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Scritto da andrea cosimini
Castelnuovo
19 Agosto 2023

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Jonathan Canini è proprio così: una persona con i piedi per terra e la testa tra le nuvole. Giovane (28 anni), toscano (è nato e cresciuto a Pontedera) ma, soprattutto, amato dal pubblico (219 mila followers su Facebook, 124 mila su Instagram).

La sua popolarità è dovuta, principalmente, alla caratterizzazione in vernacolo di personaggi locali esistenti o verosimilmente tali: Dino di Campocatino, Maicoll il livornese, Pamela di San Miniato (anzi, di San Miniathhho, come vuole la pronuncia pisana). Tutte maschere divertentissime, entrate nell’immaginario del comico sandonatese che – col tempo - ne ha fatto dei veri e propri cavalli di battaglia nei suoi show.

Dalle prime esibizioni in casa, davanti ad amici e familiari, fino all’exploit – improvviso e del tutto inaspettato – sul web che lo ha lanciato in Toscana e non solo: Jonathan è arrivato a calcare palcoscenici importanti come quello di “Mont’Alfonso sotto le stelle” a Castelnuovo di Garfagnana - unico artista ad essere apparso in due, anzi tre edizioni del festival (2020, Cappuccetto Rozzo; 2021, Cappuccetto Rozzo – Reloaded; 2022, Vado a vivere con me).

In questa inedita intervista, rilasciata in esclusiva alla Gazzetta, l’astro nascente della comicità italiana ripercorre un po’ le tappe del suo successo, parlando del rapporto speciale che lo lega alla Garfagnana e alla sua gente.

Jonathan Canini, com’è stato calcare – per ben tre volte - il palco della Fortezza di Mont’Alfonso?

“Una botta di adrenalina. Per uno come me, che ha iniziato a fare spettacoli di cabaret nei piccoli circoli di paese dove il pubblico era composto, perlopiù, da parenti e amici stretti, ritrovarsi in contesti come questi è una grande emozione. Ringrazio l’organizzazione, la PRG - e, in particolare, Massimo Gramigni e Claudio Bertini – per l’opportunità che hanno dato a noi artisti, durante il Covid, di poterci esibire - peraltro in scenari stupendi e mozzafiato che, di per sé, valgono il prezzo del biglietto”.

Che legame c’è tra lei e la Garfagnana?

“Ho frequentato molto la Garfagnana da piccolo. Ricordo che, con la mia famiglia - mamma Samantha e papà Luca -, trascorrevamo sempre una settimana d’estate nella nostra casa a Gorfigliano. Mio nonno paterno era infatti originario di lì. Ogni volta che ci torno, devo dire, è un tuffo al cuore. Un’emozione incredibile”. 

Uno dei suoi personaggi più famosi è Dino di Campocatino. Com’è nato?

“Ho uno zio paterno, di nome Dino, che viene proprio da Campocatino. Sicuramente ho preso spunto un po’ dalla sua figura per creare questo personaggio, al quale sono peraltro molto affezionato. Ci tengo a sottolineare, però, che le caricature che faccio trascendono le singole persone. Dino è una maschera approssimativa del garfagnino in generale. Mio zio non è tirchio e avaro come il personaggio che ho caratterizzato, è molto peggio! (scherza)”.

Come avviene la caratterizzazione di un suo personaggio?

“Di solito prendo la caratteristica primaria che distingue una persona e la enfatizzo. Cerco anche di estendere la figura a tutta la provincia che rappresenta: ad esempio, faccio indossare a Dino di Campocatino una t-shirt di Batman proprio per ricordare la città di Lucca. I personaggi, inoltre, hanno una storia propria: il pisano non è solo pisano, ma prima era di Ponsacco, poi l’ho fatto trasferire a Ghizzano di Peccioli”.

Ci sono delle caricature alle quali è maggiormente affezionato?

“Sono affezionato a tutti i miei personaggi. Quelli che mi piacciono di più sono anche quelli che fanno più divertire il pubblico. All’inizio erano Dino di Campocatino e Maicoll il livornese; poi – introducendo, col tempo, nuovi personaggi – sono emersi il fattone, Pamela di San Minihhhato e l’Anticiclone Africano”.

Che ruolo ha avuto il web nel suo percorso professionale?

“Per un comico, al giorno d’oggi, il web è fondamentale. O quasi. Rappresenta una finestra sul mondo che permette di farsi conoscere al pubblico. Io, però, non sono partito dal web. Ho iniziato prima a fare spettacoli nelle piazze da sconosciuto. Le piattaforme online mi hanno aiutato ad allargare notevolmente il mio seguito. Il web è un’arma a doppio taglio, è vero, però può riuscire – come nel mio caso – a far divertire le persone con poco”.  

Com’è nata l’idea di recitare in vernacolo toscano?

“Ricordo che, al corso di recitazione a Firenze, ci insegnavano – giustamente – la dizione italiana perfetta per risultare, quantomeno, comprensibili al maggior pubblico possibile. Così mi sono esercitato a lungo e i miei primi video ho provato a farli seguendo tutti i criteri. Non hanno riscosso però grande successo. Così un mio amico, un giorno, mi suggerì: “Johnny, belli i tuoi video. Ma perché non provi a farne uno in vernacolo?” Fu così che, dopo aver sentito un livornese nel circolo del mio paese, provai a farne uno e lo misi distrattamente sul web. Quella sera dovetti letteralmente silenziare il cellulare a causa del continuo avviso di notifiche!”

Lei si inserisce in una tradizione, quella del vernacolo, che vanta illustri precedenti. Che valore aggiunto rappresenta il toscano nella comicità?

“Beh, la parlata toscana è buffa già di per sé. Se fossi stato tedesco, sarebbe stato più complesso! (ride). La mia ispirazione, però, parte da tutti e da nessuno. Mi spiego: prendo un po’ da Panariello, da Pieraccioni, da Benigni, da Nuti. Chi mi ha fatto innamorare del cinema umoristico è stato Massimo Troisi: lui mi ha illuminato con la sua semplicità e, allo stesso, la sua profondità”.

Chiudiamo con il cinema. Ho letto che la sua ambizione è quella di lavorare, un giorno, per il grande schermo…

“Ho studiato cinema a Firenze, frequentando il corso di regia. Ho pubblicato un lungometraggio – tuttora disponibile su Youtube – che si chiama “Oh quanta fila c’era” che mi ha fatto capire chiaramente cosa avrei voluto fare nella vita. Il web è una grande palestra, ma vorrei un giorno poter raccontare una storia semplice, ma completa, che sappia toccare altri tasti oltre a quello della comicità”.

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