Non c'era l'attivista Angela Davis, ma c'era il suo libro: "Blues e femminismo nero". Un sentito omaggio a tre grandi artiste - Gertrude Ma' Rainey, Bessie Smith e Billie Holiday - che, con la loro musica, si sono fatte paladine dei diritti delle afroamericane nei duri anni della segregazione razziale negli Stati Uniti.
A presentarlo, nella sala conferenze 'Sibilla Aleramo' della biblioteca delle Oblate di Firenze, l'associazione Progetto Arcobaleno e Kibaka Africa Books per il programma "Apriti Sesamo: lingue, linguaggi e narrazioni multiculturali". Relatori dell'incontro Matias Mesquita, nelle vesti di moderatore, Talatou Clèmentine Pacmogda, attivista e scrittrice fortemente legata a Barga, ed Erika Bernacchi, Ph.D. in Women's Studies presso University College of Dublin. Presente infine Tiziana Chiappelli dell'università di Firenze.
L'auditorium - popolato di molte donne e, ahinoi, troppo pochi uomini - era allietato da una bellissima mostra fotografica a cura di Andrea Lippi intitolata "AppenninoGiappone": una serie di scatti emozionanti che mettevano a confronto i paesaggi lontani dell'Oriente con quelli più 'familiari' delle Alpi Apuane, della Valle del Serchio e, più in generale, dell'Appennino Tosco-Emiliano.
La prima a prendere la parola è stata Clèmentine che, con trasporto, ha esposto la propria relazione parlando della musica blues e delle sue interpreti di spicco, spiegando come questa abbia rappresentato un primo strumento di emancipazione per la donna afroamericana: "Le donne nere - ha esordito Clemèntine - hanno subito un doppio razzismo nel corso della storie: i bianchi le hanno maltrattate in quanto nere, i neri in quanto donne. Esse non erano libere nemmeno di amare e di esprimere il loro amore. Solo con il blues la rivendicazione della propria sessualità venne conquistata. Fu un passo importante per l'emancipazione".
Si può dire che Gertrude Ma' Rainey, Bessie Smith, Billie Holiday (e, con loro, moltissime altre) furono femministe senza saperlo. Attraverso le loro canzoni, combatterono per i diritti della donna. "Blues, in italiano, signfica 'malinconia' - ha spiegato Clèmentine -. Tramite di esso, la donna ha potuto esprimere finalmente il proprio desiderio. Sono state ostracizzate, però, dall'ambiente perché, cantando, le donne provocavano: incitavano alla libertà, al viaggio, all'amore. Ecco: se la chiesa dava loro la promessa di una felicità futura, il blues le offriva una felicità presente, concreta, sulla terra".
Molto interessante anche l'intervento della ricercatrice Erika Bernacchi che, da studiosa del femminismo, ha concentrato l'attenzione sul contributo che queste cantanti hanno dato alla battaglia per l'emancipazione: "L'aspetto che più mi ha colpito di queste grandi interpreti - ha sottolineato - è la loro fermezza e la loro volontà di ostentare un'immagine sfarzosa. Volevano comunicare la rivendicazione del proprio status, senza scendere ad alcun tipo di compromesso. Volevano essere considerate per il loro valore, non per la loro pelle. Per questo non accettavano di dover scendere alle condizioni imposte dall'uomo bianco".
"La violenza e la crudeltà non sono nere o bianche, sono umane": questo bellissimo aforisma di Clèmentine è forse la degna conclusione di un incontro che ha dato tanto, a livello umano, a coloro che erano presenti in sala.
Blues e femminismo nero: alle Oblate anche una mostra sull'Appennino e il Giappone
Scritto da Andrea Cosimini
L'evento
24 Settembre 2022
Visite: 914
- Galleria: