Questa volta non sono stati la spalla di nessuno. E nemmeno hanno avuto il bisogno di essere sdoganati da un qualunque Berlusconi d'accatto. Questa volta hanno fatto tutto da soli, aiutati dalla miopia di una classe politica senza alcuna capacità interpretativa dei reali bisogni, emotivi ed effettivi, delle masse e, soprattutto, degli italiani. Aveva ragione Ida Magli, quando si calpesta l'identità di un popolo, quando si annienta ogni anelito di appartenenza e di coscienza nazionali, inevitabilmente si finisce per scatenare una reazione. Chiamatela, se volete, antropologia o, meglio ancora, essenza dell'uomo, la bestia stupida di sempre che mai capirà le lezioni del passato. Giorgia Meloni ha trionfato, non soltanto vinto questa tornata elettorale. Impossibile sarà, per un antisovranista come il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, non darle l'incarico di formare il nuovo governo del paese. A sezioni non ancora completamente scrutinate, il suo partito, Fratelli d'Italia, ha sfondato il tetto del 25 per cento delle preferenze e con un astensionismo di oltre il 35 per cento. Questo significa, in soldoni, che a destra, se avessero votato tutti, avrebbero fatto bingo poiché anche i sassi sanno che a sinistra vanno sempre tutti a votare. Se Giorgia Meloni è e sarà la prima premier donna in Italia - così da inchiodare al muro i beceri che, se al suo posto ci fosse stato Salvini, avrebbero scatenato la rivolta - non si può non registrare il crollo, devastante, incontestabile, inconfutabile della Lega di Matteo Salvini, unico vero responsabile di una disfatta annunciata da tempo da quando, cioè, aveva accettato di rinunciare a essere coerente con quanto era andato dicendo da anni alleandosi, al governo, con Mario Draghi e le altre forze sovranazionali.
Che questo sia stato un voto di protesta, è innegabile. Contro le misure anti-Covid, contro due anni di distruzione sociale ed economica, contro misure che hanno represso ogni anelito di libertà, ma, soprattutto, di speranza. Contro una classe politica digerente che ha da sempre preferito chiunque, anche il porco, purché non italiano. Ecco, gli italiani, alla fine, hanno risposto come si merita una classe politica che ha rinunciato da decenni a fare il bene del proprio popolo alleandosi con organismi sovranazionali il cui unico compito, in nome di un presunto benessere mondiale, è quello di omogeneizzare i popoli annientandone ogni anelito di identità. Perché, credete, anche i popoli anzi, forse, in particolare loro, hanno un profondo senso di identità e, se ci pensate bene, ogni guerra, nonostante si blatera destra e a sinistra, viene combattuta proprio in nome di una più o meno ragionevole pretesa di rispetto di una identità che qualcuno, a torto o a ragione, cerca di disperdere o cancellare. Basterebbe chiedersi la ragione principale del crollo della ex Urss, oppure della ex Jugoslavia. Invece no, si continua a pensare e a credere che siamo tutti fratelli... Idioti e ciechi. Siamo eguali, ma, allo stesso tempo, profondamente diversi il che non significa l'uno contro l'altro armati, ma la soglia tra il conflitto e il confronto è cosa che attanaglia l'umanità sin dal suo sorgere. Sta qui, in questa altalena in costante movimento, l'essenza della politica e della diplomazia.
Tornando al voto di ieri-oggi, Matteo Salvini se avesse dignità politica, dovrebbe dimettersi e, invece, chissà cosa pretenderà e farà passare per vittoria una sconfitta epocale: la Lega, con questo risultato, abbandona ogni pretesa di egemonia nazionale per ritirarsi, forse, nei confini che le voleva assegnare in totale autonomia se non, addirittura, indipendenza, un altro esponente leghista che ha saputo fare solo il male dell'Italia, Umberto Bossi. E con Salvini dovrebbero andarsene svariati esponenti della nostra provincia che hanno condotto il partito alla rovina.
Pensare che Forza Italia stia col fiato addosso alla Lega sarebbe stato impensabile fino a qualche mese fa. Invece quel che si augurava la Mummia al secolo Silvio Berlusconi, è avvenuto.
Ha vinto il centrodestra, ma governare, passata la festa iniziale, sarà tutta un'altra cosa anche perché la maggioranza, ammesso che ci sia, sarà davvero risicata.
Venendo alle cose di casa nostra, da registrare la vittoria, quasi certa, di Riccardo Zucconi che riprenderà il suo treno per Roma, di Massimo Mallegni che ha gestito una campagna elettorale ai limiti della perfezione, dell'ex presidente del Senato Marcello Pera al quale pronostichiamo un futuro, pardon un presente da ministro delle riforme costituzionali. Non tutte le sezioni sono state, finora, esaminate, ma, a nostro modesto avviso, ci sono ottime probabilità che questo sia il risultato finale.
Così come balza all'occhio la, se confermata, clamorosa sconfitta - non per noi che l'avevamo annunciata - del senatore Pd Andrea Marcucci che, dopo legislature di ininterrotta partecipazione, questa volta resterà fuori dall'emiciclo di palazzo Madama. Candidarlo a Lçivorno è stato, perdonateci l'ardire, un omicidio preterintenzionale se non, addirittura, premeditato. Accettare la candidatura, da parte dell'ex capogruppo al Senato, un suicidio che non trova spiegazioni se non nella non conoscenza del collegio in cui si è stati presentati. Sarebbe bastata una telefonata e gli avremmo spiegato, sin da subito, che cosa è Livorno e perché il suo eventuale assenso sarebbe stato un errore imperdonabile. Adesso vedremo che cosa farà da grande Andrea Marcucci a parte restare nel Pd - ma ci resterà?, e se sì, con quale peso? - ma è chiaro a tutti che il suo ruolo sarà fortemente ridimensionato. Soprattutto, nell'immaginario collettivo che è, in fondo, quello che più conta alle nostre latitudini.