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Scritto da andrea cosimini
L'evento
13 Aprile 2025

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Dal New Hampshire al Friuli il passo non è breve. Lasciate le suggestioni puritane del precedente spettacolo, quello che ci si apre di fronte è un biel paisut dell'alta Italia dimenticato da dio (e dagli uomini): Busedalôf.

Stavolta il Gran premio del teatro amatoriale italiano ospita, sul palco del Teatro "I. Nieri" di Ponte a Moriano, la compagnia teatrale di Ragogna "Robic" (compagnia madrina "Invicta"). In scena, un'altra opera corale. Dai 20 attori de La Piccola Ribalta, si scende a 16. Tanti, comunque. Tutti protagonisti e nessuno. Ognuno, a suo modo, ben caratterizzato e molto macchiettistico. Quasi una maschera. 

Busedalôf ha tutte le peculiarità di un paese italico di montagna. Ne mette in luce i pregi - lo spirito di comunità, il senso di solidarietà umana, l'attaccamento al territorio, la conservazione delle tradizioni - ma anche i difetti - la lontananza dei servizi, la mancanza di copertura telefonica e informatica, la mentalità gretta e chiusa, l'inverno demografico, l'orizzonte limitato delle aspirazioni. Qui si vive ancora come ne I Malavoglia di Verga. Per un Toni di padron Ntoni c'è un Agnul che sogna una vita oltre la vita del paese. E per un'ottusa cittadina del sud, c'è ne è un'altra su al nord che vorrebbe trattenere lo slancio naturale di un giovane di emanciparsi dal ruolo monolitico che i paesani gli hanno affibbiato sin dalla nascita.

Brava l'attrice protagonista a vestire i panni di Giulia, o Giuliette, la mother-sister - come direbbero oltreoceano, nelle comunità afroamericane - che tutto osserva, tutto conosce, tutto architetta e tutto prevede. A lei nulla sfugge dei fatti del borgo. Trema per tutto lo spettacolo. Non si sa per la vecchiaia o per il freddo che, si sa, colpisce duro a queste latitudini. Soprattutto d'inverno, la stagione in cui è ambientata la commedia.

La regia - di Luca Ferri - tiene. Un atto unico che vive di due momenti: un primo, più statico, e un secondo, più dinamico. La storia si segue bene, non ci si annoia. Si ride (finalmente!) e si applaude (finalmente!). Si divertono anche i bimbi. La scenografia è curata e funzionale alla storia. L'allestimento è, forse, un po' ingombrante. Nulla, però, è messo lì a caso. Il set dà indicazioni geografiche precise sul luogo in cui si svolge la storia. La recitazione è convincente e abbastanza omogenea da parte di tutti gli interpreti. Da migliorare i tempi comici e la dizione. Ma - siamo convinti - in dialetto l'opera avrebbe avuto tutto un altro spessore.

Le musiche. Poche. La prima, all'ingresso sulla scena degli attori, è straniante. Genera angoscia. Sembra preludere a qualcosa di misterioso che sta per accadere. In realtà, ciò che ne segue è la divertente epopea di personaggi per loro stessa natura ironici: quello (formidabile) che storpia le parabole, quella che intercala ogni discorso con un martellante "sì, sì, sì", quello che è uscito di senno e ancora aspetta i tedeschi al fronte, quello che va a caccia di donne come si va a caccia di quaglie, quella (strepitosa) che arrivata vergine alla veneranda età di 80 anni ora vuole fare follie con gli uomini... Forse la musica iniziale non ha messo lo spettatore nello stato d'animo giusto per godere a pieno di tanta ilarità. La scelta di "We wish you a merry Christmas" è puramente didascalica. Mentre più apprezzabili sono i valzer che movimentano e danno il giusto ritmo (e pathos) alle scene d'intrigo.

Complimenti alla F.I.T.A.: per la seconda volta consecutiva, a vincere, è il teatro.

Foto di Tommaso Teora 

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