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Scritto da andrea cosimini
L'evento
13 Dicembre 2022

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Qualsiasi Cosimo, al sud, è Mimmo. Di Mimmo Cavallo, però, ce n’è uno solo: unico e inimitabile.

Nato a Lizzano nel giorno di capodanno di 71 anni fa, oggi divide il suo cuore tra Taranto e Milano: i mesi caldi li trascorre, con sua moglie, nella casa al mare giù al sud; poi, a svernare, sale al nord per adempiere ai suoi doveri di padre e di nonno. In Lombardia raccoglie le idee, in Puglia le realizza.

Questo – molto sommariamente – il suo palmarès: sette dischi all’attivo, un riconoscimento come migliore autore al premio Tenco, una comparsa al Festivalbar e svariate apparizioni in trasmissioni televisive. Sua è la firma del tormentone estivo del 2011 di Zucchero: “Vedo Nero”. Ha collaborato, infine, con la grande Mia Martini - sua ‘compagna di viaggio’ - alla quale, il 20 settembre (data scelta non a caso, in quanto compleanno di Mimì), ha dedicato un estratto dal suo nuovo (l’ottavo) disco in uscita.

Non crede alle dicerie e alle maldicenze. Si definisce un ‘cantautore regionale’ che strimpella la chitarra e dice le cose come stanno. Non si sente un musicista, ma un buon costruttore di melodie. È uno che mentre fa un disco pensa già a quello dopo. La Gazzetta lo ha raggiunto telefonicamente per conoscerlo da vicino.

Che ragazzo era Mimmo Cavallo?

“Ero molto ‘rockettaro’. Non ero attratto dalla scena cantautoriale dai testi politici e sociali. Ascoltavo gruppi come i Jethro Tull e - in Italia - seguivo Battisti, Baglioni. Cercavo, insomma, un costrutto musicale nelle canzoni: ero affascinato dalle linee melodiche”.

Cos’è che non la attraeva dei cantautori – cosiddetti – ‘impegnati’?

“Cantavano, spesso, liriche bellissime ma non suffragate da un costrutto musicale decente. Un po’ come fossero poesie con la forzatura della rima. Quasi dei brani scritti su commissione, con parole già preordinate, senza pescare nel proprio cratere melodie diverse. La loro musica era asservita al testo”.

A quando risale il suo debutto discografico?

“Ho esordito nel 1980 con “Siamo meridionali”, un brano un po’ divisivo: al nord non lo passavano, al sud mi rimproveravano perché ormai si sentivano integrati. Al tempo vendetti 40 mila dischi, oggi sarebbe disco di platino. Ritengo il dialetto una lingua dell’anima”.

C’è un simpatico aneddoto legato all’uscita del suo primo disco “Siamo meridionali”. Vuole raccontarcelo?

“Sì (ride). Innanzitutto, al tempo, non si faceva più il disco a due facce; quindi, per me, riadattarono le macchine per stampare la copertina. Poi fecero 1.500 valigette di cartone, con lo spago sopra, e con su scritto: “Addo’ arrive chiande u zippe” (dove arrivi metti un segno) da destinare alle emittenti, alle radio e a tutti i personaggi influenti del mondo dello spettacolo. Dentro – oltre a foto e dischi – c’erano anche vari gadget tra cui: la pasta Voiello, un litro di vino, un litro d’olio, le noci, i fichi secchi e la nota culturale di Napoli e di Marotta. Fu un evento, insomma. Lucio Dalla arrivò addirittura a dirmi: “Ma chi cavolo sei tu, Gesù Cristo?”

Nel 1981, ovvero l’anno successivo, uscì con un’altra grande canzone: “Uh, mammà!”

“Esatto. È il mio brano di maggior successo con “Stancami stancami musica” del mio terzo album. Essendo forse più ‘ecumenico’ e meno ‘divisivo’ ha superato “Siamo meridionali” in termini di consenso. Sono questi, ancora oggi, i miei cavalli di battaglia”.

Come vive attualmente la sua meridionalità?

“Certamente oggi sono più gli immigrati a sentirsi ‘meridionali’ che non noi. Anche perché, ormai, abbiamo egemonizzato il nord (sorride)”.

Celebre è il suo sodalizio – artistico ed umano – con Mia Martini. Può raccontarci qualche aneddoto su di voi?

“Da ragazzo conobbi, ad una festa, sua sorella più piccola: Olivia. Quando mi rivelò il suo legame con Mia Martini, io le chiesi subito il numero di telefono promettendole che l’avrei chiamata. Purtroppo, dopo una settimana, persi il numero. Dopo dieci anni mi ritrovai a cena con Mimì a casa di un nostro amico. Lei stava parlando al telefono con Olivia, la quale le stava dicendo di starsi per sposare. Così presi la palla al balzo e mi complimentai: “Che bello, si sposa Olivia?” Mia mi rispose: “Ma che, la conosci?” Le dissi: “Caspita se la conosco!” Così Mimì me la passò. Olivia però, lì per lì, non si ricordò di me. Così feci una pessima figura”.

E poi come finì?

“Quando facemmo il concerto insieme a Taranto, io e Mia, andammo tutti a mangiare in un ristorante vicino al ‘ponte girevole’. In quell’occasione c’era anche Olivia. Mimì mi mise subito in guardia: “Guai a te se ritiri fuori quella storia!” A tavola però fu più forte di me: la ritirai fuori. Le accennai ad una signora bionda che era sulla porta quella sera alla festa in cui ci incontrammo, e a quel punto Mia si illuminò: “Ma quella è mamma!” Così si scoprì finalmente che la mia storia della sorella non era inventata, era vera!”

Il 20 settembre è uscito con un brano intitolato “Oh Mimì”. Cosa voleva dirle?

“Che mi manca. Come, d’altronde, manca a tante persone. Mancano soprattutto cantanti che hanno qualcosa dentro e che trasmettono messaggi da decifrare quando interpretano una canzone. Mia aveva questa forza. Io la consideravo il mio alter-ego femminile. Era tutto per me. Quando scrivevo, mi accorgevo che le mie canzoni erano costruite su di lei. Tanto che il brano “Guarirò guarirò”, che avevo scritto per Loredana Berté nel 1980, volle interpretarlo a tutti i costi Mimì. Oggi, dopo tanti anni, Loredana ha deciso di inciderlo. Per me è un cerchio che si chiude”.

Una curiosità prima di concludere: ma è vero che lei ha scritto la hit “Vedo nero” di Zucchero?

“È vero. Era un mio pezzo, ma il produttore – dovendo fare un album – lo scartò. Poi una sera, mi trovai ad una cena con degli amici. C’era anche Marina Testori, che allora faceva l’ufficio stampa di Fornaciari. Le accennai ad alcuni miei pezzi che volevo far sentire a Zucchero – perché, comunque, il suo mondo mi un po’ mi appartiene. Lei mi fornì un indirizzo e-mail e mi disse: “Tu mandagliele, vedrai che lui le ascolta”. A me sembrò una risposta diplomatica. “Figurati se Zucchero ascolta gli allegati di una mail” pensai. Invece, ho scoperto che Zucchero le cose le ascolta (sorride)”.

E quale fu la genesi del pezzo?

“Quel pezzo lo voleva anche Noemi. Aveva sentito una decina di canzoni mie e le era piaciuta proprio quella: “Vedo nero”. Le risposi, però, che quella canzone ormai era già stata prenotata da Zucchero. Lo raggiunsi e lavorammo insieme sul brano. Lui propose gli arrangiamenti giusti e scrisse la parte finale “Ora, che ore sono? Ora…” Poi prese il mio inciso “Vedo nero…” e ci fece l’inizio. Quando mi fece sentire il provino, rimasi scettico: il mio era un pezzo funky, lui lo aveva rifatto con la cassa in quattro! Poi però, quando vidi tutta la gente alzarsi ballando e battendo le mani, ebbi i brividi. Pensai: aveva ragione…”

Per finire: cosa può dirci sul suo nuovo disco?

“Si intitolerà “Marenauta” ed uscirà nei primi mesi del nuovo anno. Mi sono immaginato come se fossi su un fondo marino e stessi cercando di riemergere dopo essere affondato con una piccola barca che ho denominato “Lanterna verde”. I due brani usciti – “'U Vurpe” e “Oh Mimì” - sono un po’ come le bolle di ossigeno che vengono a galla”.

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