Solitamente marzo e aprile rappresentano nel calendario podistico i mesi più importanti con tanti appuntamenti di notevole spessore, ma l’emergenza Covid-19 ha scompaginato tutte le nostre abitudini. Il portacolori valdostano del Gruppo podistico Parco Alpi Apuane-Team Ecoverde Omar Bouamer, atleta di livello nazionale con un personale sui 10.000 di 29’45’’, quest’anno è impegnato nella competizione più importante dove il tempo non gioca a tuo favore, ossia salvare vite umane strappandole al coronavirus che ha infestato fortemente anche la sua Valle d’Aosta. Omar Bouamer, laureato in scienze infermieristiche e uno delle punte di diamante del sodalizio del presidente Graziano Poli, sta infatti lavorando nel reparto di rianimazione dell’ospedale Umberto Parini di Aosta. Dall’8 marzo si è levato la tuta e le scarpette, correndo per ore nei turni di lavoro con addosso i dispositivi sanitari. Un campione nella vita così come nel podismo.
“Stiamo veramente lottando con tutte le nostre forze- ha affermato Bouamer-, dai medici a tutti gli altri operatori sanitari. Ci muoviamo proprio come una vera squadra, dandoci forza l’uno con l’altro. Negli ultimi giorni ho ricominciato a fare un po’ di allenamento in casa per scaricare la tensione, anche per essere più pronto e preparato fisicamente a lavoro”
In questi giorni frenetici riesce a pensare all’atletica?
“Onestamente non è questo il momento di concentrarsi sul mio amato sport. Per tutti noi il traguardo che ci prefiggiamo è quello di salvare la vita dei nostri malati. Nessuno si aspettava un Covid 19 così cattivo, sconosciuto ed implacabile, ma ci siamo organizzati come meglio potevamo. Qui ad Aosta i dispositivi di protezione individuale non sono mai mancati e il nostro ospedale ha triplicato i posti letto in rianimazione”.
Qual è il suo pensiero quando entra nel reparto di terapia intensiva?
Anche per noi professionisti della sanità l’impatto emotivo è forte. Nello stesso tempo sappiamo che dobbiamo essere razionali e organizzare in modo professionale il nostro operato per i pazienti. Noi siamo le sole persone che i pazienti vedono e possiamo dare loro una parola di conforto, così come i medici cercano di fare del loro meglio nel comunicare la situazione dei ricoverati ai famigliari.
Vi sentite orgogliosi dei complimenti e le belle parole ricevute da voi operatori sanitari in queste settimane?
“Ovviamente fa sempre piacere ricevere un grazie. Nello stesso tempo voglio dire che il nostro impegno e la nostra professionalità rimangono uguali sia quando ci criticano, sia ora che ci chiamano eroi. Per noi oggi il podio è quello di salvare i pazienti. Ogni volta che ne perdiamo uno, in noi subentra un sentimento di sconfitta che dobbiamo però superare velocemente, prima che subentri lo scoramento”.
Fa paura lavorare in un reparto cosi complicato?
“Dobbiamo sempre averla per stare sempre più concentrati, stare in guardia e adottare tutto quello che ci dicono i protocolli. Ovviamente le precauzioni devono essere al primo posto, ma ci affidiamo anche alla nostra professionalità, sapendo come comportarci in ogni frangente. Dobbiamo prestare la massima attenzione anche quando siamo fuori servizio. Io da tre settimane, ad esempio, non vedo genitori e fratelli per un senso di tutela e di rispetto verso di loro. Quando poi tutto sarà finito, la cosa più gradevole sarà quella di indossare di nuovo la maglia biancoverde della mia squadra e correre all’aperto”.