Storie, aneddoti e vino. Tanto vino. A fiumi. Tanto quanto ne doveva scorrere nelle leggendarie osterie di Bologna; quelle che Francesco Guccini - e, insieme a lui, una genia di cantautori - frequentava e che sono diventate quasi il simbolo di un mondo (anche musicale) che non c'è più.
Oggi, al posto di quelle romantiche e scanzonate osterie, ci sono le più fredde e ciniche enoteche - simbolo di un mondo più costoso, consumistico e imborghesito - dove tra salatini, taglieri, aperitivi, apericene, assaggi e assaggini quello che si è perso, forse, è proprio il gusto del semplice stare insieme.
Le osterie erano il luogo di ritrovo dei lavoratori o, per dirla con il 'maestrone' di Modena, di proletari (da pronunciare rigorosamente con la 'r' arrotata e con l'accento emiliano). Un posto economico dove, se chiedevi del vino, ti portavano quello della casa. La scelta - se c'era - era, al massimo, tra un rosso o un bianco. Stop. Niente sommelier, niente menù, niente parolacce da forestieri.
C'è una certa mitologia del vino nella poetica di Guccini. Quasi come se il vino conservasse anche il segreto del suo fascino artistico che invecchiando, migliora. Ne è la riprova il suo pubblico, inter-generazionale, fatto per lo più di gente matura, ma anche di una buona rappresentanza giovanile che, se non si vuole definire acerba, si può dire precocemente maturata.
Alla Fortezza delle Verrucole, ieri sera, è mancato giusto il tramonto; perché, per il resto, non si poteva chiedere di meglio. Ospiti del festival "Mont'Alfonso sotto le stelle" i musici di Guccini: Juan Carlos “Flaco” Biondini, leader della band, alla chitarra (anzi, alle chitarre acustica ed elettrica) e alla voce; Vince Tempera, alle tastiere; Ellade Bandini, alla batteria; Roberto Manuzzi, ad armonica e sax (in sostituzione del convalescente Antonio Marangolo) e il giovane Giacomo Marzi, al basso elettrico.
Non una cover band, quindi, ma una vera e propria band ufficiale. Quella che non solo ha potuto eseguire i brani del cantautore, poeta, scrittore e attore modenese; ma ha saputo anche spiegarli, a partire dalla loro genesi. Ed ecco, allora, che "L'ubriaco" e "Il frate" hanno potuto assumere un volto; "Autogrill" e "La locomotiva", un colore; "Cyrano" e "Il vecchio e il bambino", un odore. La serata ha preso una piega internazionale, quasi sognante, con "Canzone della bambina portoghese" e l'esotica "Asia".
Quando il concerto si è avviato alla fine - con "Per quando è tardi" e "L'ultima thule" - il pubblico ne ha voluto ancora. E allora la band ha concesso il bis con l'intramontabile "Dio è morto", una canzone che di blasfemo ha soltanto il titolo (un rimando nietzschano) perché, per il resto, è un mirabile affresco sacro alla dignità dell'uomo. Quella che, forse, oggi si è persa perché alla fede - intesa in senso laico, come fiducia verso il prossimo - si è preferita la diffidenza.
I musici di Guccini alle Verrucole: magia sulle note del 'maestrone' di Modena
Scritto da andrea cosimini
Garfagnana
31 Luglio 2024
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