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Parlamento Europeo di Bruxelles: viaggio col generale Roberto Vannacci nel cuore della politica del vecchio continente
Bruxelles, capitale del Belgio e sede istituzionale dell'Unione Europea, accogliendo ogni anno, oltre a parlamentari e funzionari a vari livelli, migliaia di visitatori desiderosi come noi di esplorare il Parlamento Europeo per scoprire dinamiche spesso sconosciute e avere una migliore visione del lavoro che viene svolto al suo interno
Yamila Bertieri e Loreno Bertolacci a Bruxelles con Roberto Vannacci e non solo... Ecco (alcuni) dei tanti amici del generale
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Elezioni ordinistiche per il quadriennio 2025-2028
Sabato 23, domenica 24 e lunedì 25 novembre (sempre dalle 9 alle 19) si terranno le…
Lo champagne della famiglia Signorini dalla Francia ai Caraibi nella splendida isola di Barth
Ci sono isole da sogno che per essere raggiunte necessitano non solo di molte ore di viaggio in aereo, ma anche di un cospicuo bagaglio in euro se…
Il teatro per grandi e piccoli con "Matilde di Canossa, la donna che sfidò il suo tempo" a Barga e "Amerigo, il topolino che scoprì il mondo" a Borgo a Mozzano
Il teatro per grandi e piccoli in due appuntamenti a Barga e Borgo a Mozzano, sabato 16 novembre per il del terzo festival "I Musei del Sorriso", organizzato dal…
Una donna straordinaria, uno spettacolo per tutti. Sono aperte le prenotazioni per lo spettacolo "Matilde di Canossa, la donna che sfidò il suo tempo"
Ancora posti disponibili per assistere gratuitamente all'anteprima dello spettacolo "Matilde di Canossa, la donna che sfidò il suo tempo" nel calendario di questa settimana del terzo festival "I Musei del…
Consegnati il Premio Enzo Pedreschi e il Premio speciale alla memoria di Andrea Bertucci
Nell’ambito della cerimonia di apertura di “Garfagnana Terra Unica” alla tensostruttura di Castelnuovo, sono stati consegnati due importanti premi, il Premio Enzo Pedreschi e il Premio speciale alla memoria di Andrea Bertucci, assegnati a tre persone del territorio
Lions Club Antiche Valli Lucchesi - Lions Club Valle del Serchio, convegno su lavoro, diritto e produttività
I due Lions Club organizzano per martedì 12 novembre alle ore 16,30 presso la sala assemblea di Confindustria Toscana in piazza Bernardini 41 a Lucca un importante convegno…
A Milano la consegna dei premi di ricerca promossi dalla fondazione Carlo Erba e Kedrion Biopharma
Oggi a Milano, presso la Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano (Via Francesco Sforza, 35), si è svolta la cerimonia di consegna dei Premi di ricerca 2023 promossi dalla Fondazione Carlo Erba e Kedrion Biopharma in collaborazione con INGM
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Alessandro Sallusti, 64 anni, direttore responsabile de Il Giornale, ha scritto un libro facile da acquistare, semplice da trovare, bello da cominciare, ma, paradossalmente, difficile, difficilissimo da portare a termine. E questo non certo per la difficoltà della scrittura o per la tematica trattata - la magistratura italiana tra potere politica e affari - o dal numero delle pagine, bensì e paradossalmente per la 'sofferenza' che provoca a m ano a mano che si procede nella lettura. Il Sistema ossia l'intervista a Luca Palamara, vero e proprio deus ex machina per lustri all'interno dell'universo togato nazionale, è una devastante e spaventosa rivelazione di come, negli anni, abbia funzionato quella che, da tutti, soprattutto da noi giornalisti per vocazione, era considerata l'ultima spiaggia della libertà e della tutela della Giustizia nel più ampio senso del termine. Da qui la sofferenza, indicibile, nel rendersi conto di come, al contrario e né più né meno della classe politica digerente che ci governa da sempre, anche l'organo di giurisdizione o potere giudiziario covasse, al suo interno, tutti quei difetti e quelle vergogne che eravamo abituati ad imputare, soltanto, ai rappresentanti eletti al parlamento e ai loro emulatori.
Una volta, però, giunti alla fine del testo, si ha come l'impressione di avere scollinato e di aver portato a termine una prova estenuante, ma ricca di soddisfazioni. Non esistono, quindi, porti franchi dove la Verità e la Giustizia trionfano sempre e comunque. Non esiste la perfezione. Esiste o esistono, purtroppo o per fortuna, uomini che pagano personalmente la loro fedeltà ai principi che sentono di voler rappresentare. Tutto il resto, generalizzazioni comprese, sono solamente inutili orpelli buoni per la massa e per i servi del sistema a tutte le latitudini.
Buongiorno direttore, abbiamo divorato, in due giorni e solo perché oberati di lavoro, altrimenti avremmo fatto prima per quanto ci è piaciuto e coinvolto, il suo libro <Il sistema, intervista a Luca Palamara>, ex magistrato, vero e proprio ago della bilancia, per anni, di quella che è a tutti gli effetti la giungla della magistratura italiana. Adesso che abbiamo voltato l’ultima pagina, sa che vorremmo querelarla?
Sareste i primi, per la verità, nel senso che Palamara, nel libro, racconta decine di episodi inquietanti, con altrettanti nomi, ma a distanza di quattro mesi dall’uscita del libro c’è stato un unico annuncio di querela da parte del dottor Paolo Ielo, uno dei Pm di punta della magistratura italiana, di cui Palamara parla in lungo e largo. Vedremo, poi, di cosa si tratta, ma non è questo il problema. Palamara è un magistrato e sa bene il confine tra i fatti documentabili e le ipotesi, i teoremi. Io sono un giornalista, non più di primo pelo, quindi uno dei patti fatti con Palamara era che noi avremmo scritto su questo libro soltanto ciò che, in qualche modo, era documentabile. Uno dei passaggi più delicati della scrittura del libro è stato superare gli esami degli avvocati della Rizzoli che hanno passato al setaccio parola per parola e in nove ore di confronto con noi hanno preteso le prove di quello che c’era scritto. Racconto tutto questo per dire che, la versione Palamara, è certamente una sua versione e con questo non voglio dire che sia tutta la verità, ma ne è un pezzo importante, dalla quale non si può prescindere, sempre che si voglia ricostruire quello che è successo in questo Paese negli ultimi 20 anni e quello che sta succedendo anche in questi giorni. Proprio in queste ore, il Consiglio Superiore della Magistratura è devastato da plichi anonimi che vanno avanti rispetto al racconto di Palamara, inguaiando non solo i magistrati. Ecco il link tra la politica e la giustizia - cioè una giustizia politicizzata, che influisce e modifica il corso della politica stessa - raccontato da Palamara, il cosiddetto Sistema. Questo libro ha scoperchiato un bidone e di giorno in giorno, da questo bidone, escono conferme che la storia degli ultimi anni, soprattutto in politica, non è andata come ce l'hanno raccontata.
Ma direttore, in realtà noi vorremmo querelarla per lesioni personali, gravi, a nostro carico, nel senso che, dopo aver letto il libro, siamo stati talmente male, sia spiritualmente ed in piccola parte anche fisicamente, che volevamo quasi quasi prendercela con lei per averlo scritto.
Ma guardi, quando è nata l’idea di scrivere questo libro nessuno, per la verità, e con nessuno intendo il sottoscritto, il dottor Palamara e la casa editrice, la Rizzoli, immaginavamo che diventasse il caso editoriale dell’anno e non lo dico per vantarmi o per fare il gradasso. Questo libro ha venduto un numero di copie inimmaginabile, si candida ad essere il libro più venduto dell’anno e questo significa che ha toccato un
nervo scoperto nell’opinione pubblica che va ben oltre la cerchia degli addetti ai lavori. Di solito un libro sulla giustizia viene acquistato e poi letto da qualche avvocato, magistrato e giornalista, insomma gli addetti ai lavori ed invece questo libro ha sfondato la cerchia dei citati sopra ed è arrivato dritto all’interesse dell’opinione pubblica. Altrimenti non si spiegherebbero le 250 mila copie già vendute e spero ed immagino che non sia ancora finita. C’è una cosa da sottolineare, questo libro ha venduto tanto, ma i giornali quotidiani non ne hanno parlato.
Perché secondo lei?
Beh, basta leggere il libro per trovare la risposta. Repubblica, La Stampa, Il Corriere della Sera, accompagnati da tutti gli altri, non hanno scritto, in quattro mesi, che esiste il libro più venduto in Italia, che è un controsenso giornalistico, perché si può essere d’accordo o meno con il contenuto, ma è una notizia rilevante che un libro, in pochi mesi, venda 250 mila copie. Devo, però, fare un inciso sul Corriere della Sera, visto che il giorno nel quale uscì il libro, per un rapporto personale che ho con il direttore del Corriere, fece la gentilezza di annunciare l’uscita del libro ai suoi lettori. Allora la domanda è: perché non l’hanno scritto? Perché, come si evince leggendo il libro, l’informazione è stata una parte di quel sistema borderline che descrive Palamara. Il sistema è formato da tre componenti: la magistratura, la politica e l’informazione. Se manca una di queste gambe il sistema non sta in piedi e guarda caso l’informazione ha censurato l’esistenza di questo libro. Ammettere che il contenuto del libro è interessante significa ammettere che l’informazione, in questi anni, ha giocato sporco.
Altra domanda. Un altro libro, di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, <La Casta>, uscito nel 2007, ci procurò un analogo sentimento di rabbia, frustrazione, impotenza e, le confessiamo, anche e soprattutto, schifo. Ma quello che emerge dalle sue pagine è molto, molto peggio: è la sensazione, deprimente e devastante, che anche l’ultimo presidio, il fortino per eccellenza al quale avevamo, soprattutto noi giornalisti cresciuti professionalmente durante Tangentopoli, creduto, è miseramente crollato proprio perché costruito con tutti i possibili ed immaginabili difetti che l’essere umano porta con sé e che nessuna toga, tanto meno quella dei magistrati, non solo non ha rimosso, ma ha, paradossalmente, accresciuto.
Si, il paragone mi lusinga perché <La Casta> è un libro che segnò una tappa importante nella denuncia giornalistica, seppur attraverso un libro e non attraverso un articolo. Allo stesso tempo, però, un po' mi spaventa nel senso che dall’uscita de <La Casta> sono passati circa 14/15 anni ed è ancora lì, bella e tranquilla. Il Paese si è indignato, sono stati scritti fiumi di inchiostro, dibattiti e ci ritroviamo 14 anni dopo con <La Casta> viva e vegeta e non vorrei che tra altri 14 anni ci ritrovassimo con la magistratura esattamente al punto in cui la racconta Palamara. Quest’ultimo, nel libro, addirittura, credo che lo dica, afferma di essere convinto che molti magistrati lo leggeranno e diranno che Palamara è impazzito e si è inventato tutto. Questo perché ci sono tantissimi magistrati che fanno i magistrati, ovvero che al mattino escono, vanno in ufficio, studiano, fanno le indagini, al pomeriggio finiscono, vanno a giocare a tennis, tornano a casa dai figli e dalla moglie o dall’amante, cioè fanno la vita normale di qualsiasi cittadino, ma Palamara evidenzia il reale problema, ovvero che questa categoria è gestita da una cupola che è quella che gestisce la politica giudiziaria e ha il potere di indirizzare i processi. Palamara dice che non è che chi fa parte della cupola è un magistrato non bravo, non è quello il problema, è che senza passare attraverso il Sistema il magistrato non fa carriera e, quindi, non arriverà a presidiare quei punti chiave dove si decidono le inchieste, come ad esempio la procura di Roma, Napoli, Milano...
La conclusione, peraltro confermata a tutti gli effetti dallo stesso Palamara, è che la magistratura sia stata lottizzata, nel tempo, dalla corrente di sinistra e che sia passato il messaggio che essere di sinistra, sia nei tribunali, sia tra i giornalisti anche i più quotati del sistema, fosse giusto mentre tutti gli altri fossero dalla parte sbagliata.
E' esattamente così ed io ne so qualcosa. Vivendo in quel mondo posso dire di essere stato l’unico giornalista e direttore arrestato, non condannato, bensì arrestato. Dopo Guareschi non c’è stato un altro giornalista arrestato per reati d’opinione. I giornalisti di destra, a parità di condizioni, sono dalla parte sbagliata, tutti i direttori commettono reato di omesso controllo e sono responsabili anche di ciò che scrivono i colleghi, ma soltanto il direttore del Giornale è stato arrestato, reato previsto dal Codice Rocco, un codice degli anni Trenta durante il fascismo. Una roba un po' fuori dal tempo, ma è tanto vero quello che lei dice e che Palamara racconta benissimo. Riassumendo, la magistratura italiana è l'unica magistratura dei Paesi occidentali e moderni divisa, semplificando, come un parlamento. Nell’organo di autogestione della magistratura ci sono un partito democratico, un partito di centro ed un partito di destra. Palamara, che nasce come leader del partito di centro e, poi, crescendo diventa il presidente del consiglio, racconta e documenta come, finché gli affari, gli intrallazzi li fa con la corrente di sinistra, quindi fa un governo di centro sinistra tutto va bene, il sistema cresce, condiziona la vita politica, è un meccanismo perfetto, ma quando ad un certo punto decide di cambiare maggioranza - un po' come ha fatto Conte passando dall’alleanza con la Lega all’alleanza con il Pd - e si mette a fare affari con la corrente di destra, parliamo del 2017, iniziano i guai. Finché ha governato con la sinistra era una specie di Dio sceso in terra, osannato da tutti. Come ha cambiato corrente politica sono iniziate le insinuazioni, poi le indagini e poi è successo quello che è successo. Ci sarà un motivo per spiegare tutto questo.
Dal racconto di Palamara incalzato dalle sue domande appare evidente che la magistratura, in realtà non solo la corrente di Magistratura Democratica e la procura di Milano in particolare, hanno massacrato Silvio Berlusconi per ragioni di carattere politico. Ci rendiamo conto che in sostanza gli hanno rubato anni di vita?
Che abbiano rubato anni di vita a Berlusconi è gravissimo, ma uno potrebbe dire che sono affari suoi anche se, comunque, ci dispiace per lui, ma la realtà è che hanno rubato agli italiani perché hanno annullato la volontà popolare espressa nelle urne. Dal racconto di Palamara esce fuori una delle frasi più inquietanti di tutto il libro. Quando, nel 2008, Berlusconi vince le elezioni e quindi torna al governo con il centro destra, si riunisce la cupola della magistratura, da lui guidata, e il motto è <Se torna Berlusconi dobbiamo scendere tutti in campo, faremo noi l’opposizione politica del governo di destra>. Quindi non hanno fatto uno sgarbo a Berlusconi bensì a 14 milioni di italiani che nelle urne avevano deciso che questo Paese doveva essere governato dal centro destra.
Tra i magistrati che componevano la camera di consiglio che condannò Berlusconi c’è chi ha ammesso che la camera di consiglio si comportò, verso l’ex premier, come un plotone di esecuzione, chi ha parlato, citando Blade Runner, di aver visto ed udito, quel giorno, cose indicibili che voi umani non potete immaginare, chi ha definito quella sentenza una vera e propria porcheria. Nessuno, però, ha aperto un’inchiesta o chiamato in causa il presidente della Repubblica, primo referente e custode del potere giudiziario. Perché?
La risposta è ovvia. Dopo 17/18 anni di caccia al cinghiale, Berlusconi era stato gravemente ferito dai cacciatori ed ecco, missione compiuta. Missione compiuta non è un modo di dire, ma è ciò che Palamara racconta. Ad un certo punto vanno al quirinale, Napolitano li avvisa che il governo Berlusconi, anche sotto la pressione giudiziaria, sta per cadere e lui, insieme al leader della corrente di sinistra, esce dal quirinale, si guardano in faccia e si dicono <missione compiuta>. Non potevano andare ad indagare su cosa era successo in quella camera di consiglio perché significava rischiare di annullare questi 18 anni di caccia, quando finalmente la preda era stata neutralizzata.
Veniamo ai nostri colleghi. La fuga di notizie, spiega Palamara, è una delle tante armi che il Sistema utilizza per stroncare sul nascere ogni critica od ogni opposizione al suo interno e non soltanto. Esistono giornalisti che si prestano a questi giochi di potere?
Direi quasi tutti. I giornalisti sono, a loro volta, divisi in parti politiche, a volte in maniera consapevole a volte inconsapevole, ma sono una parte determinante. Palamara racconta che al Sistema non interessa l’esito dei processi. Il Sistema, oggi, ha l’urgenza di indirizzare la politica. Si basa sull’apertura delle inchieste e se io voglio screditare Sallusti devo aprire un’inchiesta su di lui e ho bisogno che i giornali pubblichino e diano grande risalto al fatto che Sallusti sia finito sotto inchiesta e lo fanno pubblicando delle carte, considerate una tesi di accusa. Questo è un giochino che avviene quotidianamente e Palamara racconta che un buon procuratore della Repubblica, affiancato da bravi ufficiali di polizia giudiziaria quali carabinieri o finanzieri, che fanno le indagini sul campo per conto proprio e che hanno un buon rapporto con un paio di giornalisti di testate importanti, hanno più potere del presidente del consiglio e del parlamento. Si tratta di distruggere qualsiasi carriera, di modificare qualsiasi indirizzo che la politica sta prendendo.
Sallusti lei è un giornalista navigato e non può venirci a raccontare di non essere mai stato al corrente, come noi che frequentiamo da 30 anni le aule giudiziarie, del rapporto a volte simbiotico che nasce, spesso, tra professionisti dell’informazione, pubblici ministeri e anche giudici. Fa parte del gioco: tu dai una notizia a me che mi fa fare bella figura col direttore e con i lettori ed io ti faccio diventare famoso sostenendo la tua accusa. Cosa c’è di strano nel caso Palamara e nel suo Sistema rispetto alla quotidianità del nostro lavoro e di chi fa cronaca giudiziaria?
In realtà non c’è nulla di strano, la cosa non sorprende neanche me. Pensi che, ironia della sorte, io sono uno dei tre giornalisti che nel 1994 fecero lo scoop sull’avviso di garanzia a Berlusconi. Fu il primo avviso di garanzia mandato ad un presidente del consiglio italiano in carica mentre presiedeva al vertice del G8 a Napoli, una vetrina mondiale. Ecco, io ero il capo della cronaca del Corriere della Sera che, insieme a due colleghi, fece quel famoso scoop. So bene come andò, certo era merito nostro ed anche il fatto che la procura di Milano aveva scelto il timing perfetto per farci avere quell’avviso di garanzia per sputtanare il presidente Berlusconi agli occhi del mondo, cosa che negherà, ovviamente, tutta la vita, ma io c’ero e quindi so come andò. Io so le cose perché le ho fatte e non per sentito dire; è ovvio che mentre tu le fai non ti rendi conto che sei usato, però è uno scambio vantaggioso perché io, in quel momento, divenni uno dei giornalisti più invidiati d’Italia. Fu uno degli scoop più importanti del giornalismo italiano e, quindi, al momento, lo ritieni uno scambio favorevole. Io faccio un favore a te magistrato, che vuoi sputtanare il presidente agli occhi del mondo, e tu, magistrato, fai un piacere a me che mi fai diventare, agli occhi del mio direttore, una specie di mammasantissima. Io le dirò, onestamente, che due anni dopo quello scoop, lasciai e credo di essere, non so dire se è una verità storica o se mi è sfuggito qualcosa, l’unico giornalista a dimettersi dal Corriere della Sera. Non ho mai conosciuto nessuno che lavorava al Corriere della Sera e che prese, poi, la decisione di andarsene. Quando, due anni dopo, mi resi conto di essere diventato una pedina in mano ai magistrati e che il mio glorioso giornale era diventato l’ufficio stampa della procura di Milano, andai dal mio direttore, Paolo Mieli, e gli comunicai la mia decisione. Me ne sarei andato. Lui mi prese per matto dicendomi che non si lasciava un giornale come il Corriere della Sera, ma a me non piaceva essere lo strumento di nessuno.
Morto un Pa...p(l)amara se ne fa un altro o qualcosa è cambiato dopo la sua radiazione e l’inchiesta che ha portato alla luce fatti e, in particolare, misfatti della magistratura nostrana?
Sicuramente se ne fa un altro perché o cambi le regole di quel Sistema e, in particolare, cambi il modo con cui vengono decise le nomine giudiziarie e si decide per curriculum e allora si può anche immaginare che non ci sia un nuovo Papa, altrimenti, se la Chiesa resta quella, è ovvio che morto un Papa se ne fa un altro. Anche perché la Chiesa ha bisogno di un Papa, non può stare insieme senza un Papa. Quindi noi, oggi, non sappiamo ancora chi è perché la ferita è fresca ed il conclave è ancora in corso, ma a breve, se non cambia niente, ne eleggerà un altro.
Palamara ha ammesso le sue responsabilità e ha spiegato di aver agito in malafede sempre e solamente per difendere il Sistema di cui era una parte robusta e consistente. Ha anche confessato di aver difeso a spada tratta i magistrati che hanno attaccato ingiustamente Salvini per la vicenda dei clandestini sequestrati. Anche qui alcuni giudici avevano chiaramente ammesso che non c’erano i presupposti per agire contro l’ex ministro dell’Interno.
Si, il caso Salvini è l’ultimo caso politico che Palamara vive da protagonista. Siamo nel 2018/2019. Attenzione, il grosso è pervenuto con Berlusconi perché ha regnato più di tutti ed era più forte di tutti, ma il Sistema ha barato con Salvini, ma anche con Renzi che voleva rottamare la sua ala sinistra, il vecchio Pci, che ancora sopravviveva nel Pd. Nella magistratura non esisteva la sinistra renziana, bensì esisteva la sinistra bersaniana, la sinistra storica giudiziaria che ha dato una mano alla sinistra storica politica per far cadere Renzi il quale poi è caduto di suo sul referendum. Non sfuggirà, però, che Renzi è arrivato al referendum già affondato dal punto di vista giudiziario. Si erano già aperte le inchieste sui suoi genitori, sul suo cerchio magico e questo Palamara lo racconta bene, insomma la magistratura aveva già iniziato ad accerchiarlo e la stessa cosa accadde prima di Berlusconi o tra un Berlusconi e l’altro. Accadde con Prodi e Mastella. Il governo Prodi-Mastella cadde per un avviso di garanzia a Mastella, ministro della giustizia e a sua moglie, addirittura con i suoi arresti domiciliari. Questo perché chi non sta al gioco del Sistema diventa un nemico, quasi sempre un nemico di centro destra; ma anche una sinistra che non piace al Sistema viene abbattuto da quest’ultimo.
Un’ultima domanda direttore: mettendo da parte la soddisfazione professionale di aver prodotto un libro straordinariamente unico nel suo genere ed utile per chi vuole ragionare con la propria testa e sfuggire al giudiziariamente corretto che è, invece, sempre stato scorretto e verniciato di rosso, non le ha fatto un po' schifo tutto questo?
Onestamente no perché lo sospettavo ed in parte lo conoscevo, diciamo che avevo già digerito il boccone amaro. Mi ha fatto, viceversa, piacere anche se è un piacere amaro, verificare dal vivo e con il protagonista assoluto, che quello che io andavo pensando e scrivendo, in splendida solitudine rispetto alla stampa nazionale, da anni, non era frutto di mie follie e visioni bensì la verità, una verità amara ma, del resto, questo era.
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Egregio direttore.
Mi permetto rubarle un po’ di spazio ed usufruire anche delle sue conoscenze storiche, per rivolgere – ovviamente anche ai lettori – alcune domande chiarificatrici sul testo della canzone Bella ciao, ormai usata e abusata ad ogni pie’ sospinto. Partendo dal postulato che, quando si intoni un qualsiasi testo o inno strofico trascinatore, socializzante ed aggregante, debba esser chiaro anche il significato di ciò che si vada a pronunciare a gran voce. In alcuni casi, spesso, la semantica è inficiata dal trasporto enfatico dettato dal ritmo musicale e dal contesto della situazione pure aggregante.
Ovviamente, quanto segue non intende né deve essere inteso, frainteso o male interpretato come irriverente o ironico.
Ora, poiché recenti studi hanno appurato come della canzone in discorso esistano varie versioni e si abbia traccia della melodia, non del testo, in un’incisione su un 78 giri del 1919 suonata dal fisarmonicista tzigano Mishka Ziganoff, con il titolo Klezmer-Yiddish swing music. Il Klezmer è un genere musicale Yiddish dove confluiscono vari elementi; tra questi anche la musica popolare slava. Quindi, l’ipotesi più probabile sulla nascita della melodia sia di derivazione popolare dalmata.
Assai più incerta è la nascita del testo, soprattutto quello usato come vessillo sonoro della Resistenza partigiana, laddove si citino ripetutamente i partigiani liberatori dall’oppressore ed inteso proprio come motivo conduttore dei partigiani stessi. In effetti, contrariamente alla certezza sulla nascita della melodia, non esiste alcun documento probatorio a comprovare la nascita del testo quale simbolo canoro e ideologico sorto contemporaneamente agli avvenimenti successivi all’8 settembre 1943. È invece comprovato come tra i partigiani circolassero alcuni fogli con i testi delle canzoni da cantare: in nessuno degli scritti – fino adesso conosciuti - compare il testo di Bella ciao. Anche sul volume autobiografico curato da Nicola, figlio di Ettore Troilo, fondatore della Brigata Maiella, è pubblicata la raccolta dei canti dei partigiani, ma Bella ciao non compare in alcun modo. Neppure negli anni dell’immediato dopoguerra si ha traccia di questo canto “partigiano”, poiché non è menzionato neanche nelle due raccolte dei canti partigiani: «Canta Partigiano» (Panfilo, 1945), né nei due numeri di «Folklore» (1946), dedicati ai canti partigiani a cura di Giulio Mele.
La prima volta in cui il canto fu presentato e pubblicato, era il 1953: Bella ciao comparve sulla Rivista «La Lapa» curata da Alberto Mario Cirese. Nel 1955 la canzone fu inserita nella raccolta Canzoni partigiane e democratiche, ad opera della commissione giovanile del PSI. Le celebrazioni dell’Unità del 25 aprile 1957, la inserirono in una breve raccolta di canti partigiani e, nello stesso anno, ripubblicata su «Canti della Libertà», supplemento al volume «Patria Indifferente», distribuito ai partecipanti al primo raduno nazionale dei partigiani a Roma.
La notorietà della canzone, giungerà solo nel 1960, pubblicata su un numero della «Collana del Gallo Grande» (edizioni «L’Avanti!»), insieme ad una vasta antologia di canti partigiani: Bella ciao compare a pagina 148, richiamando come fonte la precedente raccolta del 1955; la didascalia illustrativa presenta il canto strofico come derivato da un’aria della Grande Guerra, che “Durante la Resistenza raggiunse, in poco tempo, grande diffusione”.
Mi si perdoni questa lunga e forse noiosa digressione, però fondamentale ad introdurre gli interrogativi anticipati in apertura.
Appurata la sintesi storico cronologica, vediamo il testo oggetto della questione, con le domande rivolte da un semplice uomo della strada. Per ovvie ragioni ometto i ritornelli.
Una mattina mi son svegliato
E ho trovato l’invasor
Domanda: dal 1953 in poi, chi era l’invasor? A meno che il testo (premonitore?) non abbia anticipato la situazione attuale e ricordi l’invasione incontrollata dei clandestini; in quegli anni i tedeschi erano stati ricacciati a casa loro dall’esercito USA già da un bel po’.
O partigiano, portami via
Che mi sento di morir
Domanda: se i partigiani con questo canto non c’entrano, chi chiede al partigiano di portarla/o via e perché? Inoltre, dove dovrebbe portarla/o? E ancora. Perché o per cosa, si sente di morir?
E se io muoio da partigiano
Tu mi devi seppellir.
Domanda: chi si interroga se dovrà morire? Il partigiano, che dovrebbe portare via il/la richiedente, o il partigiano stesso? Nell’intero testo sembra le persone siano solo due.
Tralasciando il resto, comprensibile per la sepoltura, la gentilezza e bellezza del fiore tombale, rimane l’ultima domanda sulla chiusa.
E questo è il fiore del partigiano
Morto per la Libertà.
Già dal 1953, l’Italia era ormai libera dal giogo nazifascista; per cui, per ottenere quale libertà – da chi o da cosa – il partigiano è morto?
Ipotizzando il testo come estensione contestualizzata dell’eroico concetto primigenio, si potrebbe supporre come il significato stretto di Resistenza contro il nazifascismo contempli – adesso - quello più ampio di opposizione, richiamo della lotta di classe contro ogni tipo di prevaricazione, abuso di potere o violazione dei diritti civili. Ma, anche in questa ipotesi, il testo continua ad essere privo di logica deduttiva, soprattutto per le giovani e giovanissime generazioni.
Ecco perché il testo - fermo restando il valore emotivo e sentimentale attribuito alla canzone - mi sembra anacronistico e poco comprensibile e il perché delle mie domande.
Ribadisco. In questa mia non v’è alcuna intenzione polemica, politica né tantomeno irriverente o che sia erroneamente intesa. Solo desiderio di sapere.
Sono le stesse domande che potrei rivolgere allo stimatissimo Franco Battiato, di cui non sono mai riuscito a capire bene il significato dei testi delle sue canzoni.
Mi abbia suo.