Qualcuno l’ha ucciso, è sicuro. E se c’è una vittima, esistono dei colpevoli. I quali però da anni giocano a nascondino. Io non c’entro, io non so, io applico la legge, rivolgersi ai piani superiori. E non basta Firenze, il livello superiore è sempre a Roma, dove per legge - così si difendono i colpevoli o mezzi colpevoli - è stata decretata la morte dei “piccoli” ospedali.
Qui si tratta di un ospedale che serve una popolazione di circa 50 mila persone, fra Garfagnana e valle del Serchio. Il doppio, forse, d’estate. Annientato, con la precisa volontà, chissà, di annientarne la popolazione ormai allo stremo.
Nemmeno a Roma (e di ospedali ne ho frequentati tanti) si aspettano dieci ore per una diagnosi. E se accade finisce sui giornali. Qui i pochi medici, i pochi infermieri, migliaia di pazienti sembrano tutti rassegnati. E’ cosi, che possiamo farci? Reclami, richieste, lettere, proteste non servono a nulla
Sabato 27 agosto. Ho la sfortuna di essere costretta ad andare al Santa Croce, per una brutta caduta alla stazione di Fornaci di Barga, dove all’improvviso, lungo il marciapiede per uscire dalla stazione, accanto ai binari, si erge non segnalato un rialzo di circa 30 centimetri.
Inciampo, finisco per terra a faccia in giù, perdo i sensi per non so quanto tempo. L’amica che mi era venuta a prendere ha tentato invano di chiedere aiuto agli altri viaggatori perché l’aiutassero a rialzarmi. Nessuno si è fermato. Peggio che a Roma, dove almeno alla stazione qualcuno arriva e ti soccorre.
Quando riesco a sollevarmi andiamo alla gelateria vicina a implorare un po’ di ghiaccio, per le tumefazioni facciali. Non ce l’hanno, mi danno una lattina di Coca Cola ghiacciata a pagamento.
Sono le 21 di venerdì 26 agosto, mi terrorizza, dopo un viaggio di sei ore, l’attesa in ospedale, voglio solo andare a casa e mettere del ghiaccio sulla faccia. Che funziona, le tumefazioni non vanno avanti.
Verso le 24 la mano sinistra si gonfia, dolore fortissimo. Sono sola e non so che fare, cerco di dormire, imbottendomi di antidolorifici. Alle 5 del mattino penso di dover andare all’ospedale, che dista 150 metri da casa mia, ma è buio, ho paura di cadere, visto che ho fitte alla testa e perdo l’equilibrio.
Chiamare il 118? L’ultima volta che l’ho chiamato per una persona che ha avuto una sincope in casa mia, l’ambulanza ci ha messo un’ora per arrivare, mentre io imploravo al telefono col centralino che risponde da Firenze: “Vi prego, sta morendo”.
Mi imbottisco di tranquillanti e, in qualche modo dormo, almeno la mattina,
Vado al Santa Croce poco prima delle 15. La domanda d rito da parte della sicurezza è: “E’ vaccinata?“. “Sì’, accidenti, non ho il covid, ho altro. Nausea, perdita di equilibrio, la mano ridotta a una salsiccia, non la vedete?”. Risposta: “Aspetti”. Il triage arriva dopo due ore e mezzo. Nel frattempo chiedo disperata un po’ di ghiaccio per quella mano ormai inerte. Un’infermiera gentile me la porta dopo mezzora, ma una benda per tenere il peso ormai insostenibile del braccio al collo, no, quella non è concessa,
Il triage arriva dopo due ore e mezzo, alle 17,30, urgenza minore. Come urgenza minore era un giovanotto con una ferita sanguinante alla testa,
Mio cugino che è medico si presenta in ospedale. Non lo fanno entrare, nonostante il tesserino. La sicurezza ha anche impedito alla figlia di un’anziana in barella, al pronto soccorso da ore, di portarle una bottiglia d’acqua, visto che lei le aveva telefonato che aveva una sete tremenda.
Dopo il triage la dottoressa di turno (bravissima) mi visita finalmente alle 19.30, mi spiega che al P.S. ci sono soli due medici di cui uno per di più - lei, appunto - deve essere pronta a correre sull’ambulanza, e dopo le 20 il medico sarà uno solo.
Mi prescrive una serie di esami che verso le 20 mi fanno con estrema professionalità e gentilezza. Ma, dopo, altra attesa. Cosa diamine ho non lo so, me lo deve dire il nuovo medico subentrato in turno dalle 20.
Nel frattempo, un’anziana in barella, che ha chiamato il 118 da sola e che dice di aspettare la visita da sette ore, comincia a piangere. Mi avvicino per consolarla e un giovane infermiere di turno mi dice: “Lei non si impicci degli altri pazienti, torni nella sua stanzetta ad aspettare”.
Ma dov’è la pietà, la compassione umana? Io vengo cacciata perché tento di consolare un’anziana allo stremo?
Alle 21.45 sono pronta a tutto pur di andarmene da lì. Mi tengo il mio dolore, non me ne importa nulla, voglio solo uscire da questo inferno. L’infermiere di cui sopra mi ha fatto una fasciatura provvisoria, che immobilizza il braccio e la mano, perché la sala gessi è chiusa e l’ortopedico mi vedrà lunedì.
Alle 22 imploro la dottoressa di turno che ha visto i miei referti di mandarmi via. Finalmente, dopo sette ore, si è capito che ho una frattura al polso. Lo fa. E vivo queste dimissioni come una liberazione.
Ma la mia indignazione monta sempre di più. Non so quante urgenze più gravi di me abbiano avuto sabato 27 agosto al pronto soccorso del Santa Croce. So solo che un P.S. con un solo medico (perché l’altro impegnato sulle ambulanze) è un delitto contro l’umanità.
Quando parlo a CASTELNUOVO dell’ospedale tutti si mettono le mani sui capelli e dicono che è un disastro.
Spero solo che questa mia pubblica denuncia serva a smuovere le coscienze perché la popolazione di Garfagnana e valle del Serchio non merita di essere trattata così. E nemmeno noi turisti o forestieri.
Garfagnana addio, se non mi garantisci il diritto alla salute, non mi vedrai mai piu. Nella MASSIMA indifferenza, da quanto mi hanno riferito, di Asl, comune, provincia, regione e di tutto il cocuzzaro. Vergogna. Vergognatevi se avete ancora un briciolo di umanità.