Un manuale di sopravvivenza per imprenditori. Roberto Capobianco, presidente nazionale di Conflavoro PMI e presidente territoriale di Conflavoro PMI Lucca, definisce con queste parole il suo libro dal titolo “L’altra parte del lavoro”. Un testo che si pone come guida e punto di riferimento per tutti coloro che hanno avuto da poco il coraggio e la determinazione di fare impresa, ma anche per chi sta pensando di addentrarsi in questo percorso.
Il libro, acquistabile su Amazon sia in formato cartaceo che Kindle, si presenta come una lettura scorrevole e piacevole anche per chi si trova estraneo alle tematiche affrontate: in poco più di 170 pagine Capobianco racconta della sua esperienza come punto di partenza per tracciare delle linee guida utili per chi decide di fare impresa. Si parte dalla nascita del progetto imprenditoriale, guardando a quelle che sono le scelte cruciali da compiere e i principali ostacoli in cui ci si imbatterà. Si passa, poi, a soffermarsi sulle principali sfide che il 2020 ha posto di fronte al mondo imprenditoriale per giungere a un intero capitolo in cui l’autore passa a rassegna la sua esperienza arrivando, infine, a raccontare dello scopo e dei valori che sono alla base della confederazione che ha creato.
In un mondo imprenditoriale e del lavoro che, stremato dalla pandemia, a distanza di poco più di due anni si trova a far fonte ad una nuova crisi, quella energetica, abbiamo intervistato Roberto Capobianco per parlare, a partire dal suo libro scritto proprio nel primo anno di Pandemia, di cosa vuol dire sopravvivere in un sistema economico in crisi, delle strategie che si possono e devono mettere in campo e di quello che Conflavoro ha fatto e sta facendo per sostenere le imprese messe a dura prova dalle complessità che caratterizzano questo “nuovo mondo”.
Il tema centrale del libro è quello del lavoro o meglio dell’altra parte del lavoro. Il sottotitolo chiarisce, fin dalla copertina, l’intento dell’intera opera: “Manuale di sopravvivenza per imprenditori”. Allora vorrei partire proprio da questo: un manuale di sopravvivenza lascia, inevitabilmente, presagire un clima di difficoltà che gli imprenditori si trovano a fronteggiare, ma quali sono, a suo avviso, gli aspetti positivi della scelta di fare impresa?
Lo definisco “manuale di sopravvivenza” proprio perché per fare impresa in Italia serve coraggio, voglia di apprendere e di crescere. C’è bisogno di mettersi in gioco e di formarsi continuamente: questo è un concetto che ripeto spesso, tanto nel lavoro come nella vita. Fare impresa, pur con tutte le sue difficoltà, ti permette di creare qualcosa, ti regala una grande soddisfazione personale. Ti fa però vivere anche nella paura, specie oggigiorno e la tua responsabilità è soprattutto verso tutte le famiglie dei lavoratori che contano sul buono stato di salute della tua azienda. Ma il senso di appagamento è qualcosa di indescrivibile quando si riesce a raggiungere i propri obiettivi. Una sensazione che, anche come presidente di associazione di categoria, ho provato e provo ogni volta che porto un’istanza delle PMI ai membri del Governo e del Parlamento e combatto insieme al mio team per far sì che la richiesta non resti in un cassetto. Certo, quando si tratta di politica il discorso è molto più ampio di così…
Nel primo capitolo del libro, in cui analizza la nascita e lo sviluppo di un progetto imprenditoriale, sostiene che per avere successo ci vuole carattere. Si sente spesso dire che per fare successo ci vogliono fortuna, preparazione e coraggio. Difficilmente si sente parlare di carattere. Cosa intende? Quali sono i tratti distintivi di cui un leader deve essere necessariamente provvisto per avere successo nel mondo dell’imprenditoria?
Fare impresa, “essere” impresa significa anche formare e gestire un team, amministrare un’azienda con tutti gli adempimenti obbligatori e continui, reggere la pressione degli imprevisti e anche dell’ordinario quotidiano, l’ansia, lo stress. Sono tutti aspetti che richiedono determinazione, intraprendenza e tanta formazione, di nuovo. Carattere, appunto. Cosa significa? A parole è semplice, nella pratica un po’ meno. Per raggiungere gli obiettivi prefissati servono motivazione e persuasione, curiosità, capacità di scegliere i giusti collaboratori, di renderli edotti, affidando loro le giuste deleghe e coinvolgendoli nello sviluppo dell’azienda. È fondamentale anche saper gestire e risolvere al meglio i conflitti potenziali e reali. Chiaro, dunque, che empatia e comunicazione siano altri due aspetti del carattere che serve all’imprenditore moderno, e non solo nei confronti dei collaboratori ma anche verso fornitori, stakeholder e istituzioni.
Nel testo fornisce tanti punti di vista preziosi per chi si appresta a dare vita ad un progetto imprenditoriale. Una serie di consigli e spunti che, come ha detto a più riprese, sono stati maturati con l’esperienza sul campo tra difficoltà, ostacoli, successi e importanti traguardi. Quali sono gli ostacoli principali che ha incontrato nel corso della sua carriera imprenditoriale e quali tra questi hanno avuto maggior impatto nel costruire l’imprenditore che è oggi?
Sono innumerevoli gli ostacoli, soprattutto perché in me convivono sia l’imprenditore sia il presidente nazionale, ma anche territoriale a Lucca, di un’associazione datoriale che è Conflavoro PMI. Dunque, conosco bene anche quelli che non riguardano direttamente me. Se le istanze sono le medesime, gli ostacoli e le responsabilità sono invece doppie. Da imprenditore ho avuto momenti difficili, fatto una gavetta importante partendo dal sud Italia, scoperto da giovanissimo cosa voglia dire essere un neofita dell’imprenditoria, il dover contare solo su stessi perché nessuno ti parla mai di formazione imprenditoriale e non esistevano associazioni di categoria che sapevano offrirla. Sono tante le porte in faccia che mi hanno temprato. Ho capito che, per crescere come uomo e come imprenditore, dovevo circondarmi di persone intraprendenti e di alti esempi da cui apprendere. Ho scoperto col tempo di avere bisogno di regole, perché altrimenti le opportunità e l’intuito, da soli, finiscono per non bastare più. Ecco perché oggi in Conflavoro PMI accogliamo volentieri chi è alle prime armi e chi ha il desiderio di crescere, di fare rete, di imparare.
Ad un certo punto si sofferma sull’importanza del team di lavoro, fin dalla scelta dei primi collaboratori, analizzando il peso che quest’ultimo ha sul successo di un’impresa. In ogni ambiente di lavoro è innegabile che un buon clima sia il presupposto di una quotidianità lavorativa collaborativa ed efficiente. Qual è, a parer suo, l’impatto che il clima aziendale può avere sul successo dell’impresa? Quali sono altri elementi ai quali un imprenditore dovrebbe prestare maggiore attenzione nel tenere le redini del suo progetto?
Il clima aziendale può essere informale oppure formale, ma in ogni caso deve essere continuamente monitorato e risultare armonioso. È un aspetto fondamentale per la corretta gestione e lo sviluppo dell’azienda, di qualsiasi attività si tratti. Quando parliamo di clima aziendale parliamo di un gruppo di persone in cui si creano determinate condizioni che ne condizionano la motivazione. Che a sua volta è il complesso di numerosi aspetti del singolo come bisogni, desideri, obiettivi, cultura, relazioni sociali, soddisfazione rispetto al corrispettivo economico del proprio lavoro, possibilità di fare carriera in azienda. Ecco, monitorare il clima aziendale significa tenere conto di tutto questo, magari anche attraverso questionari anonimi, e mantenerlo armonioso significa saper rimodulare per tempo le priorità organizzative in caso di malesseri accertati.
Vorrei riprendere una domanda che pone ad alcuni personaggi intervistati nell’ultima parte del suo libro per sottoporle lo stesso interrogativo: a suo avviso, ad oggi quali sono i maggiori problemi che un imprenditore si trova ad affrontare (aggiungerei sia nell’avviare l’attività che lungo il percorso) e quale potrebbe essere la ricetta per superarli?
La risposta, purtroppo, è fin troppo scontata e nota a chi fa impresa: il groviglio della burocrazia, la pressione fiscale insostenibile, il costo del lavoro praticamente senza eguali, gli ostacoli che si frappongono tra un giovane e il mercato del lavoro, problema che riguarda appunto anche chi vuole aprire un’azienda. E poi c’è lo scoglio dell’accesso al credito, la scarsa incentivazione dello Stato in termini di assunzioni e sgravi utili allo sviluppo, la grande difficoltà nel reperire personale formato a dovere, il poco per non dire nullo dialogo tra i centri per l’impiego e i territori, dove deve nascere l’effettivo incontro tra domanda e offerta di lavoro. Insomma, fare impresa è la vera impresa. Per superare tutto ciò, serve la massima collaborazione, il massimo ascolto tra le istituzioni politiche e le associazioni responsabili che rappresentano le imprese, le parti sociali lungimiranti, il sistema scolastico e universitario, le aziende del territorio. Se lo Stato riuscisse a non ostacolare lo sviluppo libero e sano delle imprese, io credo che nulla fermerebbe l’ingegno, lo sforzo, l’anima del Paese.
Collegandomi a quest’ultima domanda, vorrei concludere spostandomi su temi più che mai attuali. Nel suo libro dedica un intero capitolo alle sfide che il Covid-19 ha posto di fronte al mondo del lavoro e dell’imprenditoria, passando in rassegna ciò che il governo ha fatto per le imprese e che – a suo parere – avrebbe potuto fare. Oggi le imprese si trovano, a poco più di due anni di distanza, a far fronte a una nuova crisi, quella del caro-energia. Quali sono secondo lei le maggiori criticità che sta vivendo il mondo del lavoro? Dal punto di vista normativo, quali potrebbero essere le riforme più urgenti per sopravvivere a questa nuova crisi?
Il caro-energia non ha permesso di tirare il fiato dopo la pandemia: continuano a cambiare i bisogni, le abitudini e quindi i mercati. La scarsa reperibilità delle materie prime, le bollette fuori controllo ormai da un anno, stanno trascinando verso un lento collasso la piccola e media impresa creando un effetto domino gravissimo sulle filiere. Gli esempi sono innumerevoli e variegati. Prendiamo una pizzeria, una lavanderia industriale, un salone di parrucchieri: a prescindere dall’attività, va da sé che una bolletta triplicata rispetto a un anno fa prevede spese extra che creano difficoltà enormi, fino ad arrivare ai cali o blocchi di lavoro, alle casse integrazioni o ai licenziamenti, agli aumenti inevitabili del costo e del prezzo del prodotto o servizio e quindi una graduale riduzione dei consumi. Del resto il carovita finisce per colpire sempre le famiglie. Improvvisamente abbiamo scoperto quanto siamo dipendenti da altri Paesi. Conflavoro PMI al nuovo Governo ha chiesto celerità e concretezza decisionale. Il binario deve essere doppio e parallelo, ossia nazionale e comunitario con soluzioni di breve e medio periodo. Serve diversificare gli approvvigionamenti, massimizzare l’utilizzo delle risorse nazionali, incentivare le imprese per la transizione energetica sostenibile, creare un fondo di garanzia per finanziamenti a tasso zero alle imprese che hanno necessità di coprire questi costi esorbitanti, compensare comunque i costi extra in bolletta. E poi servirebbe una seria azione comune europea perché a rischio, adesso, c’è anche la concorrenza sana e leale. Al momento i nostri paesi competitor offrono condizioni migliori e più sicure delle nostre, prezzi di prodotto più bassi e così viene danneggiato anche il nostro export. Per diversi aspetti sembra che il governo Meloni ci stia dando ascolto. Vediamo con il prossimo provvedimento come andrà.
Di fronte alla crisi appena detta, quali strategie sta mettendo in campo Conflavoro PMI a sostegno delle imprese?
Sono molte e fanno parte di un quadro più ampio, specie a livello politico con un’azione di lobbying continua e, piano piano, vincente. A livello più immediato, mi fa piacere focalizzarmi sulle nostre azioni volte a sostenere l’accesso al credito per le imprese e sull’informazione relativa ai bandi e agli incentivi esistenti. Specie in questi ultimi anni, la priorità delle PMI e il loro grande problema è proprio la scarsa liquidità. Conflavoro PMI cerca di favorirlo facendo incontrare le aziende con una nostra rete di banche e istituti di credito con cui abbiamo stretto sinergie. O, appunto, informando e seguendo le imprese nell’iter per partecipare ai bandi. La scarsa liquidità è un problema enorme: blocca gli investimenti, quindi il rilancio, e spesso è anche una mannaia sul collo delle aziende che, purtroppo, non riescono a sopravvivere. C’è poi tutto il capitolo della bilateralità sindacale e del welfare aziendale, che conviene sia alle aziende sia ai lavoratori perché aumenta senz’altro il loro potere d’acquisto in un momento così incerto. Coi nostri contratti collettivi di lavoro, inoltre, andiamo incontro alle esigenze e ai comparti del nuovo mondo del lavoro. Conflavoro PMI, prima di tutto, è infatti il sindacato delle aziende e l’affiancamento in tal senso, oggi andato per lo più perduto, per noi è invece fondamentale.