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Scritto da Redazione
L'evento
16 Gennaio 2021

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Tanto tuonò che piovve. Mohamed El Hawi, Momi per gli amici, il ristoratore fiorentino di nascita, ma di origini egiziane, cresciuto in San Frediano e titolare della pizzeria-ristorante da Tito in via Francesco Baracca a Novoli, ha mantenuto le promesse e le premesse. Non solo non ha mai chiuso da quando sono entrati in vigore i dpcm killer dell'economia e della vita degli italiani, ma, addirittura, si è unito con Antonio Alfieri, altro ristoratore di Sassuolo e con Umberto Carriera da Pesaro e, insieme, hanno organizzato una straordinaria, significativa, stratosferica iniziativa di protesta. 

#IOAPRO1501 è il loro motto e così hanno fatto, incuranti di controlli, multe, accuse, persecuzioni. In una Italia divenuta il regno degli eunuchi, ci voleva un musulmano per tenere alto il principio della libertà di lavorare e di esercitare la propria professione, unico diritto e unica libertà insopprimibili a meno che di voler precipitare in uno stato che definire dittatoriale sarebbe un eufemismo anche al confronto con il terzo reich o l'ex Urss di Stalin. 

Il tam-tam del terzetto delle meraviglie enogastronomiche - a proposito, ma dove sono finiti gli chef stellati sempre pronti a sbarcare sul piccolo schermo per gare e concorsi? - aveva annunciato l'apertura dei locali la sera a partire dal 15 gennaio, ossia ieri: aprire oggi per non chiudere mai più, questo lo slogan decisamente accattivante lanciato da Momi e dai suoi amici-colleghi. E così è stato.

Potevamo, noi, mancare all'appello? Certo che no, in nome di una disubbidienza che è anche se non soltanto il diritto a rivendicare una vita lontana anni luce dai diktat e dalle regole portate avanti da comitati tecnico-scientifici i cui componenti giocano e si divertono con algoritmi e parametri che niente hanno a che fare con la vita concreta della gente che deve vivere per poter mangiare.

Si ripropone, in tutta la sua evidenza, ma anche in tutta la sua drammaticità, l'ennesima sfida tra un paese parassitario e garantito e un altro dove la quotidianità esistenziale dipende da come ci si alza la mattina e si va a letto la sera se, cioè, si è riusciti ad alzare la saracinesca e qualcuno è venuto a  comprare quello che hai messo in vendita.

E' venerdì sera 15 gennaio e a Firenze fa freddo e soffia un vento gelido che ti entra dappertutto. In centro c'è un po' di gente, ma si sta bene e anche la mascherina non è necessaria poiché di assembramenti nemmeno l'ombra e, specie sui lungarno, si cammina a parecchia distanza gli uni dagli altri. Aria fresca nei polmoni.

Alle 19.30 siamo davanti al ristorante. C'è già una macchina dei carabinieri. 

All'interno è pieno di giornalisti, fotografi e cameramen. Momi è al centro della scena, spiega e rispiega i motivi della protesta, ribadisce la sua volontà di rispettare la legga, ma anche la convinzione che questa volontà non può andare contro i suoi principi e, in particolare, contro la necessità di dare da mangiare ai 50 dipendenti dei suoi tre locali. Il locale è in fibrillazione, i dipendenti sono stati 'educati' alla perfezione: mascherine, igienizzazione, termoscanner, moduli da compilare, pulizia dappertutto e come sempre del resto. Mohamed, in fondo, non ha mai chiuso, si è sciroppato raffiche di contravvenzioni e, adesso che si è affidato con i suoi colleghi ad uno studio legale rinomato, presenterà ricorso contro ogni sanzione ricevuta.

Stasera è full-up se si continua così. La gente arriva, famiglie, coppie, amici tutta gente che ha voglia di tornare a vivere e che si è stancata di questo virus la cui letalità è part-time e che sta avendo, come unico risultato, non la diminuzione dei contagi, ma l'aumento spropositato di coloro i quali non ce la fanno più. Né psicologicamente né economicamente.

Ci rendiamo conto di aver creato... un mostro, ma ne siamo profondamente orgogliosi. Momi si merita tutta questa attenzione. La sua serietà, la sua caparbietà, la sua simpatia e il suo coraggio ci dicono che abbiamo fatto bene a dargli voce e pubblicità facendolo conoscere anche ad altri colleghi. Adesso che è diventato, si fa per dire, una star nell'accezione più positiva del termine, riesce a dare una mano anche ai molti colleghi molto meno coraggiosi di lui alcuni dei quali, anche ieri, alla fine se la sono fatta addosso e hanno preferito tenere chiuso nonostante i proclami e la voglia di riscatto.

Bellissimo vedere la sala piena con la gente che sta a debita distanza, ma che, allo stesso tempo, sembra essere tornata a quella vita che, ad ogni costo, virologi, infettivologi ed esperti di nonsisabenecosa, vorrebbero cancellare e farci dimenticare.

A proposito, le pizze di Tito sono una meraviglia e il segreto sta nella mente e nelle mani del padre di Momi, appunto Tito, sbarcato, lui si immigrato quando nessuno immigrava, negli anni settanta dall'Egitto a Roma e, poi, a Firenze. 

Ci sono, inevitabilmente, i carabinieri, addirittura, il comandante la compagnia di Firenze, gentilissimo e assolutamente cordiale anche se inflessibile. Deve prendere nota di chi sta a cena e noi non ci pensiamo due volte e siamo i primi a farci registrare. "E' solo una questione tecnica" precisa il maresciallo. 'No problem - rispondiamo - per quel che ci riguarda e dopo 30 anni di cronaca nera e rapporti quotidiani con i militari in divisa, cosa ci sarebbe di meglio che essere arrestati da chi rispettiamo per il loro lavoro?".

Per Momi scatta la multa: 280 euro se pagata entro cinque giorni, ma il ricorso è scontato. Poi la chiusura di un giorno, ma questa è un'altra storia. Qui si apre, non si chiude.

Mohamed è felice, lo si percepisce e lo si vede. E' la sua serata e se la merita. Lo lasciamo ai suoi avventori e, dopo aver degustato la sua pizza, salutiamo e ce ne andiamo. Siamo anche noi in trincea, sempre dalla parte di rema controcorrente.

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