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Scritto da michele belfiore
vite reali
10 Giugno 2023

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Umberto Gioele Monti è il Procuratore capo della Repubblica di Ascoli Piceno. Lo ha stabilito il plenum del CSM all'unanimità nel 2018.

Monti, nativo di Colli del Tronto, ha 63 anni.

Tra le sue inchieste più famose quella sull'omicidio di Melania Rea. Ha rilasciato una lunga intervista esclusiva alle Gazzette, tutta da leggere, con risvolti che possono lasciare spunti interessanti.

Nel 2019 è stata introdotta la legge n. 69 nota come "Codice Rosso": per tutelare i diritti delle persone vittime di violenza. Lei cosa ne pensa?

Una buona legge, con poche e marginali criticità! Non riguarda solo la violenza verso le donne e le violenze sessuali, ha un senso più vasto, coerente e profondo: un richiamo di "attenzione" e sensibilità per i reati commessi con violenza alla persona che,  coinvolgono i beni primari dell'incolumità e libertà personale, specie per quelle forme di violenza innescate/facilitate da una situazione di "squilibrio" e di fragilità e debolezza della vittima; l'attenzione verso le forme di violenza "impari", invisibili, "silenziate", in cui la vittima (per contesto sociale, familiare, per i rapporti con l'autore del reato, per le sue condizioni personali di fragilità e vulnerabilità) ha timore di reagire, parlare e denunciare. Questa legge concretizza un percorso frammentario ma costante già avviato, partendo da una (tardiva) attenzione a livello internazionale per la violenza di genere e verso le donne -considerata già dal 1993 dall'ONU come una violazione dei diritti umani e la violazione più diffusa in tutti i paesi e in tutte le classe sociali; e un problema di salute pubblica dall'OMS dal 2000 : dalla "violenza" di genere, verso le donne alla pari ed analoga attenzione alle violenze sui bambini, alle discriminazioni razziali/etniche/religiose, alle violenze verso soggetti "deboli e invisibili" in condizioni di vulnerabilità. Con la consapevolezza che si tratta di diritti che necessitano -per non trasformarsi in diritti impari e a tutela discriminante- di forme specifiche e concrete di tutela che debbono adattarsi (dalle pene edittali, agli strumenti processuali, alla qualificazione dei soggetti istituzionali e assistenza della vittima del reato).

Alle peculiarità e vittima del reato, del contesto sociale nel quale il reato si realizza e si reitera.

E così attenzione specifica alla vittima del reato. Vengono previsti i termini che "vogliono" rendere più rapide (ed efficaci) le indagini per alcune categorie di reati tra gli altri maltrattamenti in famiglia, stalking, revenge porno e violenza sessuale con lesioni aggravate: con corsie preferenziali e urgenti di trattazione, cautele e modalità per l'ascolto della vittima, un suo ruolo meno marginale. Vengono introdotti, nuovi reati, previsti aumenti di pena che consentono una più lunga durata delle misure cautelari; completando un percorso già precedentemente iniziato con altri interventi normativi che estendevano i casi di procedibilità di ufficio per i reati di violenza sessuale che, introducevano misure cautelari nuove e meglio modulabili:

(divieto di avvicinamento alla persona offesa, allontanamento dalla casa familiare) che introducevano il reato di stalking.

Questa costante progressione verso una maggiore attenzione, sensibilità e tutela nei confronti delle "fasce deboli" dei soggetti fragili, delle vittime di violenza "di genere" o "da squilibrio", ha sorprendentemente subito una drastica inversione con la riforma "Cartabia" che realizza un incredibile arretramento nella tutela della libertà e incolumità personali e delle vittime più fragili.

Secondo lei è una buona o pessima legge la riforma della giustizia "Cartabia"?

La riforma Cartabia è una pessima legge!

Non abbrevia affatto i tempi processuali per arrivare ad una sentenza di merito, anzi li prolunga. Moltiplicando le possibilità di "distruzione" dei processi, limita le aree di tutela dei diritti; incrementa i profili di incertezza della pena; erode la credibilità stessa del sistema penale. Aver legato la necessità della sua entrata in vigore ai fondi europei sconta il grave equivoco di pensare e ritenere che la Riforma possa migliorare i tempi della giustizia, fermandosi alle sole false etichette di "abbreviazione" apposte su una sostanza di "distruzione" dei processi.

Si pensi soltanto al nuovo istituto della "improcedibilità" in Appello o in Cassazione: la "distruzione" dei processi e delle aspettative di giustizia sottese (dopo che vi era già stata -nonostante tutto in sentenza in I° grado). Presentata come "riduzione" della loro durata: tale concreta possibilità, di ottenere che, una sentenza di condanna venga messa nel nulla, perché trascorre del tempo (poco) senza la sentenza di II° grado o di Cassazione evidentemente incentiverà le impugnazioni affollando ancor di più le Corti di Appello e la Cassazione, rendendo più lunghi i tempi e più facile arrivare alla dichiarazione di improcedibilità. Come se per ridurre i tempi di attesa in un Pronto Soccorso evitando che, vi siano prestazioni oltre le 4-5 ore di attesa si decidesse che decorso tale tempo i pazienti non saranno visitati e debbono andar via, lasciando formalmente e ipocritamente a posto le carte da cui non risulterà più alcuna visita oltre le 4-5 ore di attesa del paziente, magari con lodi e premi per l'efficienza raggiunta e per l'abbreviazione dei tempi così ottenuta!

Sul piano sostanziale si va poi verso la "indifferenza" dello Stato nei confronti delle vittime specie se invisibili, marginali, fragili:

le lesioni fino a 40 giorni (ossa e mascelle spaccate in un pestaggio con calci e pugni) procedibili a querela e di competenza del Giudice di Pace,  impossibile l'arresto in flagranza e misure cautelari. Il sequestro di persona "base" anche di lunga durata e con vittima legata o imbavagliata, procedibile a querela; resta procedibile a querela anche se finalizzato a commettere una violenza sessuale, anche se la violenza avviene più volte. La violenza o minaccia per costringere a fare o omettere qualcosa procedibile a querela; anche se la violenza e minaccia vengono commessi per non far sporgere querela o per farla ritirare in relazione ad un pregresso reato.

La violenza sessuale e lo stalking (tipici reati che coinvolgono soggetti deboli e fragili e "impauriti") anche quando connessi con un sequestro di persona o con una violenza privata restano procedibili a querela, anche quando dopo la violenza sessuale vi è la minaccia per non far sporgere querela o quando dopo e durante lo stalking vi è minaccia - violenza per non far sporgere o ritirare la querela!

La vittima è lasciata sola a decidere le sorti dell'autore di gravi e gravissimi reati; lo Stato non offre (paradossalmente) nemmeno una seria tutela alla "libertà" di scelta e decisione della vittima, anzi continua a lasciarla sola anche quando l'autore del reato la minacci o la aggredisca, anche più volte, per "convincerla" che è meglio non sporgere querela o che è meglio ritirarla: anche questo (ben grave) reato è stato reso procedibile a querela! In presenza di reati procedibili d'ufficio (non solo i furti aggravati, ma anche il sequestro di persona o la violenza privata, che rendevano procedibili di ufficio violenza sessuale o stalking ove connessi) l'autore dei reati non aveva alcun vantaggio a "pressare" la vittima,  minacciarla e picchiarla per fargli "ritirare" la querela o per non fargliela sporgere; ora invece se riesce a "convincere" la vittima il procedimento penale non inizierà per nulla, non arriverà alla fine; un bel vantaggio! Ancor più facilitato dall' incredibile procedibilità solo a querela per le minacce e le violenze che volesse compiere allo scopo.

Secondo lei uno stato può sentirsi indifferente: a questi reati e lasciare alla parte offesa la decisione se sporgere o meno querela?

Con la parte offesa lasciata quindi "esposta" alla solitaria responsabilità di decidere le sorti dell'autore di gravi reati, ed esposta quindi a possibili/probabili indebite pressioni e a paure, dubbi e incertezze. Mentre lo Stato non solo arretra e sta a guardare ma "spera" e "spinge" affinché querela non vi sia o che venga rimessa ! Magari anche attraverso il nuovo istituto della giustizia riparativa e dei "mediatori" tra vittima e autore del reato.

Separazione delle carriere, tra pubblici ministeri e giudici, un rebus politico-giurisdizionale?

La separazione delle carriere non risolve alcuno dei tanti problemi del sistema giustizia!

(Lentezza processi, difficoltà ad arrivare ad una sentenza definitiva, efficacia dei meccanismi di indagine e processuali di fronte a reati e forme di criminalità più complessi, garanzia sostanziale per tutte le parti processuali).

Si continua quasi ossessivamente a insistervi coma una riforma necessaria e risolutiva, nascondendo le implicazioni e rischi che in realtà appaiono essere non solo reali e concreti ma il vero fine della riforma stessa: controllo politico del pubblico ministero (delle indagini,  dall' esercizio e azione penale) .

Attrazione verso forme di dipendenza anche gerarchica dal Governo; discrezionalità azione penale, decisa secondo indirizzi e direttive politiche. Un PM separato dai Giudici vedrebbe indebolita la sua autonomia e indipendenza; vedrebbe accentuato il suo carattere di "accusatore"; se vi affianchiamo la discrezionalità dell'azione penale –invocata da molti come rimedio ai "troppi" processi- diviene inevitabile che il PM prenda direttive dal potere politico (e dunque dalla maggioranza del momento) su come, in quali casi, entro quali termini, e verso chi esercitare l'azione penale, perché una tale scelta "discrezionale" non potrebbe essere lasciata ad un magistrato che risponde solo alla legge. La erosione dei principi di uguaglianza di ciascuno davanti alla legge è evidente, vi sarebbero disparità di trattamento ed esercizio opaco e intermittente dell'azione penale a seconda del momento e delle direttive avute, (importanza e visibilità mediatica del caso?) pur restando formalmente intatta la legge che punisce quei reati. Gli argomenti portati a favore della separazione delle carriere sono fragili, se non inconsistenti:

la separazione carriere garantisce la terzietà del giudice che altrimenti resterebbe "appiattito" sulle richieste del "collega" PM; si tratta evidentemente di una sciocchezza: come già diceva un famoso avvocato penalista (il Prof Coppi), se si nasce "sogliola" ci si appiattirà sulle richieste più "forti" o "più comode" ma la colleganza e la separazione delle carriere nulla c'entrano; le numerosissime sentenze di assoluzione o le tante richieste dei PM non accolte stanno lì a dimostrarlo; se la colleganza comportasse questo rischio allora bisognerebbe costruire carriere separate tra i giudici di primo grado e i giudici di appello, e quelli di Cassazione... perché anche lì e ancor di più funzionerebbe il condizionamento da colleganza.... e il giudice di appello si appiattirebbe sulla sentenza di primo grado in quanto scritta da un giudice collega;

la separazione è un rimedio alla deriva accusatoria e non equilibrata dei PM e alla loro incapacità tener conto delle posizioni e delle ipotesi difensive; è l'esatto contrario: se i PM sono troppo "cattivi" e "sbirri" il rimedio non è quello di separarli dai giudici e renderli una sorta di corpo separato dedicato a coltivare unilateralmente le ipotesi di accusa ma al contrario è quello di favorire l'osmosi e i passaggi di funzione, facendo si che anche al PM appartenga una cultura della giurisdizione e una capacità di mettersi in dubbio e di mettere in dubbio le ipotesi di accusa, di saper ascoltare le richieste delle parti.

La separazione organica tra la carriera dei giudici e quella del pubblico ministero è stata istituita in Portogallo nel 1978; nel corso della sua quasi trentennale applicazione, quel progressivo affievolimento della cultura giurisdizionale dei P.m. E' stato l'oggetto delle preoccupazioni della magistratura italiana. Una sua riflessione?

La separazione delle carriere esiste in altri Paesi occidentali: fermo restando che comparare (in modo parziale peraltro) non è argomentare -gli altri Paesi hanno sistemi e meccanismi processuali ben diversi- va pur detto che dove c'è la separazione delle carriere vi è sottoposizione dei PM al Governo; tranne che in Portogallo dove è stata introdotta la separazione delle carriere mantenendo la indipendenza dal potere esecutivi, ma gli effetti sono stati una accentuata gerarchizzazione del pubblico ministero e una conseguente deriva burocratica, volta all'adempimento di direttive gerarchiche e all'ottenimento di risultati misurabili in statistiche e un affievolimento della cultura della giurisdizione che è garanzia per tutti; non pare invece vi siano stati effetti positivi a questa riforma. Tranne quest'unico e comunque preoccupante caso (di cui andrebbero misurati gli effetti positivi e negativi), separazione carriere e dipendenza del PM dall'esecutivo viaggiano necessariamente insieme (coloro che vogliono la separazione delle carriere dicendo che ciò non comporterà la dipendenza dall'esecutivo dovrebbero ben tener presente questo dato obiettivo). In alcuni paesi a presidiare tutta la fase delle indagini vi e' un Giudice (il "vecchio" Giudice Istruttore) quasi a sottolineare la necessità di una figura autonoma e indipendente dal Governo a governare le indagini; nel nostro sistema non c'è il Giudice Istruttore e le indagini sono dirette esclusivamente dal PM per cui un suo "allontanamento" dalle garanzie di autonomia e indipendenza proprie dei Giudici e un suo avvicinamento al potere politico sarebbe ancor più pericoloso. Ma si controbatte che nessuno vuole che il PM vada alle dipendenze del Governo, ma allora? perché questa riforma? solo per evitare il rischio di "appiattimento da colleganza"? rischio in realtà inesistente perché se davvero vi fosse ; bisognerebbe separare anche tutti i giudici a seconda delle fasi del giudizio, questo nessuno arriva a chiederlo.

Per avere nessun beneficio si rischia di andare a toccare equilibri delicatissimi e a erodere i principi di uguaglianza di ciascuno davanti alla legge e di trasparenza e comprensibilità nell'esercizio dell'azione penale e di esercizio autonomo e indipendente della giurisdizione.

Perché "dedicarsi" con così tanta insistenza a questa riforma. Lo si dica con chiarezza e senza infingimenti: si vuole la separazione delle carriere per la discrezionalità dell'azione penale e la dipendenza dei PM al Governo.

Alla domanda che richiede, se possibile, una risposta fortemente sincera: secondo lei esiste una magistratura "politicizzata"?

E' una affermazione ricorrente, quasi sempre associata alla enfatizzazione di un preteso "strapotere" della magistratura e al "rimedio"

visto proprio nella separazione delle carriere, rimedio per certi versi paradossale perché quella invocata separazione conduce inevitabilmente proprio al controllo politico sui Pubblici Ministeri contro cui asseritamente ci si batte. I casi che innescano o hanno innescato queste accuse di politicizzazione sono riferibili a procedimenti o processi nei confronti di uomini politici più o meno importanti, a volte insofferenti verso gli ordinari meccanismi di garanzia processuale che riguardano tutti i cittadini e attraverso i quali verificare la fondatezza o meno delle incolpazioni e l'accertamento del fatto. E allora a fianco alla necessaria domanda sulla politicizzazione della magistratura e ai rimedi possibili, ci si dovrebbe chiedere se ciò che ha dato e da fastidio sia proprio una magistratura che agisce e decide su input politici e per suggestioni o condizionamenti politici. Piuttosto una magistratura immune da tali condizionamenti e insensibile ad essi ? se è proprio questa autonomia e "incontrollabilità" esterna (perché i controlli processuali ci sono e sono innumerevoli) a richiedere interventi correttivi, mascherati dall'intento dichiarato di risolvere il problema obliquamente enfatizzato della politicizzazione della magistratura. E i casi in cui la "politicizzazione" è stata in qualche modo riscontrata (e non solo affermata dai soggetti coinvolti in procedimenti per i quali si ritenevano innocenti),  offrono spunti di riflessione per dover tenere insieme entrambe le domande e per evitare risposte semplificatorie: emblematico da ultimo il caso noto dell'Hotel Champagne dove magistrati, magistrati del CSM, politici e un politico imputato dalla Procura di Roma, discutevano di chi dovesse essere nominato Procuratore di Roma; tutti i magistrati partecipanti a quell'incontro hanno subito conseguenze con procedimenti penali e disciplinari avviati dalla magistratura e dal CSM;

i politici presenti non hanno avuto conseguenza alcuna, nessun tipo di sanzione sociale/politica dai partiti di riferimento. E il problema dell'hotel champagne era "solo" la politicizzazione della magistratura -scordandosi che la natura di quell'incontro era stata scoperta solo grazie alla magistratura stessa e alle intercettazioni, e che ruolo centrale e attivo nella tenuta dell'incontro lo avevano anche i politici; quasi sembrava (tutta la polemica sull'uso del c.d. trojan nelle intercettazioni e la necessità di limitarlo) .

ll problema vero non fosse quell'incontro e il tema su cui si discuteva, ma che quell'incontro era stato scoperto. Massimo rigore ad evitare sempre e comunque che vi siano commistioni oblique tra politica e magistratura che ne condizionino le scelte, e sanzionare adeguatamente tali condotte quando accertate, ma anche evitare generalizzazioni, semplificazioni strumentali e unilaterali.

Le famiglie delle vittime di strada, lamentano lacune impressionanti, non credono nella giustizia! Secondo lei Cosa bisogna fare per avere una legge più severa nei confronti delle persone che commettono omicidi stradali?

In realtà dal 2016 le pene sono state aumentate significativamente per l'omicidio colposo "stradale" e vi per certi casi non solo la facoltà ma l'obbligo di arresto in flagranza. E ciò come risposta proprio a casi purtroppo numerosi di incidenti stradali mortali causati da conducenti ubriachi o sotto l'effetto di stupefacenti. La riposta data con gli aumenti di pena (in certi casi persino eccessivi),  con la previsione dell'arresto obbligatorio per i casi più gravi, con un articolato catalogo di aggravanti è però una risposta insufficiente. Il problema è il malfunzionamento del sistema processuale dedicato ad accertare quel reato, quelle circostanze e a irrogare la pena al colpevole, sistema che consente significativi meccanismi di sconto o di diluizione della pena anche per reati gravi e contro la persona e anche per l'omicidio strale, tali da non "rendere giustizia" e da marginalizzare le aspettative delle persone offese e dei familiari .Il meccanismo del "patteggiamento" è emblematico: si può arrivare ad una sentenza "patteggiata" con una pena ridotta di 1/3 e varie altre possibilità e vantaggi per l'imputato, senza che tale sentenza sia considerabile di condanna che accerta il fatto, senza che tale sentenza abbia un qualche valore in sede civile e amministrativa (come la riforma Cartabia ha ulteriormente sottolineato); una sentenza quasi "inutile" e che serve solo a "definire" più o meno rapidamente un procedimento. I familiari delle vittime non vogliono solo un risarcimento, ma che vengano accertate e stabilite delle responsabilità; ed è quello che la sentenza di patteggiamento non fa, a prescindere dalle entità delle pene. E' l'ottica paradossale del cercare di smaltire procedimenti attraverso premi, discount e vantaggi (commetti tre e paghi due, anche meno!), disinteressandosi delle aspettative di giustizia delle vittime e dei loro familiari (e della stessa coerenza e tenuta del sistema penale).

Non occorre quindi una legge "più severa" per gli omicidi o le lesioni "stradali" ma rivedere i meccanismi processuali che rendono il processo una sorta di "gioco dell'oca" con moltiplicazione delle caselle che fermano tutto e rimandano indietro, la parte offesa vista quasi con "fastidio"; rivedere i riti "alternativi".

Stabilire che la sentenza di patteggiamento "è" sentenza di condanna; garantire un maggior spazio alle vittime e alle parti civili; ridurre i margini di applicabilità o i vantaggi dei riti premiali (patteggiamento e giudizio abbreviato) per i reati più gravi contro la persona; cercare di rendere più certa e meno evanescente la pena. Ma le riforme attuali vanno proprio in senso opposto: da ultimo la riforma Cartabia ha aumentato gli incentivi e i vantaggi per i riti alternativi, ha ampliato i margini di incertezza e di "volatilità" della pena, ha complicato ulteriormente le fasi processuali.

Semmai sul piano sostanziale e dei reati, si potrebbero semplificare i reati e le pene per la guida in stato di ebbrezza (divenuti un piccolo labirinto) e rendere più certe le modalità di accertamento e le sanzioni; anche per altre violazioni al CdS (gli eccessi importanti di velocità specie nei centri abitati, i sorpassi in curva... ) si potrebbe pensare ad un sistema più rigoroso e attento, specie per i casi di reiterazione delle violazioni.

Tra le inchieste più importanti che ha seguito: omicidio di Melania Rea fino all'arresto di Salvatore Parolisi. Giustizia è stata fatta?

Parolisi è stato riconosciuto colpevole dell'omicidio della moglie Melania Rea colpendola ripetutamente con un coltello, per 35 volte, al volto, al capo, al torace alle braccia; omicidio avvenuto mentre la piccola figlia era rimasta in auto; colpevole di aver deturpato il cadavere della moglie tornando sul posto dopo l'omicidio e incidendo sul corpo delle ferite figurate (una croce, una svastica) e infilando una siringa usata sul corpo della donna.

Parolisi aveva scelto il rito abbreviato che garantisce uno sconto di pena; in secondo grado la Corte di Appello de L'Aquila aveva determinato la pena in 30 anni in sostituzione dell'ergastolo (che era stato applicato in primo grado), mentre poi la Cassazione, ritenendo non sussistente l'aggravante contestata di aver agito con crudeltà ( nel "continuare nella azione lesiva anche quando la moglie, ancora cosciente, era incapace di difendersi a seguito dei primi colpi ricevuti da tergo e infierendo con complessivi 35 colpi di coltello sul corpo della donna"), determinava la pena complessiva in 30 anni di reclusione ridotta ad anni venti per effetto della scelta processuale. A questo sconto di pena si sommano poi lo sconto in sede di esecuzione della pena di 3 mesi ogni anno, riduzione che si applica ai condannati "che abbiano dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione, e che di fatto viene spesso concessa in assenza di condotte negative disciplinarmente rilevanti da parte del detenuto. Vi è dunque da una parte l'accertamento dei fatti, il riconoscimento della penale responsabilità del Parolisi, il suo arresto in fase di indagini preliminari e la sua detenzione in carcere che da quel momento è continuata ininterrottamente; dall'altra una pena che -nonostante l'oggettiva gravità dei reati- va a diluirsi per effetto del sovrapporsi di sconti di pena concessi in sede di giudizio e poi in sede di esecuzione. Al di là del caso concreto occorrerebbe forse un ripensamento generale su tali diluizioni della pena e sui corrispondenti meccanismi specie in relazione ai delitti più gravi contro la vita e la incolumità personale; e tener conto non solo della "rapidità" dei processi e degli "incentivi" a tale rapidità ma anche della effettività delle pene e della comprensibilità e proporzionalità delle stesse.

E sarebbe anche il caso di riflettere sul generalizzato obbligo introdotto dalla "Cartabia" di avvertire la persona sottoposta ad indagini e la vittima del reato, di qualsiasi e anche gravissimo reato, fin dal primo contatto con la polizia giudiziaria, anche immediatamente dopo i fatti, che hanno facoltà di accedere alla "giustizia riparativa" e all'opera di un "mediatore" caratterizzato da "equiprossimità"; cioè a dire, per fare un esempio drammaticamente attuale, al momento dell'arresto di Impagnatiello, subito dopo l'omicidio, con il dolore vivissimo e cocente, è previsto per lui e per i familiari della sua vittima l'avviso che possono ricorrere alla giustizia riparativa: ma ha senso un avviso del genere? un adempimento così generalizzato e assoluto, che non tiene conto dei tempi e della gravità dei reati, è ragionevole ? ed è rispettoso del dolore e della sensibilità delle vittime avvisarle della facoltà di ricorrere alla giustizia riparativa subito dopo -ad esempio- l'omicidio di un figlio, o subito dopo aver subito una violenza sessuale, o una estorsione, o lo sfregio permanente del viso ?:

Anche in questa previsione la riforma Cartabia mostra la sua scarsa attenzione verso le vittime dei reati.

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