Si può intrattenere un’intera platea con uno spettacolo, lungo più di due ore, ambientato unicamente dentro a una stanza? Un compito difficile, con illustri precedenti sia nel mondo del teatro che del cinema, ma che certifica, quando riesce nel suo intento, la complessità della sceneggiatura e ancor di più la bravura degli attori coinvolti, “costretti” tra quattro mura a tenere un ritmo serrato e incalzante che non può che mettere in risalto il loro talento.
Sono eventi rari, che lasciano il segno nella mente e nel cuore di chi ha il piacere e l’onore di goderne, piccoli spaccati di “vita” in grado di raccontare un’epopea, ironica o drammatica che sia, molto meglio di tante narrazioni disperse nello spazio e nel tempo.
Difficilmente il pubblico esce dalla sala senza aver speso prima scroscianti e lunghi applausi: un “destino” che sembra essere toccato anche all’ultimo spettacolo andato in scena al Teatro dei Differenti di Barga, l’ennesimo successo di una stagione di prosa che vede sempre, o quasi, il tutto esaurito.
L’opera, rappresentata nella serata di ieri sul palcoscenico barghigiano, è intitolata “L’Anatra all’Arancia”, nome già affibbiato a un film del 1975 di Luciano Salce (con protagonisti Ugo Tognazzi e Monica Vitti) ed entrambi “debitori” del soggetto-capolavoro scritto da William Douglas Home e in seguito adattato da Marc-Gilbert Sauvajon.
Molte sono le cose che differenziano l’esibizione scenica di ieri sera dalla pellicola risalente a ormai cinquant’anni fa, ma c’è più di un elemento ad accomunarle, come la verve dissacrante, il ritmo narrativo martellante, la voglia di giocare sui ruoli sociali e sulle idiosincrasie della vita quotidiana e la straripante personalità degli attori protagonisti.
Al posto di Tognazzi e Vitti salgono sul palco Emilio Solfrizzi, nel ruolo del fedifrago marito Gilberto, e Carlotta Natoli, nei panni della ormai spazientita moglie Lisa: due figure cardine attorno cui si muove tutta la vicenda, due professionisti strepitosi che si “affrontano” senza soluzione di continuità in una guerra fatta di gelosie, tradimenti, acredine e rivalità, sensazioni e situazioni espresse per mezzo di una prossemica perfetta e un perpetuo e incalzante scambio di battute e gag.
I due attori hanno un amalgama senza difetti, al punto da dar l’idea che l’uno finisca le battute dell’altra e viceversa. Potrebbero “tener” testa al pubblico anche da soli, ma la storia, nonostante non esca mai da un lussuoso soggiorno, si allarga a nuove variabili e personaggi, come il bislacco conte Serravalle-Scrivia (interpretato da Ruben Rigillo), la pedante domestica Teresa (Antonella Piccolo) e la disinibita segretaria Patrizia (Beatrice Schiaffino), anch’essi eccezionali nel ricoprire la loro piccola-grande parte all’interno di una narrazione che diventa ogni minuto sempre più surreale e imperniata da una comicità contagiosa.
Alla fine, nei modi più incredibili che si possa immaginare, è l’amore a vincere su tutto, un amore che si solidifica e si rafforza proprio nel comprendere le debolezze, i vizi e persino le meschinità dell’altro.
L’Anatra all’Arancia, però, riesce a essere molto di più: è un antidoto formidabile per smontare problematiche che riteniamo molto spesso insostenibili, un dolce viatico che ci dà il potere di sbarazzarci, o quantomeno affrontare, le nostre imperfezioni col sorriso stampato in volto.