Esistono case che sembrano studiate per rappresentare il palcoscenico della storia, di una storia. Ed esistono storie che iniziano da una fine come quella di Lorena Quaranta. Vittima di un virus che, nel suo caso, non ha avuto nemmeno la necessità di bussare alla porta ma si è palesato nelle mani assassine del compagno. Vittima non di Covid-19 ma di un altro morbo letale, globale e pandemico chiamato violenza che l’ha sopraffatta nel fiore degli anni e all’interno delle proprie mura domestiche.
Per Lorena, che di cognome fa Quaranta, quella terra di Sicilia bruciava di desideri e di aspettative. Animata da chi ha una voglia ardente di combattere in prima linea e di occupare il suo posto nella corsia di un ospedale, Lorena avrebbe concluso i suoi studi il prossimo luglio. Non ha fatto in tempo a tagliare il suo traguardo ma, al contrario, ha dovuto salire lo scalino per raggiungere le stelle.
Quando hai 27 anni e vieni uccisa con quella ferocia hai subito diritto ad una biografia. “L’ho ammazzata. Non so neanche io come”. Questa la frase pronunciata al 112 da Antonio De Pace, compagno coetaneo della donna ed infermiere a Furci Siculo (Messina). L’uomo, dopo aver tentato senza riuscirsi il suicidio, ha chiamato le forze dell’ordine per denunciare quanto accaduto.
Alla storia di Lorena, strangolata dalle mani del fidanzato, se ne affiancano altre nelle ultime ore. Si affianca quella della donna accoltellata alla gola davanti ai figli a Milano, zona Porta Genova, e quella della donna incinta ferita alla testa con una pentola per mano del compagno. Ormai è sotto gli occhi di tutti. Con il perpetrarsi della quarantena diviene sempre più nitido quanto il diffondersi su scala mondiale della pandemia vada ad impattare drammaticamente su situazioni già di per se complesse. Inutile negarlo, queste vicende sono destinate a rimanere sospese nella memoria collettiva come frammenti laceri di una violenza senza remissione.
La triste realtà è che abbiamo imparato dalla Cina come tutelarci dal Covid-19 ma non sappiamo ancora come tutelarci dalla violenza domestica. Anch’essa è un morbo culturale capace di infettare luoghi, menti e corpi. Non dimenticatevi di loro. Non dimentichiamoci di loro.
Nella foto la criminologa Anna Vagli