Partiamo con una premessa importante: questo articolo non vuole in alcun modo screditare il lavoro di nessuno, ma solo dare un quadro complessivo a cittadini e amministratori per provare a capire se la strada percorsa fino a oggi sia quella giusta.
Di cosa parliamo? Gestione Associata del Turismo, ovvero il modo in cui il nostro territorio (il nostro ambito) gestisce, secondo disposizione di legge (L.r 86) un argomento che, usiamo il condizionale, dovrebbe essere tra i più importanti in assoluto. Prima, però, c'è bisogno di fare un passo indietro e capire le dinamiche che ci hanno portato dove siamo oggi.
Nel 2010 la regione Toscana decideva di sopprimere definitivamente le APT, per avviare una riforma della gestione turistica regionale che si sarebbe concretizzata circa 6 anni più tardi con la legge n86 del 2016. Il motivo della dismissione stava nell'allora sentita necessità di risparmiare una cifra che, secondo le stime, ammontava a circa 14 milioni di euro all'anno per le attività di 14 APT. Già in quel periodo l'indotto che arrivava dal comparto turistico a livello regionale faceva segnare numeri infinitamente superiori, tali da giustificare gli sforzi per mantenere operative queste strutture, soprattutto in un momento di transizione digitale come quello (eravamo all'alba di social come Facebook e YouTube e da lì a poco si sarebbe aggiunto anche Instagram).
Allora Matteo Marzotto, presidente di ENIT (Ente Nazionale Italiano per il Turismo), si disse contrario a questa scelta in quando riteneva le APT un "ottimo strumento per gestire a livello territoriale il sistema turistico italiano".
Federico Pieragnoli, direttore di Confcommercio Pisa si unì alla protesta, asserendo: "Non siamo d'accordo con la decisione della Regione Toscana di tagliare le Apt, perché peserebbe sul turismo, settore strategico della nostra economia".
Anche altri addetti ai lavori non videro di buon occhio la soppressione di un sistema che in altri territori stava dando ottimi frutti, ma ormai la strada era tracciata. Tracciata con tutta calma, perché dal 2011 si dovranno attendere altri 5 anni per l'arrivo della legge n86 e altri 2 per la l.r. n24 cha definisce gli ambiti e obbliga i comuni a "organizzarsi all'interno di questi nuovi ambiti territoriali per gestire in forma associata l'informazione e l'accoglienza turistica e definire insieme a Toscana Promozione Turistica le azioni di promozione".
Avete capito bene: i comuni non sono tenuti a occuparsi autonomamente della materia turismo, visto che il tutto è delegato ad un ente. Nel nostro caso si fa riferimento all'Unione Comuni della Garfagnana, che si ritrova con una bella patata bollente fatta di 14 comuni e un territorio vasto e variegato da promuovere e gestire. E magari, proprio per questo, oggi si cominciano a riscontrare tutti i limiti di questa organizzazione a livello regionale. Dove i grandi conglomerati turistici (fiorentino, senese, città d'arte/centri culturali e costa) vivono dei flussi che gli sono sempre appartenuti e non hanno problemi a parlare di turismo come motore per l'indotto. Mentre, le aree più marginali (Garfagnana, Lunigiana, Casentino, Maremma, Amiata e simili) si devono sudare con le unghie e con i denti, spesso anche grazie agli sforzi e alla buona volontà dei privati, ogni risultato.
E se parliamo di volontà non c'è caso migliore della Lunigiana per rendersi conto di quanto sopra. All'inizio, infatti, i nostri vicini di casa hanno accolto con un po' di riservo il tema ambito turistico, ovvero l'accorpamento con un territorio che (come nel nostro caso) sarebbe stato sì vicino/confinante, ma magari diverso per morfologia, offerta turistica, mentalità e altro ancora. Da qui la scelta di non accorparsi e di voler sviluppare in autonomia quella brand identity che nel giro degli ultimi 10 anni ha garantito risultati come le oltre 250.000 mila presenze sul territorio (dato 2022-23). Da sottolineare come secondo i dati del quadro socio-economico pubblicato all'interno del PSI (Doc2 - atlante dei comuni-), nemmeno con una stima al rialzo la Garfagnana riesce a raggiungere la metà di questa cifra negli ultimi 5 anni.
Alla luce di ciò è quasi automatico pensare che il limite più grande, forse, stia nel voler considerare la Toscana come un'unica area fatta di colline e cipressi, che si vende da sola con il suo nome. Ebbene, se è vero che abbiamo la fortuna di vivere in una delle regioni più variegate dal punto di vista geomorfologico e paesaggistico, è altresì vero che non si può fare di tutta l'erba un fascio e imporre un modello unico di promozione sperando che sia valido per tutti. Da questo punto di vista le APT avrebbero data un contributo inestimabile. Si sarebbe trattato di persone del territorio che, dopo un percorso di studi in materia di turismo (destination managment, marketing del territorio, ecc), avrebbero avuto le competenze e la conoscenza del territorio e delle sue dinamiche, delle sue debolezze e dei punti di forza. Sarebbe stato possibile avviare un modello di sviluppo turistico a lungo termine, con temi in ordine di importanza da trattare. Un approccio diretto sulla Garfagnana fatto da garfagnini e non solo con competenze e esperienze acquisite sul campo e dallo studio di altri territori che in materia di turismo fanno scuola.
Per concludere ecco un esempio empirico che la dice lunga. L'APT Paganella (
https://www.visitdolomitipaganella.it/IT/staff) conta un capitale umano di 11 persone fisse, al quale vanno aggiunte le varie collaborazioni. Queste persone si occupano 365 giorni l'anno di promozione del territorio, conoscono la zona come le proprie tasche, la vivono e hanno bene a mente esigenze e necessità di sviluppo. In più c'è da specificare che si tratta di una zona che si estende per 160 km2. La sola Garfagnana, invece, ha un'estensione di 533 km2 e attualmente a occuparsi della gestione associata del turismo, che è una delega e non un lavoro a tempo pieno, non ci sono nemmeno la metà della metà delle persone dell'esempio precedente.
Come gruppo di minoranza chiediamo a tutte le personalità e gli enti coinvolti in questa scelta di mettersi una mano sulla coscienza, cercando di guardare avanti almeno 15-20 anni per capire cosa si voglia dare alle generazioni che verrano dopo di noi a livello di benessere socio-economico.