Con Alessandro Dalai ci conosciamo da oltre vent'anni, da quando, cioè, una mattina o un primo pomeriggio, nella sede storica della Baldini&Castoldi a Milano, in via Edmondo De Amicis, suo zio Oreste Del Buono, il mitico Oreste di Linus e non solo, ci accompagnò nel suo studio dove ci accordammo per la pubblicazione della biografia di Ruggero Zangrandi e, soprattutto, per lavorare ad un'altra biografia, molto, molto più pericolosa e intrigante, quella dell'editore Giangiacomo Feltrinelli morto a Segrate nel 1972 mentre stava cercando di piazzare delle cariche esplosive intorno ad un traliccio dell'alta tensione.
A lui dobbiamo molto. Fu, se non il primo, sicuramente il più coraggioso a firmare un contratto con un aspirante scrittore perfettamente sconosciuto che osava proporre di cimentarsi nella vicenda tra le più intricate e chiacchierate della recente storia d'Italia. Il contratto era, per la saggistica, anche di quelli che avevano un certo peso economico tale, tra l'altro, da fornirci una ulteriore, concreta spinta ad occuparci di una storia e di un personaggio che inseguivamo da tempo senza successo aiutati, purtroppo, senza risultati, dal professor Nicola Tranfaglia, uno degli storici più illustri e accreditati del panorama accademico nazionale.
Con Dalai pubblicammo anche altri libri, salvo, poi, nel 2001, passare ad Einaudi con Lorenzo Fazio che, all'epoca, dirigeva la collana degli Struzzi, la più prestigiosa in assoluto. Fu un tradimento del quale ancora, in parte, ci vergogniamo, ma non tanto per la cosa in sé dal momento che un autore è un po' come un calciatore, quando sente di voler salire di livello, non può fermarsi; quanto, piuttosto, per quel senso di innata riconoscenza verso una persona che aveva creduto in noi quando noi, onestamente, non avevamo alcuna credibilità letteraria se non, appunto, una bella storia raccontata con documenti inediti e avente come protagonista un personaggio straordinario come Ruggero Zangrandi l'autore de Il lungo viaggio attraverso il fascismo e de L'Italia tradita: 8 settembre 1943.
Ecco perché ci fa un certo effetto scrivere queste righe in cui Alessandro Dalai racconta un altro tradimento, ben più grave e molto, ma molto più oneroso e sofferto, patito a suo dire e anche stando alla sentenza del tribunale di Milano del dicembre scorso, a seguito di un mancato rispetto del contratto per l'uscita del suo ultimo libro, proprio da quel Giorgio Faletti che, come noi, niente era sotto il profilo letterario e che, invece, dopo la pubblicazione del suo primo romanzo 'Io uccido', nel 2002, diventò l'autore di best-seller per antonomasia della letteratura italiana thriller-noir. Non a caso il libro che Alessandro Dalai sta per dare alle stampe ha come titolo: 'Io ti uccido': Ho riavuto l'onore dei miei comportamenti passati essendo stato assolto da tutto quel clima creato da Mondadori su me e la mia famiglia. Adesso scriverò un libro che si chiama 'Io ti uccido' e racconterà nel dettaglio le storie di questa incredibile vicenda oltre naturalmente alla mia vita editoriale. In fondo, sono loro che hanno ucciso me ed è, ovviamente in senso metaforico, ma nemmeno tanto, che Giorgio Faletti mi uccide. Il figlio che uccide il padre.
Alla Baldini&Castoldi lavorava un direttore editoriale di grande eleganza e e cultura, Piero Gelli, che ci raccontò una volta come il romanzo di straordinario successo di Giorgio Faletti, in realtà era un insieme di racconti che l'autore gli portò da leggere, ma che non convinsero nessuno. I racconti, infatti, non si vendono e scommetterci sopra è sempre stato un azzardo. Così, lo stesso Gelli disse al cantante di Signor tenente, Sanremo 1994, canzone di grande risonanza, di provare a fare un romanzo e lo aiutò nel suo percorso. Il risultato è storia.
Un libro, quindi, appena scritto dall'editore più anticonformista degli ultimi 30 anni, che racconta non solo di sé e del suo rapporto con gli autori che, via via, ha scoperto e pubblicato - da Susanna Tamaro a Naomi Klein, da Giorgio Faletti a Gino e Michele, da Enrico Brizzi ad Aldo Busi a Paolo Mereghetti - ma anche di come una casa editrice molto, ma molto più grande, la Mondadori, ha cercato di farlo fallire riuscendoci dopo avergli impedito di riprendere dal magazzino tutto il parco volumi di proprietà. E' una storia di cannibali, di editore che mangia editore, di una società senza più alcuna regola scritta, ma anche non scritta, il racconto di un libro per il quale Alessandro Dalai aveva già versato un anticipo di 320 mila euro su un compenso totale pattuito di 800 mila euro, ma che non sarebbe mai uscito perché il suo autore stava per passare, armi e bagagli, alla concorrenza.
Ciò che trovo più incredibile della mia assoluzione per il fallimento della Baldini&Castoldi Dalai, dopo dieci anni, è che in una Italia in cui la cultura dovrebbe essere protetta, un'industria sopra le altre, sia potuto succedere quello che è accaduto e cioè che la Mondadori in mano a Berlusconi si sia permessa di aggredire uno dei più importanti editori d'Italia, uno dei primi dieci editori italiani senza che nessuno, politici in primis, abbia detto nulla. Alessandro Dalai è amareggiato, ma ora che ha vinto, ancora più sorpreso di un silenzio a suo avviso inconcepibile, in particolare, a sinistra dove lui ha sempre militato e per la quale si è speso più volte.
Uno come me - continua - che ha rilevato l'Unità, che si è impegnato nella politica culturale nella quale pubblicavamo, è vero, anche Faletti e Tamaro, ma c'erano libri di grande spessore culturale. Ero un editore importante e indipendente che andava difeso quantomeno non si sarebbe dovuto permettere una aggressione verbale del tipo Ti faccio fallire per portarti via l'autore più famoso. Bisogna difendere le aziende culturali altrimenti tutto finisce in poche mani. Ebbene, dov'è la cultura quando succedono queste cose? Mi aspetto che la destra non ci sia, ma la sinistra non può non esserci a difendere questa impresa. E, invece, anche la sinistra non c'è stata.
Tutto, o quasi, ebbe inizio quel maledetto 9 gennaio 2013, era un venerdì ed erano le 15 o giù di lì. Riccardo Cavallero, successore in Mondadori del grande direttore generale Gian Arturo Ferrari, entrò da solo nell'ufficio di Dalai in via De Amicis e gli disse, papale papale: Tu non pubblicherai il libro di Faletti. Nel 2011 - dice Dalai - gli avevo pagato l'anticipo 320 mila euro a valere su 800 mila euro. Era il suo quinto libro. Mondadori era anche il distributore delle nostre opere. Io reagii dicendo che c'erano in ballo tre milioni di euro di margine che io avrei perso, ma lui non rispose e se ne andò perché non ci fu margine di trattativa. Dopodiché Faletti scomparve. Avemmo una telefonata nella quale mi disse che non si trovava bene con noi e sparì dietro la Mondadori. Cavallero ha sempre negato, ma una volta davanti al giudice, ha dovuto ammettere che mi stava impedendo di pubblicare il libro. Giorgio Faletti fece un contratto con Mondadori, ma nel corso del processo la Mondadori ha sempre affermato che non c'era alcun contratto tra loro e Faletti. Questa cosa è venuta fuori solo dopo dieci anni, davanti al tribunale di Milano, quando la vedova Roberta Bellesini Faletti ha testimoniato dicendo che aveva restituito l'anticipo alla Mondadori ammettendo, indirettamente, che il contratto c'era eccome.
C'è poi stata la vicenda delle copie, milioni, custodite in un magazzino e sottratte di proposito alla disponibilità del proprietario, ossia l'editore che li aveva stampati, Baldini&Castoldi, togliendogli ovviamente qualsiasi fonte di sostentamento.
Il capo dell'ufficio legale Mondadori - spiega Dalai - ha ammesso di non aver mai restituito i libri alla Baldini&Castoldi aggiungendo che se li erano tenuti fino a quando non sono andati a stock. E' evidente che volevano farmi fallire. Nel 2013/2014 senza dirci nulla hanno venduto parte dei nostri libri incassando 1 milione 800 mila euro. Io ero in una situazione pre-fallimentare e loro continuavano a rifornire le librerie senza pagarceli. Questo peraltro è cosa gravissima visto che se avessimo avuto quei soldi o se li potesse avere avuti il curatore fallimentare, avremmo potuto pagare molto di più il ceto creditorio. Il magazzino a prezzi di copertina della Baldini&Castoldi valeva 80 milioni di euro. I curatori lo misero in vendita per 250 mila euro facendolo stimare da un perito del tribunale che, in realtà, era anche un agente della scolastica di Mondadori oltreché un suo grossista. La Mondadori non li fece contare, non fece, cioè, un inventario essendo stati tutti accatastati alla rinfusa e consegnò ai curatori fallimentari un tabulato enorme. Si firmò un documento in cui secondo la curatela e lo stocchista i libri non si potevano contare e aggiungono che, complessivamente, si trattava di circa tre milioni e 800 mila copie. In questo quantitativo c'erano anche 1 milione 500 mila copie delle opere di Giorgio Faletti. Dopo dieci anni hanno venduto libri nel primo mercato per dieci milioni di euro a prezzo di copertina e, successivamente, nel secondo mercato, quello delle bancarelle.
Il 21 dicembre 2023 Alessandro Dalai viene assolto dal tribunale di Milano dal reato di bancarotta fraudolenta: Stiamo aspettando le motivazioni che arriveranno entro 90 giorni. Sono stato assolto perché il fatto non sussiste. Sto facendo causa a Mondadori, sto facendo gli atti per promuovere una causa a Faletti, all'agente Piergiorgio Nicolazzini e alla Mondadori. Sia perché mi hanno chiuso il magazzino, sia perché mi hanno tolto Faletti sia per i danni d'immagine immensi che mi hanno causato, nascondendo che ci avevano fatto fallire loro. Ho riavuto l'onore dei miei comportamenti passati essendo stato assolto da tutto quel clima creato da Mondadori su me e la mia famiglia. E adesso scriverò un libro che si chiama 'Io ti uccido' e racconterà nel dettaglio le storie di questa incredibile vicenda oltre naturalmente alla mia vita editoriale. Sono loro che hanno ucciso me ed è Faletti che mi uccide. Il figlio che uccide il padre.
Alessandro Dalai ha 76 anni e un grande avvenire dietro le spalle. Suo zio, Oreste Del Buono, era originario dell'Elba dove i suoi antenati erano diventati i proprietari delle miniere di ferro dell'isola mentre i Tesei, cognome della mamma di Dalai sorella dell'eroe nazionale Teseo Tesei, erano di Poggio, un piccolo paesino di montagna appartenente al comune di Marciana. E Giorgio Faletti, guarda il caso, all'Elba di cui si era innamorato, aveva comprato una casa ai tempi del Drive In di Antonio Ricci, a Capoliveri.
All'età di 76 anni, quando tempo ci vorrà per vedersi restituire quello che le è stato sottratto?
Quanto tempo ci vorrà lo sapremo solo vivendo perché, in realtà, io più volte ho chiesto a Mondadori di essere indennizzato, ma, naturalmente, non è arrivata nemmeno una risposta perché più le cose andavano avanti e più era chiaro che avevano fatto una porcheria. Durante il processo è emerso che il ruolo di Mondadori è stato un ruolo molto attivo nel provocare il fallimento di Baldini&Castoldi. Tra il 2013 e il 2014 ha venduto 1 milione 800 mila euro di libri della Baldini&Castoldi senza rendicontarli e senza pagarli a Baldini e, dopo, con la vendita a stock di magazzino, li hanno venduti al 50 per cento.
Se le restituissero, in soldoni, parte di quello che ha perso, cosa ne farebbe? Vacanza all life long ai Caraibi?
Continuerei a fare l'editore come ho sempre fatto. Ho un sito on line, Mame, che mi piace e che mi fa divertire, ma senza dubbio riprenderei a pubblicare i libri. Avevo già pronto un dizionario della moda, ma non ho trovato nessuno disposto a distribuirlo. Con l'aiuto di Banca Intesa e della Camera della moda sono riuscito a stamparlo e pubblicarlo e l'ho distribuito con gli amici del Libraccio.