Il secondo collegio del consiglio di disciplina dell'ordine dei giornalisti del Lazio ha deliberato oggi riguardo ad un esposto presentato dalla giornalista Chiara Buratti proprio nei confronti del direttore delle Gazzette.
Oggetto della contestazione, un titolo di un articolo del 9 dicembre scorso pubblicato su La Gazzetta di Viareggio: "Marocchino scippa un dipendente Sea e cade nel canale di Burlamacca, ricerche a tappeto". La Buratti ha denunciato una violazione di quanto raccomandato dalla 'Carta di Roma', protocollo deontologico concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti.
La ricorrente infatti, aveva evidenziato come "si dovrebbe ricorrere con maggiore responsabilità e consapevolezza alla citazione della nazionalità, dell'etnia, della razza, delle origini, della religione o dello status giuridico per descrivere il protagonista di un fatto di cronaca", perché menzionare tali elementi in un titolo potrebbero "incidere gravemente sulla convivenza civile e alimentare in modo pericoloso pulsioni razziste e xenofobe presenti nella nostra società"
L'ordine dei giornalisti, dopo un'attenta analisi, ha constatato come non si possa "ritenere che il termine 'marocchino' sia utilizzato in questo caso sicuramente in modo discriminatorio, o per scatenare pulsioni razziste o xenofobe". Citando l'articolo 7 del Testo unico dei doveri del giornalista che specifica come vada "evitata la diffusione di informazioni imprecise, sommarie o distorte riguardo a richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta migranti", il consiglio di disciplina ha dichiarato che "nel testo dell'articolo non si evince che si tratti o meno di un rifugiato o di un migrante ('un uomo di origini marocchine'), non ci sono elementi atti a identificarlo, ma si specifica soltanto per l'appunto la sua nazionalità, senza apparenti speculazioni di sorta".
Votando all'unanimità, la decisione è stata quella di archiviare l'esposto contro Aldo Grandi. "Questo collegio – si legge nella delibera finale - ritiene che non possa essere provato un intento discriminatorio nel termine utilizzato nella titolazione oggetto dell'esposto e non rileva altre violazioni deontologiche.