Esiste davvero la possibilità di un’espiazione, o quantomeno di uno “sconto” di colpa, per coloro che si sono macchiati le mani di sangue? E inoltre, come reagiremo, e quale sarebbe il fardello che dovremo portare, se il “colpevole” fosse una persona a noi cara, per non dire un familiare?
Domande così profonde da creare un abisso, quesiti e riflessioni che mettono in discussione il concetto di umanità portando all’estremo le dinamiche più spigolose della nostra società.
Un terreno molle, su cui i passi non possono che essere incerti, anche perché non è al momento possibile, e forse non lo sarà mai, trovare una conclusione che possa incontrare l’approvazione di tutti.
Sembra uno scenario così distante e terribile dalle nostre vite da considerarlo quasi fantascientifico, eppure sono probabilmente centinaia, se non migliaia, le persone che si sono poste queste domande proprio perché invischiati in fatti tutt’altro che piacevoli.
Una sfaccettatura della vita, senza dubbio catastrofica, ma come tale degna di essere raccontata.
Ci ha provato Filippo Gilli, regista e sceneggiatore, e dal suo sforzo intellettuale è nata l’opera “La Sorella Migliore”, un intenso e turbinoso dramma familiare che cerca di sondare la vita di tre fratelli e una madre in seguito a un grave incidente stradale provocato proprio da un membro della famiglia.
La pièce ha raggiunto, nella serata di ieri, anche la Mediavalle del Serchio, il Teatro dei Differenti di Barga per la precisione, accompagnando una sala gremita di spettatori in un viaggio fatto di dialoghi solenni, silenzi dolorosi e pose statuarie.
Sul palco, i quattro protagonisti della storia: c’è Luca (interpretato da Giovanni Anzaldo), colui che otto anni prima, sotto effetto di alcol e droghe, causò l’incidente stradale che costò la vita a Caterina, e ora agli arresti domiciliari e con altri tre anni di reclusione davanti; c’è Sandra (Daniela Marra), chimica e sorella del reo, pervasa da un così forte sentimento nei confronti del fratello da ospitarlo in casa sua durante la prigionia; e poi la mamma (Michela Martini), immersa in un silenzioso e decoroso dolore che cerca di esorcizzare con qualche battuta, e per finire il vero fulcro attorno a cui si dispiega la narrazione: Giulia (Vanessa Scalera), sorella maggiore e brillante avvocato in grado di scovare la chiave di volta utile per la scarcerazione in anticipo di Luca.
Un elemento in grado di sconvolgere le vite dei quattro non cambiando però, nei fatti, assolutamente nulla. Un cavillo, o un macigno se osservato da un altro punto di vista, che non solo non risolve i problemi in sospeso ma esaspera le sofferenze e i dubbi dei protagonisti.
Nonostante alcuni momenti di quiete apparente e scatti di leggerezza, “La Sorella Migliore” racconta quanto, e molto spesso, il senso della morale e del rimorso siano diametralmente opposti anche all’interno di una famiglia e persino tra fratelli: una statica epopea in cui vittime e carnefici si mescolano, impedendoci di immedesimarsi con gli attori ma, nello stesso tempo, portandoci a riflettere sulle nostre ipotetiche azioni in una situazione simile.