Matta o assassina? Malata isterica o minaccia per il regime? Pentito tentatore o inguaribile invertito? La vita, alle volte, è davvero ingiusta quando pone gli uomini davanti a un bivio la cui unica opzione concessa è quella dell'abiura di sé.
Scriveva Hannah Arendt che, nei paesi incivili - e l'Italia fascista, come la Germania nazista, certamente lo era -, il bene e il male tendono a sostituirsi gli uni con gli altri. Come se la società - tutta - imparasse a resistere alle tentazioni della coscienza.
C'è davvero della follia nella guerra. Il manicomio, in questo perverso meccanismo, diventa l'unico punto di carità per chi accetta il compromesso della propria natura. Accettarne la diversità, significa ammettere una colpa. Come succede a Ida, Bruno e Maria nello spettacolo "Bagni di Luce" andato in scena ieri sera, al Teatro "Idelfonso Nieri di Ponte a Moriano, come quarto appuntamento del Gran Premio Nazionale di Teatro Amatoriale organizzato dalla F.I.T.A.
Ida (interpretata dalla stessa autrice del testo, Tiziana Mantovani) è l'unico personaggio storico riconoscibile nella drammaturgia che prende spunto - ma solo spunto! - da un fatto realmente accaduto: l'internamento di Ida Irene Dalser, prima moglie di Benito Mussolini, all'interno di un manicomio psichiatrico dove perse tragicamente la vita. Gli altri, Maria (una magistrale Raffaella Danielli) e Bruno (Matteo Baroni), sono funzionali alla trama.
Sicuramente l'allestimento più riuscito, fino a qui, della rassegna. Profondo, coinvolgente. A tratti commuovente. Il silenzio, reso attraverso il suono (e, qui, merita subito un plauso il tecnico audio Francesco Speziale), è assoluto protagonista: l'inizio è quasi kubrickiano. Ricorda il vuoto primordiale dell'incipit di "Odissea nello Spazio". Il set è minimale e asimmetrico (sic!) nella sua pensata simmetria. Due separé (il primo, inspiegabilmente, a un pannello, il secondo a due); due brandine, una nera (dissonante con i colori cardine della scenografia che sono il bianco e il rosso) e una rossa (che carica di aspettative, ahimé deluse, lo spettatore); infine una sedia centrale a mo' di confessionale.
Bello il gioco di luci che riprende, da una parte, l'asettico ambiente dell'ospedale (un bianco freddo) e, dall'altra, l'inferno interiore vissuto dai protagonisti (un rosso acceso). Peccato, invece, per alcune imperfezioni nelle ombre cinesi dietro i paraventi. Le musiche sono perfettamente azzeccate e incalzanti. Forse un po' invadenti, in termini di volume, in alcuni monologhi.
Maria, dei tre, è il carattere più riuscito. Non si sa se per merito della scrittura o dell'interpretazione. Forse di entrambe. Gli altri due attori sono più anonimi nella resa. Meno nella parte. Raffaella Danielli è davvero convincente nel suo ruolo che, come una matrioska, le impone di recitare all'interno della stessa recitazione. Il suo personaggio, un'innocente maestra di scuola che si è macchiata di un crimine domestico, deve accentuare la sua (finta) malattia mentale per non finire al confino. Esagera, appositamente. Si finge più stupida di quella che è. Segue il consiglio dell'infermiere Bruno, carceriere e prigioniero allo stesso stempo, che le suggerisce di continuare la recita per salvarsi.
Ida rimane in disparte. C'è, però, tensione nel suo voler ribellarsi al sistema. A differenza di Maria - che alla fine si rileva la più lucida dei tre nel momento in cui decidono, di comune accordo, di togliersi la vita per non dare a "loro" (ovvero ai fascisti) la possibilità di decidere anche sulla loro morte dopo averlo fatto sulla loro vita - non cede così facimente al compromesso. L'abiura non le viene spontanea. Il sentimento di giustizia prevale sul suo istinto di sopravvivenza.
Complimenti alla regia di Francesco Brandi. Lo spettacolo si consuma in un atto unico e non annoia mai. O quasi. La scena finale, che ricorda la pietà michelangiolesca, è costruita bene dal punto di vista registico, ma stucca il riferimento all'attualità. Si può parlare del passato per far riflettere lo spettatore odierno sui fatti attuali senza, per forza, esplicitarlo. Può risultare ridondante. E, per qualcuno, persino antipatico. In fondo Camus, quando parla della peste, non inneggia mai al fascismo e al nazismo. Eppure è implicito per chi legge.
Una bella serata di teatro. Tutto qui. Tante le riflessioni che si potrebbero ancora fare e che forse, più avanti, ci sarà modo di argomentare. Intanto però questa compagnia - Area Fuori Tema, rappresentante la regione Emilia Romagna - e la sua 'madrina' (of course) meritano un sincero e sentito applauso.
Foto di Roberto Pardini
"Bagni di Luce" al teatro Nieri: il manicomio come unico atto di carità nella folle logica della guerra
Scritto da andrea cosimini
L'evento
11 Maggio 2025
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