E' in dirittura d'arrivo il progetto LIFE M.I.R.Co-Lupo (Minimizzare l'impatto del randagismo canino sulla conservazione del lupo in Italia). Un progetto finanziato dal Programma LIFE dell'Unione Europea che ha preso avvio nel 2015 e che si concluderà nel prossimo mese di settembre con la presentazione dei risultati ottenuti nell'ambito di un convegno a carattere nazionale.
In attesa di questa prestigiosa vetrina, obiettivi, azioni e una prima sintesi dei risultati ottenuti sono stati anticipati dai tecnici dello staff del Parco Nazionale dell'Appennino tosco-emiliano in occasione di un incontro (press tour) organizzato in modalità video-conferenza.
Le note limitazioni agli spostamenti imposte dai diversi DPCM legati alla situazione sanitaria provocata dal Covid19 non hanno infatti impedito lo svolgimento dell'incontro con tredici giornalisti accreditati all'incontro.
Il lupo, come è noto, è una specie protetta dalla Direttiva Habitat in quasi tutta Europa e integralmente protetta dalla legislazione italiana. Il randagismo canino è all'origine di incroci tra lupi e cani che possono mettere in serio pericolo la conservazione del patrimonio genetico del lupo. Si tratta infatti di una forma di "ibridazione non naturale" che, favorita direttamente o indirettamente dall'uomo, può trasmettere al lupo caratteri fisici, comportamentali e fisiologici di origine canina e quindi non adatti alla vita selvatica e al suo ruolo di super predatore. "Sperimentare l'efficacia di soluzioni gestionali per ridurre l'impatto negativo dell'ibridazione antropogenica – esordisce Luigi Molinari, tecnico del progetto LIFE MIRCO-lupo nel Parco Nazionale dell'Appennino Tosco Emiliano - è stato uno degli obiettivi principale del progetto".
Due gli strumenti messi in campo: neutralizzare il potenziale riproduttivo degli individui ibridi lupo-cane, nonché contenere il numero dei cani vaganti e randagi presenti nelle aree di progetto".
Gli obiettivi specifici sono stati raggiunti mediante ventotto diverse azioni realizzate nel territorio dei parchi nazionali dell'Appennino tosco-emiliano e del Gran Sasso e Monti della Laga, partner di progetto assieme all'Arma dei Carabinieri, l'Istituto di Ecologia Applicata di Roma e Carsa s.r.l..
"Sono stati catturati - continua Molinari - complessivamente 21 animali; 19 di questi sono risultati ibridi alle indagini genetiche, e quindi sono stati sterilizzati. Tutti gli animali catturati sono stati dotati, prima del loro ritorno allo stato selvatico, di un sistemi di localizzazione estremamente efficienti (radio-collari GPS-GSM) con i quali è stato possibile monitorarne gli spostamenti e le attività sul loro territorio".
Sorprendente è stata la valutazione delle localizzazioni di alcuni di questi animali, soprattutto di quelli più giovani e di "basso rango" sociale. Le localizzazioni collezionate nel tempo hanno, infatti, rappresentato sia la capacità di dispersione della specie (veri e propri spostamenti di decine e decine di chilometri) sia purtroppo l'abitudine di alcuni di questi animali a recarsi nelle concimaie delle stalle in cui sono allevate le vacche per la produzione di latte da destinare alla trasformazione casearia per cibarsi opportunisticamente di ciò che viene smaltito attraverso questa abitudine consolidata in Appennino (placente, vitelli nati morti, ...).
Questa abbondanza di cibo facilmente utilizzabile e disponibile durante l'intero arco dell'anno ha reso questi animali certamente più confidenti con le pertinenze delle stalle creando altresì molteplici e ripetute occasioni di incontro tra lupi e cani, presenti spesso in gran numero nei pressi delle stalle. Questi incontri abituali tra lupi e cani sono probabilmente all'origine dei sempre più frequenti episodi di predazione su cani che si stanno collezionando negli ultimi anni in Appennino.
"Sul fronte delle attività dirette al contenimento del randagismo canino – spiega lo zoologo del Parco Nazionale - sono stati registrati all'anagrafe canina oltre 600 animali; sono stati sterilizzati, su base volontaria, ben 57 cani; sono stati effettuati oltre 480 trattamenti sanitari a cani di aziende agricole e sono stati catturati e destinati ai canili territorialmente competenti 25 cani randagi.
"E' necessario sottolineare – interviene il Responsabile di progetto, Dott. Willy Reggioni - la dimensione sperimentale e innovativa del progetto e conseguentemente il valore dei risultati ottenuti sia sul piano della conservazione della specie lupo, sia sul piano della corretta comunicazione, sensibilizzazione e coinvolgimento delle comunità locali su un argomento così articolato e complesso da essere poco comprensibile al grande pubblico".
"Il progetto – prosegue Reggioni - lascerà in eredità ai Parchi nazionali che lo hanno sviluppato un grande patrimonio di esperienze e di conoscenze che dovranno essere ampiamente utilizzate in futuro anche da Regioni, Enti e altri soggetti competenti. E' possibile, infatti, mettere in atto nuove buone pratiche di gestione della presenza di questi animali alla luce delle criticità dei nuovi scenari che sono stati osservati. Mi riferisco alla presenza di questi super predatori anche in contesti molto antropizzati, un fenomeno che dovrà essere attentamente monitorato e valutato con estrema attenzione perché sia garantita la coesistenza tra uomo e lupo anche nel futuro".