Tutti, in questi giorni e nei prossimi a venire, a sciacquarsi la bocca con l'antifascismo, la liberazione, la resistenza e nessuno che provi ad azionare il cervello per cercare di comprendere che è tutto vero, l'Italia migliore seppe reagire alla tragedia della guerra perduta e della repubblica saloina serva dei nazisti e ancora più crudele di loro. Ma... ma sono passati così tanti anni e anche se è giusto ricordare affinché sia ben chiaro da che parte stavano la ragione e il giusto - e qui non c'è possibilità di cambiare la storia - altrettanto doveroso sarebbe mettere da parte le ideologie e attenersi all'unico comune denominatore che tutti dovremmo avere essendo nati su questa terra ed essendo figli degli stessi padri. Invece, soprattutto a sinistra dove la strumentalizzazione del passato è elemento imprescindibile per affrontare il presente e, soprattutto, governare il futuro tutto ciò è impensabile. Peccato, perché al di là delle bandiere, sia da una parte sia dall'altra ci sono stati uomini che sono stati capaci di morire con dignità, in particolare quando la morte è stata somministrata in condizioni manifestamente orribili e non accettabili in una società che si definisce civile. Fatta questa premessa, non c'è stato un cane, oggi, né a destra né, tantomeno, a sinistra, che si sia ricordato che oggi, 14 aprile, ricorre il 17° anniversario della morte di Fabrizio Quattrocchi. Noi, tanto per essere chiari, il video che riprende la sua morte, con la testa bendata, le mani legate dietro la schiena e il coraggio di dire 'vi faccio vedere come muore un italiano', lo faremmo girare sin dall'asilo. Altro che teoria Gender, uno schifo e una vergogna.
Adesso abbiamo appena letto che i consiglieri comunali di sinistra Daniele Bianucci e Gabriele Olivati hanno portato il tema delle violenze fasciste in territorio jugoslavo durante l'ultima guerra mondiale all'attenzione dell'ultimo Consiglio comunale, formulando un'apposita raccomandazione congiunta. Dobbiamo ammettere che i due esponenti di questa amministrazione devastante per Lucca, la peggiore e la più malata di ideologia che questa città abbia mai avuto da quando noi viviamo a queste latitudini, in mezzo a una tragedia economica e sociale come quella che stiamo vivendo, hanno individuato una priorità ossia quella dei crimini fascisti e nazisti nella Jugoslavia di ottanta anni fa. Come tempismo niente da dire, come cultura storica una pena, come buonsenso e rispetto per chi davvero sta pagando a caro prezzo questa emergenza sanitaria zero assoluto.
Noi torniamo a Quattrocchi per raccontare un aneddoto che dimostra come il metodo e la cultura Palamara - leggetevi il libro di Sallusti, è distruttivo e angosciante, qualcosa che con estrema difficoltà si riesce a finire senza farsi montare dentro una rabbia senza confini - sia intrinseco, purtroppo, a tutta la cultura italiana intrisa di massimalismo pseudorivoluzionario sì, ma con il Rolex e la casa ai Parioli o in Prati.
Appena morto Quattrocchi e con le modalità che apparvero subito evidenti, noi che, all'epoca, producevamo un libro dopo l'altro grazie a una capacità produttiva da stakanovisti del mestiere e a una passione elevata all'ennesima potenza, pensammo subito di contattare la sorella per chiederle di aiutarci nella realizzazione della biografia di suo fratello. Andammo a trovarla a Genova dove ci accolse nella sua abitazione. Era, comprensibilmente, distrutta, soprattutto, a causa delle polemiche che i quotidiani di sinistra avevano montato ad arte su Fabrizio accusandolo di tutto e anche di più oltre a non credere minimamente alla versione di una morte da eroe.
Provammo in tutti i modi a convincerla, ma non ci fu verso e, allora, noi dirottammo i nostri interessi editoriali sulla sinistra extraparlamentare, le Brigate Rosse e alcuni personaggi del Ventennio di cui si erano perse le tracce, ma che, proprio per la loro integrità a tutto tondo, avevano scelto di andare volontari in guerra per quella sorta di coerenza tra pensiero e azione che animava le loro esistenze.
Avevamo, nel frattempo, però, parlato con un n ostro caro amico, direttore editoriale di alcune tra le più prestigiose case editrici nazionali con cui avevamo lavorato a lungo producendo numerosi libri. Gli avevamo accennato all'idea Quattrocchi spiegandogli che in un momento storico come quello sarebbe stato un modo, il migliore, per restituire fiducia e senso di appartenenza ad un popolo e a giovani generazioni massacrate dall'ipocrisia imperante di una classe politica digerente che, a destra come a sinistra, non sapeva restituire - ma, forse, non l'aveva mai avuta - unità a questo povero paese.
Gli dicemmo e insistemmo sul fatto che Quattrocchi era morto proprio pronunciando quelle parole e che non c'entrava niente la propaganda fascista - ancora!!!!! - con quel voler sottolineare il gesto in sé. Concludemmo dicendo che avevamo visto il video originale ed era proprio quella la frase detta: 'Ora vi faccio vedere come muore un italiano'. Non ci fu verso. Niente da fare. La risposta fu che fonti bene informate che avevano visto il video fino alla fine sostenevano che Quattrocchi aveva, in realtà, detto 'Ora vi faccio vedere come muore un fascista italiano'.
Provai a demolire questa ricostruzione, palesemente ridicola, ma dovetti desistere. A parte il fatto che non vedevo differenza nelle due versioni, nel senso che si trattava, comunque, di un italiano e di una persona ridotta in totale mancanza di libertà e, quindi, psicologicamente provata e annientata. Fascista o comunista, uno che in procinto di essere ucciso invece di mettersi a implorare o a piangere, pronuncia quella frase, è un Uomo. In tutti i sensi.
Ecco perché noi oggi lo ricordiamo. Ce ne fossero di Fabrizio Quattrocchi in questo paese di eunuchi che, al contrario, ritiene importante approvare una legge sulla omofobia, transfobia, misoginia e chi più ne ha più ne metta, invece di pensare a ricostruire quello che in 13 mesi è stato distrutto con la scusa del Covid-19.