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Scritto da Redazione
Ce n'è anche per Cecco a cena
29 Aprile 2020

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Tra i tanti interventi apparsi un po' ovunque in questi quasi due mesi di lockdown e attinenti l'emergenza sanitaria, nessuno o quasi ha affrontato quello che, dopo l'emergenza economica e psicologica delle masse, è stato ed è, a nostro avviso, il risultato più evidente e devastante della cosiddetta deresponsabilizzazione della nostra classe digerente a tutti livelli: politico, amministrativo, culturale. Diciamo e scriviamo classe digerente poiché, inutile nasconderselo, essa è impegnata h24 e 365 giorni l'anno a pensare solo ed esclusivamente o quasi, ai propri istinti fagici o similari ossia primari. Il Covid-19, questo virus part-time che colpisce e, soprattutto, uccide soltanto a determinate condizioni, ma che risparmia i più giovani dai neonati agli studenti universitari compresi uomini e donne fino, almeno, alle soglie dei 50 anni, ha, letteralmente, cancellato due istituzioni fondamentali della nostra società: la scuola e la Chiesa. Soltanto in Italia il Ministero della Verità ha ritenuto di dover abbassare le saracinesche e rimandare tutto a settembre annullando esami, votazioni, meriti e demeriti. Uno straccio ancor più che una spugna, passato sopra la lavagna più importante per una civiltà che voglia restare tale. Noi non sappiamo che cosa sarebbe accaduto qualora fossimo stati, anche noi, personale docente, ma, sicuramente, ci saremmo battuti con tutte le nostre forze affinché le scuole riaprissero, Covid o non Covid, nel mese di maggio. Questo, se non altro, per lanciare un segnale.

Di resilienza ancor più che di resistenza. Dimostrare, cioè, soprattutto ai ragazzi, che una malattia, una epidemia per quanto minacciose, devono trovare nella capacità dell'essere umano di adattarsi alle difficoltà, una ragione e una spinta a non indietreggiare. Invece abbiamo, purtroppo, un ministro, tale Azzolina - per chi, come noi, ha una memoria storica accentuata e, in particolare, ricorda un periodo in cui i meriti derivavano dalle capacità e dai risultati, Azzolina Gaetano era un cardiologo e chirurgo molto conosciuto e apprezzato - il quale se non ci fa ridere è perché evitiamo accuratamente di seguirne, in Tv, le rappresentazioni. 

Un ministro della Verità che non si capisce bene cosa abbia fatto nella propria breve, data l'età, esistenza per ricoprire questo delicato ruolo che presiede alla formazione della nostra gioventù. Ebbene, è stato deciso in fretta e furia di chiudere il baule dell'istruzione e spostare tutto a settembre, una delle più grandi cazzate che ci hanno fatto vergognare davanti all'Europa e al mondo intero. I soliti italiani piagnoni, mammoni, cacasotto. Tutto vero. Da marzo a ottobre, un anno intero gettato nel cesso con tanto di diplomi di maturità che già non valevano un cazzo e che, quest'anno, varranno ancora meno e con una intera generazione che, incolpevole e attonita, apprenderà che in questo Paese basta una seria emergenza per garantire a tutti ciò che dovrebbe, al contrario, essere ottenuto con sacrificio e impegno.

Siamo, del resto, un paese di mammoni, dove si resta a casa fino ai 40 anni e si campa con i soldi dei genitori o, magari, dello stato che, dicono i pentapallati e i sinistroidi dementi, dovrebbe garantire - e daje! - tutto a tutti. 

Ma in tutto questo fermento, una domanda ci sorge spontanea: ma dove erano e dove sono gli insegnanti? Già, a fare didattica on line a distanza, la più grande delle puttanate esistenti. Non esiste scuola senza confronto visivo, senza scambio diretto, senza contatto e senza contrasto. Vogliono trasmetterci, i drogati della tecnologia, l'impressione che si può far tutto stando a casa. Come quei giornalisti che, come accade oggi, stanno con il culo sulla sedia e il telefono all'orecchio e, poi, si lamentano se non trovano notizie o non si realizzano nel mestiere. Bestie. Senza cervello.

Allora, dicevamo i docenti. Ma ne avete, per caso, sentito o letto uno in questi mesi? Tutti a casa e stop. Tutti con stipendio fisso e garantito il 27 di ogni mese per cui, in fondo, chissenefrega se non si può andare in classe, tanto i soldi arrivano lo stesso e, poi, vuoi mettere il rischio del contagio?

Già, insegnanti che rischiano il contagio e cassiere del supermercato od operai che, al contrario, lavorano senza alcun pericolo. Ma ci state prendendo in giro? La nostra convinzione è che ancora una volta la scuola ha mostrato non soltanto le sue paure, ma anche i suoi limiti e le sue colpe. L'amico Guccione ha scritto che la scuola pubblica italiana è stata tartassata e massacrata negli anni. Probabile, anzi, sicuro, ma la scuola è anche fatta da chi ci lavora e mai come in queste settimane i professori avrebbero dovuto cogliere l'attimo fuggente e rivendicare il proprio diritto a ricoprire un incarico che non è soltanto quello di insegnare una materia, ma di accompagnare verso la vita che è tutta e, purtroppo, completamente fuori dalla realtà virtuale della scuola stessa.

E' inutile negarlo: i migliori non vanno a insegnare a scuola. Domandiamoci per quale ragione. Scarsi stipendi?, nessun incentivo?, uniformità verso il basso?, assenza di riconoscimento e riconoscenza? 

La paura del Coronavirus ha fatto una strage e gli alunni sono stati rispediti al mittente: che ci pensassero i genitori. Vogliamo scommettere che se l'alternativa fosse stata tra il restare a scuola e il taglio dello stipendio di almeno la metà, sarebbero state piantate le tende all'interno degli istituti scolastici piuttosto che rischiare di rimanere a casa?

Qualcuno dirà che non abbiamo rispetto per la categoria. No, non abbiamo fiducia e la cosa è ben diversa. Così come non ce l'abbiamo in chi la amministra. Ci sono, a nostro avviso, professioni che non si fanno così, tanto per fare, ma perché crescono dentro di noi attraverso la passione e la voglia di trasmettere qualcosa che resti. Insegnare non è un lavoro come un altro, ma è molto, molto di più. In tutti i sensi. E a noi sembra che per troppi, anche se non per tutti, sia diventato, invece, un mestiere come tanti. E se ne vedono i risultati.

Veniamo, adesso, alla Chiesa, altra grande assente, di un'assenza sottile, quasi impercettibile e non percepita, ma tremendamente vera. E non è un caso che essa sia avvenuta durante il pontificato di colui che, a tutti gli effetti, è da considerare il pontefice più laico e meno attento alla sacralità dell'istituzione e dei suoi aspetti sostanziali. In tutte le emergenze sanitarie, da che esiste la Chiesa, quest'ultima, attraverso i suoi ministri, ha rappresentato una imprescindibile figura di appoggio, aiuto e sostentamento per le popolazioni. Malati e non hanno trovato, nei secoli, conforto, accoglienza, comprensione tra le mura religiose grazie alle funzioni che rappresentavano e hanno rappresentato quella liturgia indispensabile per affrontare le difficoltà dei momenti tragici dell'umanità.

In particolare si era ascoltata la voce non solo e non tanto del papa, ma quella, quotidiana e presente, vicina e insostituibile, dei sacerdoti vettori di umanità e sincera devozione. L'uomo, di fronte all'ignoto e alla morte, riscopriva la sua caducità e si affidava, proprio, a coloro che avevano il ruolo di intermediari tra la vita e la morte, tra il sacro e il profano.

Questa volta il Governo laico ha trovato nella Chiesa bergogliana un alleato fin troppo accondiscendente. Le funzioni religiose sono state annientate, dai funerali alla messa, tutto da svolgere on line o, meglio ancora, sulle Tv locali. In un essere umano che, davanti all'inspiegabile e all'ignoto, cerca e chiede qualcosa di più della Ragione e dell'Evidenza, la Chiesa sarebbe dovuta tornare alle origini e a stare in mezzo alla gente comune e ai fedeli. Così non è stato e a niente servono, crediamo, le giustificazioni sul rischio del contagio. Che, forse, ai tempi della lebbra o della peste o della Spagnola o anche dell'Asiatica le chiese e i suoi ministri erano entrati in sciopero?

Forse siamo noi a sbagliare, ma il dubbio che in questa grande emergenza sociale siano venuti a mancare l'aspetto religioso e la presenza della fede, c'è ed è grande. E' vero, il papa ha pregato da solo in piazza S. Pietro, ma il mondo non è piazza S. Pietro e la Chiesa non è solo papa Bergoglio. La secolarizzazione della Chiesa, della religione, della vita sociale ed affettiva degli individui mai è apparsa così avanzata come oggi. Merito o responsabilità della scienza oppure colpa e negligenza dei messaggeri di Cristo?

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