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Scritto da andrea cosimini
Borgo a Mozzano
24 Settembre 2023

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Prof, non ho mai visto un tramonto”. Ecco, quindi, uno dei compiti che - nella sua quarantennale esperienza come insegnante nelle scuole - si è trovata a dover commissionare ad uno studente: osservare dal vivo un tramonto. Per Emanuela Citti l’insegnamento è stato sempre un fatto umano, prima che nozionistico: impossibile insegnare una qualunque cosa ad un allievo, infatti, se prima non si è conquistato il suo affetto.

Nata a Corsagna - dove vive tutt’ora in compagnia dell’amato marito Giovanni Alberigi - il 1° settembre 2023 Emanuela ha raggiunto l’agognato traguardo della pensione dopo ben 42 anni e dieci mesi passati in cattedra a spiegare. Di carattere tosto, ma divertente, non ha mai voluto imporre regole rigide in classe: ha sempre preferito adeguarsi ai ragazzi che si è trovata di fronte.

Oggi le manca il contatto umano con alunni e colleghi. E a quest’ultimi manca l’amica e professoressa di religione che ha sempre lottato affinché la sua materia fosse trattata alla stregua delle altre: ovvero, non un’ora di ricreazione aggiuntiva al breve intervallo di metà mattinata, ma una vera e propria disciplina che prevede libri di testo, spiegazioni e compiti a casa.

Emanuela, come ha iniziato? “Quasi per scherzo – afferma –. Mi venne in mente di frequentare la scuola teologica della provincia di Lucca (un corso che, a quel tempo, valeva come università) per essere più preparata nella mia formazione. Avevo 20 anni. Studiavo ancora quando Padre Bernardino, mio ex insegnante di religione, mi chiese di andare a fare una supplenza nelle scuole in quanto a Borgo a Mozzano mancavano tali figure. Ricordo che arrivai all’istituto e subito mi dettero in mano un registro. Ebbene: dalla sala insegnanti alla classe mi cascò per terra ben cinque volte! Ero agitata, tremavo. Di fronte a me avevo ragazzi ripetenti che avevano appena tre anni meno di me…”

Emanuela si rivelò subito combattiva: “Notai che i ragazzi non avevano nulla con sé – ricorda -, né un libro né un quaderno. L’ora di religione veniva concepita più come una chiacchierata che una vera lezione. Io, però, pensavo che fosse una materia come le altre. E che, quindi, andasse trattata con la stessa dignità. Così lottai perché gli studenti venissero in classe con un libro di testo - promosso e votato dal collegio -, quaderni per gli appunti e compiti da portare a casa”.

Un’idea di insegnamento, la sua, lontana però da ogni forma di autoritarismo. “L’atteggiamento del docente che impone ai ragazzi di fare le cose in un certo modo – spiega Emanuela – non prepara il terreno all’apprendimento. Per poter insegnare qualcosa a qualcuno, è necessario prima entrare in empatia con quest’ultimo. Solo una volta guadagnato il suo affetto è possibile ottenere il suo ascolto”.

In circa 43 anni di insegnamento, principalmente a ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 14 anni, tanti sono i cambiati che ha notato nella scuola. Alcuni positivi, altri meno. “L’inserimento dei ragazzi diversamente abili, con l’insegnante, è stato indubbiamente un bel cambiamento – dichiara -. Il Covid è stato devastante per la scuola, ma ci ha fatto scoprire che, attraverso l’insegnamento multimediale, è possibile coinvolgere gli alunni che, debilitati dalla malattia, non possono partecipare alla lezione in classe insieme agli altri. Certo, la pandemia ci ha anche fatto perdere molto tempo tra mascherine ed areazione degli spazi chiusi…”

Luci ed ombre che, secondo Emanuela, si riflettono anche nella scuola di oggi. “La LIM (Lavagna Interattiva Multimediale) – ritiene - si è rivelata utile per visionare quadri e immagini, ma i ragazzi – a mio avviso - devono tornare ad usare la penna per scrivere. Devono tornare ad imparare il significato vero delle parole aprendo il vocabolario cartaceo, non Google. Spesso mi sono sentita dire dagli studenti: “Prof., ma noi conosciamo tutte le parole del testo”. Poi, alla domanda di spiegarmi – con le loro parole – la definizione di “evento” (parola da loro abusata sui social network) li ho visti fare scena muta”.

La sua esperienza di insegnante, unita alla complessità della materia trattata, le ha fatto anche aprire gli occhi sul tema della multiculturalità: “Ho sempre avuto ragazzi di ogni etnia e cultura – dice Emanuela – e li ho sempre visti reagire bene all’ora di religione. Loro non percepiscono il multiculturalismo come un problema. Sono sempre le famiglie che spingono i bambini ad abbandonare la lezione. Io non insegno ai bimbi ad andare alla messa o quale religione professare. A me interessa che vengano edotti sui fondamenti storici sui quali le varie religioni si basano”.

Ma come insegnare, ad un giovani di oggi, un testo antico come le Sacre Scritture senza annoiarlo? “Semplicemente – confessa Emanuela – narrando le proprie storie all’interno mettendo in risalto il fatto che i protagonisti sono gli uomini con tutti i loro errori, le loro mancanze, i loro pregiudizi e i loro difetti. Crescere con insegnamenti positivi, tratti da queste storie, aiuta poi da grandi ad accettare la sofferenza, senza rifiutarla; ad aiutare i più deboli, senza voltare la faccia dall’altra parte. La religione ci permette anche di comprendere il mondo che ci circonda: la storia dell’arte e quella del nostro territorio, ad esempio”.

Ultima domanda: le manca l’insegnamento? “Tanto – conclude Emanuela –. Mi manca il rapporto umano. Una bambina mi ha scritto: “Come farò il prossimo anno senza di lei?” Si tratta di una bimba che per me c’è sempre stata, sia nei momenti belli che nei momenti brutti. Un’altra mi ha scritto di aver conosciuto il piacere di stare a scuola grazie a me. Sono lusingata. Una mamma mi ha definita “un angelo” (che non sono, tutt’altro!) perché ho fatto di tutto per far partecipare suo figlio, nonostante le difficoltà, alla gita di classe. Queste cose sono impagabili nel cuore di un’insegnante”.

Ma c’è un aspetto di Emanuela che stupisce di più: che, oltre ad aver insegnato per oltre 40 anni nelle scuole, lei è anche mamma di tre figli: Federica, Michele e Priscilla. Una mamma-lavoratrice che è riuscita mirabilmente a conciliare il suo ruolo di ‘fortezza della famiglia’ con quello delicato di educatrice. Che dire, se non chapeau. Rimarrà sempre un mistero – per certi uomini – come le donne riescano a districarsi con successo in così tante mansioni…

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