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Scritto da gaia pinocci
Garfagnana
26 Agosto 2024

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60 mila euro di investimento dove ne sarebbero bastate poche migliaia. Con una delibera comunale è stata approvata la realizzazione di un centro del riuso che verrà situato in Via Cavour, un’idea all’apparenza ottima, che risponde al tema, di indiscussa importanza, della lotta agli sprechi. Il problema, come spesso accade, è però il “come” si è deciso di tradurre un un buon principio in realtà.
Il progetto prevede di fatto il rifacimento di quello che è l’ex ufficio anagrafe, che verrà riadattato per costituire un centro di recupero degli abiti usati, comprensivo di una lavanderia industriale dove questi verranno lavati per poi essere, si presume, catalogati e poi eventualmente smistati.
Un’iniziativa, come dicevamo, all’apparenza encomiabile che si porta dietro diversi”però”: ad esempio, siamo veramente sicuri che si stia facendo nel modo più adeguato e che, nella caratteristica delle sue fattezze, sia una bella trovata? Per rispondere a tali interrogativi analizziamo il progetto punto per punto, cercando di capire se e come questo sia in grado (o forse no) di rispondere alle criticità che si porranno nel suo sviluppo, che secondo la nostra opinione sono principalmente due: sostenibilità economica e gestione. Andiamo con ordine. Quanto costa? Il costo totale stimato è di 60.000 euro di cui, 25.000 provenienti dai contributi ATO “Toscana Costa”, altri 25.000 da GEA S.R.L. e i rimanenti 10.000 euro saranno invece estrapolati direttamente dall’avanzo di bilancio comunale. I contributi sarebbero vincolati alla realizzazione dello specifico progetto (si legge esplicitamente nella delibera).
Prima osservazione: in campagna elettorale il costo paventato era di 50.000 euro, il che implica un errore di previsione basato su una stima inverosimile, dato che già 60.000 euro sembrano una visione particolarmente ottimistica. Seconda osservazione: sfatiamo un falso mito, i contributi non erano vincolati alla realizzazione di una lavanderia industriale, ma solo alla realizzazione di un centro del riuso (basta leggere meglio la delibera) quindi francamente non capiamo perché questa ostinazione nel comprare una supermerga-lavatrice.
Terza osservazione: menomale che finalmente viene utilizzato l’avanzo di bilancio (cogliamo l’occasione per ringraziare l’Illuminato Revisore dei Conti che finalmente ha fatto notare ciò che noi abbiamo ardentemente promulgato, ovvero che non sia buona norma tenere i soldi pubblici segregati nel deposito di Zio Paperone).
Passate queste tre “pilloline”, torniamo seri per un attimo andando un po’ più nel profondo ed iniziando col dire che 60.000 euro per un comune non sono tanti, se tale spesa migliora la vita della gente. Tuttavia, questo non vuol dire che non si debba cercare di avere una gestione più oculata possibile dei fondi pubblici, anche perché non abbiamo considerato ancora il dettaglio più importante: con cosa viene mantenuta questa struttura? I costi di gestione della nostra lavanderia sono infatti tutt’altro che trascurabili. Una lavatrice industriale da 25 kg consuma circa 6 Kwh per ciclo di lavaggio: per avere un punto di riferimento, considerate che una famiglia media di quattro persone consuma circa 8 Kwh al giorno. Possiamo quindi stimare che, qualora la lavatrice lavorasse per un’ora e mezzo al giorno consumerebbe quanto una casa. Adesso che avete un raffronto concreto potete aprire la bolletta dell’elettricità e fare i dovuti paragoni, anche se purtroppo la fine del mercato tutelato ha reso il gioco un po’ più complesso.
A questo punto, voi potreste controbattere: “Potrebbe lavorare anche meno di un’ora e mezzo al giorno!”. Potrebbe (anche se considerate che sono macchinari progettati per attività di 20 ore al giorno), ma in tal caso noi vi risponderemmo in maniera molto semplice: “Scusate, se deve lavorare meno di un’ora al giorno… Cosa la costruiamo a fare? E soprattutto, che senso avrebbe pagare i dipendenti che dovrebbero tenerla aperta?”. La questione costi non si estingue però qui, dato che tale struttura necessiterà sicuramente di dipendenti che la tengano in vita. Tale attività dovrà contemplare almeno due lavoratori, se non di più a seconda di quanto si sceglierà di lasciarla aperta. Ed è qui che i nodi vengono al pettine: chi li paga? Saranno volontari? Nodo ampiamente spinoso, ma direttamente correlato con il secondo punto critico, ovvero la gestione del centro. Secondo quanto espresso nella delibera, infatti, il tutto andrebbe in gestione ad un ente del terzo settore previa stipula di convenzione, a tal riguardo il testo però non è chiarissimo. Mentre nelle premesse si cita testualmente “…gestito per il comune dall’associazione locale Misericordia di Gallicano a mezzo di convenzione.”, nella parte successiva, ovvero quella delle approvazioni, viene dato atto al Responsabile Settore Amministrativo di provvedere “alla stipula della convenzione con l’associazione Misericordia di Gallicano o con altro ente del III° settore…”. Quindi qui abbiamo la prima ambiguità: sarà la Misericordia a gestire il centro oppure no? Provando ad interpretare ciò che non è scritto si può presupporre che la Misericordia di Gallicano abbia una sorta di “prelazione” gestionale, che tuttavia verrebbe meno nel caso in cui non si trovasse un accordo tra le parti. Ma il punto è, su cosa si basa l’accordo tra le parti? Anche per rispondere a questo interrogativo siamo costretti ad intuire ciò che non sta tra le righe, cioè che in nessuna parte dello scritto si parla delle spese di manutenzione (ordinaria e straordinaria) e sostentamento (tasse e bollette).
Questo sarà probabilmente l’argomento caldo di un necessario faccia a faccia tra i due enti, dove si dovrà stabilire a chi andranno in capo tali costi. Dal canto suo la Misericordia ha certamente una posizione di forza nella trattativa, dato che di fatto già si occupa di un progetto simile, il “progetto non spreco” di cui, fondamentalmente, la costruzione della lavanderia sarebbe una ramificazione. La Misericordia, tuttavia, non ha certamente la forza economica per accollarsi gli oneri gestionali di tutto il centro. Innanzitutto perché da quando c’è stata la riforma del III° settore gli enti di volontariato sono diventati delle vere e proprie aziende; ciò implica che, pur non potendo fare profitto, esse debbano comunque provvedere al proprio sostentamento.
Il tutto si concluderà presumibilmente con un braccio di ferro tra il comune e i vari enti, dove si cercherà probabilmente di trovare una soluzione di compartecipazione economica, che rischia però di chiudersi in una bolla di sapone, a meno che non sia il comune stesso ad accollarsi una vasta parte dei suddetti costi gestionali (intenzione che, torniamo a ripetere, dalla delibera non traspare). Il tutto va ulteriormente complicato, dovendo inserire nei conti anche le spese per la forza lavoro. Per finanziare queste ultime, si potrebbe attingere ad alcune borse regionali o statali? Teoricamente sì, se non fosse che per il momento non ne esistono di dedicate e che quelle attualmente presenti sono già utilizzate per altri scopi, sarebbe quindi necessario andare a togliere alcune forze da altre iniziative, il che, come dimostrato dalla stessa situazione CIAF, non parrebbe né semplice né vantaggioso. Anche in questo caso lo scenario più probabile è quello in cui gli oneri sarebbero ancora una volta in capo al Comune di Gallicano. E veniamo quindi alla domanda finale: Il comune è in grado di sostenere tutte queste spese, e se lo è, ha veramente senso che lo faccia? A criticare sanno fare tutti, mentre è quando si tratta di proporre che si fa la differenza.
Il punto è il seguente: ci sono dei fondi, li puoi utilizzare per ristrutturare una stanza del comune a patto che tu ci faccia un centro del riuso, benissimo, fallo. Però, una volta che lo hai fatto, perché invece che costruire una lavanderia high-tech non puoi comprarti un sanificatore da mille euro (stando larghi)? Dal punto di vista igienico-sanitario è più che accettabile come soluzione e dal punto di vista economico non necessita di grandi spese di sostentamento. A quel punto sì che avresti potuto dare la stanza al “Non Spreco”, che, in continuità con quanto
già fatto, avrebbe ampliato i suoi servizi al riuso degli abiti usati. Sarebbero bastate meno fretta e una soluzione di più semplice, che per il nostro contesto sarebbe stata più che sufficiente.
Se e come verrà messo in funzione il centro del riuso, come Battisti, lo scopriremo solo vivendo, e nell’augurio che le nostre previsioni da Cassandra si rivelino errate, Dai Voce a Gallicano vi ringrazia per il tempo che le avete dedicato. 

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