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Scritto da andrea cosimini
L'evento
10 Dicembre 2023

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Per chi, come il sottoscritto, recita a memoria, ormai, la filmografia alleniana come le Ave Maria del rosario, recensire una nuova pellicola del regista newyorchese rischia sempre di essere una tentazione per cadere nella trappola del ‘si è ripetuto’.

Sì, Woody Allen si ripete. L’ultimo film – “Coup de Chance” (“Un Colpo di Fortuna” nella versione italiana) – rimescola nuovamente le carte giocando però sullo stesso tavolo. Quello di “Crimini e Misfatti” (1989), ripreso in “Match Point” (2005), rielaborato in “Sogni e Delitti” (2007) e ridefinito in “Irrational Man” (2015). Ancora “Delitto e Castigo”, ancora lo scrittore russo Fëdor Dostoevskij: il crimine perfetto, l’arbitrarietà della morale, il senso di colpa.

Ma c’è di più. Stavolta c’è Gustave Flaubert che ritorna. Siamo a Parigi, in Francia. Alain ha un colpo di (s)fortuna: ritrova la sua vecchia fiamma del liceo, Fanny, e se ne re-innamora. Lei, che di cognome fa Moreau (in omaggio a Frédéric Moreau, l’indimenticato protagonista de “L’Educazione Sentimentale”), è una donna in carriera ma, soprattutto, è la signora Fournier. È sposata infatti con Jean, un sinistro miliardario senza scrupoli, che ha la fissa dei treni e una strana idea di cosa sia l’amore.

Fin qui è il commediografo Allen allo stato puro: l’intreccio amoroso, il ménage à trois, le relazioni di coppia. Molto cicaleggio, tanto pettegolezzo, fiumi di bollicine e dialogo pungente. Ma fin da “Crimini e Misfatti” il regista di Manhattan ci aveva abituati a mischiare la commedia con il dramma. Ed ecco quindi il delitto che, però, a differenza di “Crimini e Misfatti” e “Match Point” stavolta non resta impunito.

Si è detto e scritto molto sul cinismo del cinema di Woody Allen. Per un po’, sembrava quasi che l’artista volesse escludere il senso di colpa dalle sue opere. Quasi che l’imperativo categorico di kantiana memoria fosse soltanto “masturbazione cerebrale” e non avesse alcuna attinenza con la realtà. Un po’ il ‘complesso di Napoleone”, per cui commettere un crimine – per certe persone – sembra quasi ammesso in nome di un presunto progresso dell’umanità.

Come in “Sogni e delitti” ed “Irrational Man”, però, stavolta il delitto prevede un castigo. Il karma? Il caso? La Provvidenza? Di certo non la legge (né quella interiore né quella civile). Non c’è pentimento. Non c’è punizione carceraria. C’è la fortuna (o sfortuna che dir si voglia) che gioca con il destino. Ma è una fortuna che, negli ultimi film di Woody Allen, sembra essere sempre più prevedibile. Una dea, tutt’altro che cieca, ma che, al contrario, ci vede benissimo. E punisce sempre il colpevole. Ha colpito i fratelli Ian e Terry, il professor Abe Lucas e ora il ricco e spietato Jean.

Ma il film – dicevamo – è anche un’educazione ai sentimenti di flaubertiano stampo. Il sentimento possessivo ed ossessivo di Jean, che considera sua moglie un “trofeo” di caccia, è quanto di più lontano possa esserci dall’amore che è riconoscere la libertà dell’altro. Woody Allen si conferma un fine intenditore della dinamica amorosa proprio come Flaubert, l’autore de L'Éducation sentimentale che – non a caso – Allan Königsberg (il vero nome di Woody Allen) inserisce nella lista dei motivi per cui vale la pena di vivere, sdraiato sul lettino nella penultima – iconica – scena del suo film capolavoro Manhattan del 1979.

Woody Allen si ripete, quindi? Sì, ma è sempre un bel ripetersi.

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