Il gioco dei dadi è una forma di intrattenimento dalle origini antiche ma ancora oggi diffusa. Da semplici oggetti utilizzati nelle scommesse, oggi i dadi sono strumenti tecnologici utilissimi e una particolare coppia di dadi etruschi attira ancora l’interesse di studiosi ed esperti.
La storia e il futuro dei dadi
I dadi tradizionali non sembrano essere cambiati molto nel corso dei millenni. Il cubo con sei facce numerate era infatti già diffuso, si pensa, nell’Antico Egitto e in India, per poi arrivare nell’Antica Grecia e nell’Antica Roma. Ne sono testimonianza i numerosi riferimenti ai dadi presenti negli scritti di Tacito e Orazio e la celebre frase detta da Giulio Cesare dopo la traversata del Rubicone: il dado è tratto. Quello dei dadi rimase un gioco molto amato per tutto il medioevo, tanto che si hanno testimonianze anche di dame amanti di questo passatempo e una particolare variante del gioco, la zara, viene citata da Dante nella Divina Commedia. Nei secoli, i dadi si sono evoluti prendendo diverse forme come il tetraedo, l’ottaedro e l’icosaedro, oggi molto usati dei giocatori di GdR come Dungeons & Dragons, basato sui risultati ottenuti dal lancio dei dadi, e i numeri e i simboli presenti sui dadi furono in alcuni paesi, come in Germania, talvolta sostituiti da parole e immagini.
Chi gioca ancora ai dadi oggi? Come raccontano sul loro portale, gli esperti di CasinotopsOnline sono a conoscenza che i giocatori, oggi, prediligono altre forme di scommesse ai dadi tradizionali, utilizzati ormai principalmente come strumenti per calcolare punteggi e avanzare in giochi di società più complessi. Il dado sembra però aver trovato una nuova vita digitale sotto forma di diceware, dadi digitali in grado di creare casualmente password e passphrase difficili da decrifrare in ben undici lingue.
Il mistero dei dadi etruschi
Grazie alle influenze romane e greche, il gioco dei dadi si diffuse anche tra gli etruschi, come testimoniato dal rinvenimento di un’anfora funeraria in una tomba a Vulci raffigurante Achille e Aiace che, durante un raro momento di pausa durante la guerra di Troia, si dilettano nel lancio dei dadi. Grazie al duro lavoro degli archeologi, oggi possiamo ammirare di persona dei veri dadi etruschi come gli undici dadi conservati presso il Museo Etrusco Guarnacci di Volterra. Se i dadi di Volterra hanno incisi sulle facce dei cerchi che indicano i numeri da uno a sei, una coppia di dadi trovata a metà del XIX secolo riporta invece sulle facce i numeri scritti in lettere. Questo ritrovamento più unico che raro ha dato il via a molti studi, come racconta un articolo del blog Monte Prama, dedicati alla decifrazione delle parole.
Se per molti è chiaro che le lettere presenti sulle facce siano le parole etrusche per i numeri uno, due, tre e così via (anche se non c’è accordo tra gli studiosi per il numero quattro e il sei), per altri i dadi di Vulci nasconderebbero un rebus e un’antica e più complessa versione del gioco della morra cinese. Secondo alcuni, infatti, le lettere riportare sui dadi non sarebbero altro che le iniziali di parole più lunghe in greco, etrusco e latino col significato di sasso, coltello/forbici, rete, pesce, verme e porta. Secondo questa teoria tirando il dado la vittoria non sarebbe andata a chi avrebbe ottenuto il numero più alto ma a chi, secondo queste combinazioni, avrebbe tirato il simbolo vincente.
A prima vista semplice, il gioco dei dadi porta con sé una tradizione millenaria, protagonista di momenti storici che studiamo ancora oggi ed è testimone di misteri ancora irrisolti.