel tempismo con cui si arriva a coglierle. Arrivare in anticipo equivale ad arrivare in ritardo, perché il tempo, in entrambi i casi e se può anche sembrare il contrario, non è quello giusto. Chi arriva prima si deve, inevitabilmente, fermare, chi arriva dopo ha corso a vuoto. Il punto, quindi, nel cogliere una opportunità non sta nell’attendere e nemmeno nel rincorrere, bensì nel trovarsi al momento giusto nel posto giusto, all'incrocio tra passo e opportunità così da poter prendere al volo l'occasione.
Ecco - ha concluso Lattanzi - questo ha fatto Aldo Grandi quando ha aperto i suoi giornali che sono, ormai, diventati un tassello importante per tutti coloro che hanno voglia di leggere qualcosa di diverso e originale rispetto all'ovvietà che ci circonda.
"A Roma, ha ribattuto prontamente il direttore (ir)responsabile - avrebbero commentato con una espressione di sorpresa tipica e popolare, me cojoni".
Avevamo chiesto il raddoppio del riso, ma Valentina, paziente e gentile, ha risposto che ci sarebbero voluti altri 15 minuti di cottura, allora niente, meglio soprassedere, ma quando si giunge al déssert, su consiglio di Michele servito nel giardino arredato in maniera garbata e professionale. Una torta che non stucca e della quale abusiamo due volte sapendo bene il rischio calorico che corriamo. Il dolce è il Red Velvet ossia un pan di Spagna rosso rivisitato con una ganache al cioccolato bianco e vaniglia. Il tutto accompagnato da una bottiglia di Moscato d'Asti Mongioia e, ancora, un Sauternes 2018 che ci dà il colpo di grazia finale e ci spedisce a casa senza tanti complimenti.
Ospitalità d'eccezione, contatti sorti e promesse di nuovi incontri. Lucca è anche questo, convivialità, identità, saper godere del tempo che passa senza correre sempre di più quando la corsa ad altro non serve se non a impedire, poi, ogni tentativo di fermarsi.
Foto Ciprian Gheorghita
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E adesso che cosa diranno i ristoratori, la stragrande maggioranza, che durante la pandemia hanno tenuto chiusa la propria attività nel rispetto delle disposizioni dei vari Governi succedutisi nei due anni di Covid? Già, perché questa mattina a Firenze l'imputato Momi al secolo Mohamed El Hawi, accusato di aver ripetutamente violato le misure che imponevano di tenere le serrande abbassate oltre ad aver rimosso più volte i sigilli apposti dalla polizia municipale fiorentina, è stato assolto dal giudice del tribunale che ha condannato la pubblica amministrazione a pagare le spese. Il giudice ha riconosciuto lo stato di necessità nel quale il ristoratore italiano di origini egiziane ha agito a tutela dei propri dipendenti e del proprio lavoro.
D'altra parte - ha scritto il giudice Paola Belsito - la limitazione dei diritti costituzionalmente garantiti (proprietà privata e lavoro) non può comprimere la libertà dei cittadini al punto di compromettere la loro sopravvivenza dignitosa.
Una sentenza storica, che dimostra come avessimo ragione sin da quel 25 aprile 2020 quando solamente in sei, tra cui il direttore delle Gazzette, Filippo Giambastiani e Andrea Colombini, scesero in piazza del Giglio per protestare contro un Governo di assassini che stava per uccidere una classe imprenditoriale e commerciale che aveva solamente la colpa di non possedere uno stipendio garantito.
Adesso, ecco che anche la magistratura, appellandosi allo stato di necessità, riconosce quello che chi scrive ha detto sin dal primo giorno: non è possibile, per nessun motivo al mondo, impedire alle persone di uscire di casa per lavorare e guadagnarsi di che vivere a meno che non si provveda al loro mantenimento dignitoso non certo come non hanno fatto i Governi Conte e Draghi. Era una considerazione talmente semplice e logica che, però, ha trovato tutti sordi e un'intera categoria, quella dei ristoratori, che per rispettare la legge - ma quale legge? - ossia una legge liberticida e omicida dal punto di vista economico e sociale, che ha chiuso andando incontro a fallimenti e suicidi. Oggi, ancora una volta, è stato dimostrato che avevamo ragione e che i giornalisti che per due anni e più hanno obbedito al padrone, qualunque esso fosse, avevano torto. Per carità, ognuno deve essere libero di scegliere, ma non di imporre ad altri la propria condotta.
Si tratta di una vittoria molto importante per Momi e per il movimento Io Apro in generale - ha commentato l'avvocato Lorenzo Nannelli del foro fiorentino - Il Tribunale pur non condividendo interamente la linea di questa difesa, ha comunque riconosciuto che l'imposizione della chiusura dell'esercizio operata dai vari DPCM costituiva una sorta di "condanna a morte" nei confronti del Ristorante-Pizzeria "Da Tito", ...ecco perché Momi facendosi promotore della protesta #IoApro (divenuta celebre proprio da gennaio 2021 a livello Nazionale) non ha fatto altro che cercare di sopravvivere esercitando il proprio inalienabile diritto al lavoro (nonché dei propri dipendenti) ed alla libera iniziativa economica, entrambi diritti fondamentali tutelati dalla nostra Costituzione. Dunque è stato affermato il principio che è stato sempre sostenuto dal mio Assistito e dal movimento IoApro in generale ovvero "Disobbedire per poter sopravvivere. Si tratta di una sentenza davvero importante che sposa le ragioni da sempre portate avanti da Momi e dagli altri ideatori del movimento #IoApro."