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Scritto da Redazione
L'evento
24 Ottobre 2020

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Squilli di rivolta. Ricordate il film Tutti a casa di Luigi Comencini con Alberto Sordi nei panni dell'ufficiale che, alla fine e dopo essere fuggito all'indomani dell'8 settembre 1943, giunto a Napoli, si ribella all'inedia  e durante la sollevazione della città contro i nazisti si mette a una mitragliatrice e combatte accanto agli scugnizzi? E l'altra pellicola, girata da Nanni Loy, Le quattro giornate di Napoli sulla rivolta popolare che, dal 27 al 30 settembre 1943, cacciò i tedeschi dalla città prima dell'arrivo degli Alleati?

Ancora una volta è da Napoli che parte il grido di ribellione a quello che, a tutti gli effetti, viene percepito come un sopruso da una popolazione che, già piegata da mesi di lockdown e da una sorta di miseria  atavica, non ci sta a farsi mettere dietro le sbarre. Quello che è successo ieri sera nel capoluogo partenopeo dovrebbe rappresentare, per Giuseppe Conte e il suo Governo di pretoriani, un campanello d'allarme destinato, si spera, a far ragionare le teste pensanti (?) che dirigono, si fa per dire, questo devastato Paese.

Noi non sappiamo ancora se i mass media del Sistema Unico Dominante divulgheranno la notizia con tanto di immagini, visto che appare evidente la 'pericolosità' del contenuto che potrebbe rappresentare - e rappresenta - un esempio per tutta l'Italia e non solo visto comunque che, all'estero, a Berlino, a Londra e altrove, la gente in piazza è scesa, ma i telegiornali si sono ben guardati dal raccontarlo. Nel frattempo, però, la pubblichiamo noi dopo averla catturata sui social, questo straordinario e, a volte, devastante mezzo di comunicazione che ha reso pressoché impossibile il controllo generalizzato sulle fonti della verità oggettiva.

In Campania le misure restrittive imposte dal governatore del partito democratico De Luca hanno messo in ginocchio le classi lavoratrici a cominciare dalle partite Iva che non hanno altra alternativa, di fronte ad un nuovo lockdown, che protestare o perire. Ha ragione Diego Fusaro e noi lo dicevamo e scrivevamo già due anni fa: vogliono la guerra civile per poter, poi, intervenire e reprimere ogni conato di protesta. Costringere le persone che vivono lavorando e non hanno lo stipendio garantito come gli statali e non solo, a restare in casa o a chiudere le proprie attività anzitempo, senza dare loro il necessario per sopravvivere, equivale a ucciderli. E pazienza se l'ordine dei giornalisti ci metterà ancora sotto processo, ma è la pura e semplice verità. 

C'è una sola libertà insopprimibile anche di fronte alla peggiore delle pestilenze - e questa, ripetiamo, non lo è, anzi - ed è quella di procurarsi il necessario per provvedere a sé e alla propria famiglia. Chi impedisce questo, non può che aspettarsi una rivolta armata.

Ma attenzione, la vera novità di ieri sera è un'altra: gli agenti antisommossa schierati per reprimere i protestanti, alla fine si sono sciolti e si sono, a quanto pare, rifiutati di caricare padri e madri di famiglia, commercianti e ristoratori, gestori di bar e locali pubblici. Questo è un segnale importante. C'è un malessere evidente che serpeggia non solo tra la polizia, ma anche tra i carabinieri e ne siamo personalmente testimoni noi che riceviamo telefonate di sottufficiali e ufficiali che non vogliono fare i guardiani del Potere, ma che stanno con e per la gente comune, a cui bisogna dare ascolto perché la popolazione sta con chi difende la sua sicurezza ed è assurdo e vergognoso da parte di chi lo pensa e lo fa, cercare di mettere i tutori dell'ordine contro chi chiede solo di lavorare e procacciarsi di che vivere e ha, lo sosteniamo da sempre, ragione.

Arriva un momento, nella vita di ognuno di noi, in cui stare a guardare non è più possibile. Bisogna fare delle scelte e essere disposti a dire ciò in cui si crede. Ciò che si pensa. Ciò che si desidera, pur rispettando la legge, far conoscere agli altri. Questa è la libertà di espressione. E troppi giornalisti non lo possono fare perché dipendenti di editori e direttori responsabili che preferiscono evitare grane.

Non si può impedire alla gente di lavorare se non si garantisce il denaro necessario per condurre una vita dignitosa. Se lo si fa, si va incontro alla catastrofe. Ed è quello che sta accadendo. Facile dire agli altri di chiudersi in casa quando, a fine mese, si ha lo stipendio regolarmente accreditato sul proprio conto corrente.

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