Siamo giunti alla decima edizione del premio giornalistico Arrigo Benedetti, che quest'anno ha visto l'assegnazione dei riconoscimenti a ottobre invece che, come di consueto, ad aprile: insigniti dell'importante attestato Riccardo Iacona e Marta Serafini, giornalisti d'inchiesta di fama internazionale.
A curare la presentazione al Teatro dei Differenti di Barga erano presenti il sindaco del comune Caterina Campani, il presidente della provincia di Lucca Luca Menesini, il nipote dell'omonimo giornalista Arrigo Benedetti e Andrea Giannasi; in platea, numerose figure istituzionali tra cui i consiglieri regionali neoeletti Mario Puppa e Valentina Mercanti e anche due classi dell’Isi Barga, accompagnate dal professore e vicepresidente Alberto Giovannetti e dalla preside Iolanda Bocci.
“La cosa più importante in questo lavoro è farsi delle domande anche quando nessuno vorrebbe porle” inizia lo storico (ed editore) Andrea Giannasi, per poi spiegare come questo premio sia stato istituito dopo che nel 2003 la famiglia di Arrigo ha donato l’intera libreria dell'autore (quasi 1400 volumi, molti con le dediche originali degli autori) alla biblioteca Fratelli Rosselli di Barga.
“Nel 2006, si tenne un convegno che aveva lo scopo di ricordare la figura del giornalista, ed è così che si è pensato a questo evento dove premiare, oltre che giornalisti affermati, anche i ragazzi delle scuole -ci racconta la sindaca- e nel tempo sono stati premiati anche molti autori impegnati nella lotta alla mafia. Ci dispiace per i nostri ospiti che la giornata, causa maltempo, non sia delle migliori, ma speriamo anche che questo sia un motivo in più per tornare a visitare questi bellissimi territori.”
A prendere la parola è poi Luca Menesini che saluta calorosamente soprattutto i giovani presenti in platea, invitandoli a informarsi in modo corretto, perché “chiunque voglia diventare giornalista, deve sapere che viviamo in un periodo storico in cui la qualità delle informazioni è essenziale.”
Al momento della premiazione, Marta Serafini (la prima a salire sul palco, giornalista d'inchiesta all'estero per il Corriere della Sera) si presenta emozionata e spiegando di avere poco tempo, a causa di un aereo in partenza da Roma diretto in Armenia nel pomeriggio: “È un onore essere qua, e ringrazio tutti per questo riconoscimento perché questo lavoro è difficile anche per ragioni economiche: è sempre più complicato andare sul campo, sia a causa dei sempre minori finanziamenti che per la velocità dell’informazione ch rende difficile fare approfondimenti, ma questo mestiere ha senso solo se viene fatto cosi. È ovviamente importante lo studio, la preparazione, il lavoro in redazione, ma il punto fondamentale è riuscire a dare voce a chi voce non ne ha, e questo si può fare solo immergendosi in queste “missioni". Anche in questo periodo di pandemia, pochissimi sono stati coloro che sono usciti a documentare sul campo quello che accadeva, per la maggior parte fotografi freelance: dove non c’è l'occhio dell'informazione, purtroppo, si diffondono le fake news d rischiamo di chiuderci ancora di più nel nostro piccolo, sottovalutando tutto quello che ci accade attorno.”
A seguire è salito sul palco Riccardo Iacona, giornalista e conduttore televisivo, che ha parlato di come uno degli strumenti più preziosi sia “l'incontro con l'altro”, l’intervista. “Nelle interviste ci sono tante facce, tante persone che si mettono a disposizione: serve un rispetto dell'altro, anche qualora abbia idee totalmente opposte alle proprie, quasi una sorta di sacralità nel momento in cui si è a parlare davanti ad una telecamera. Ovvio, ci sono numerosi tagli e correzioni, un editing dei video molto profondo prima di andare in onda un pezzo, eppure anche qualora davanti ci sia il cattivo di turno, a cui si deve esporre le sue nefandezze, alla fine della ripresa anche lui deve essere soddisfatto del risultato, deve essere certo che il suo pensiero non sia stato manipolato. Non sta a noi usare la tv come una clava, ed è questa la differenza tra un vero giornalista e uno che spezza il tutto in “bianco o nero".
Ai ragazzi qua presenti, dico che è essenziale coltivare la capacità di stare al mondo per poter raccontare delle storie, e molte cose so imparano strada facendo. Ovvio, più sei forte culturalmente prima, più ti informi, più sei attrezzato per affrontare il dopo.”
Infine, fa emergere anche tutta la sua preoccupazione per quello che lui definisce un “analfabetismo funzionale di ritorno", ovvero la sempre più scarsa capacità di sapersi focalizzare su qualcosa. “se vogliamo essere bravi giornalisti, dobbiamo riprendere a usare la testa, gli occhi, le mani, e soprattutto il cuore.”