Una storia che fa accapponare la pelle. Da brividi. Una bimba, Luce, affetta da una malattia genetica rara e due eroici genitori, Reina Raffo e Luca Battiloni, che ogni giorno lottano affinché la loro piccola creatura possa, quantomeno, sperare nella sperimentazione di un farmaco.
C’è da rimanere impotenti di fronte a certe ingiustizie della vita.
Sindrome Chops: così si chiama. Nella letteratura scientifica si annoverano solo 13 casi. Rara, rarissima. E, per questo, difficile anche da diagnosticare. Solo l’atavico istinto di una madre e di un padre può superare, in certi casi, il responso medico. Non darsi vinti, spingersi oltre. Anche a costo di compiere sacrifici insostenibili, immensi.
“Quando Luce è nata – confida la mamma, Reina -, ho dovuto cambiare tre pediatri della mutua prima di sentirmi dire, da un privato, che c’era qualcosa di grosso. Gli altri sostenevano che fossi io a volerla vedere sempre malata”. A sette mesi, infatti, la bimba non riusciva a tenere su il collo. La notte dormiva 10 minuti, poi si svegliava di colpo urlando. Di continuo. Probabilmente la bimba sentiva che non respirava e così si metteva a piangere. Una fortuna, col senno di poi: è ciò che l’ha salvata dalla morte in culla.
A due anni mezzo, Luce era già ricoverata d’urgenza, nel reparto di rianimazione, dell’ospedale pediatrico Meyer di Firenze. Era l’8 marzo 2010. Luce si trovava, praticamente, in coma. “Svenne in casa – ricorda la madre – e perse conoscenza. Per fortuna ero a casa. La caricai subito in macchina e la portai immediatamente all’ospedale perché avevo capito che c’era qualcosa di grave. Due neuro-psichiatri diversi, ai quali ci eravamo rivolti in precedenza, avevano fatto la solita diagnosi: iperlassità legamentosa. Ma - sia noi che il nostro pediatra - sentivamo che non poteva essere solo quella la malattia. La bimba soffocava”.
Uscita dalla rianimazione al Meyer, Luce è stata infatti trasferita nella pediatria dove sono state effettuate tutte le analisi del caso. “La saturazione era arrivata a 56. Stava malissimo. Non si sa come si sia salvata. L’hanno presa per i capelli. Una roccia” riporta la mamma. Pericolo scampato? No: il 10 maggio la piccola è tornata a casa ma, tempo appena quattro giorni, è stata di nuovo ricoverata. “A tre anni, in ospedale, Luce si stava spegnendo – racconta, con voce rotta, la madre -. L’ossigeno non le arrivava ai polmoni. Per fortuna, una donna lì presente ci consigliò di chiamare una neurologa dell’ospedale Cisanello di Pisa. La sua diagnosi fu: miastenia. Ci inviò il farmaco, che tutt’ora la bimba assume (il Mestinon)”.
Fino a sei anni, insomma, la piccola Luce è dovuta restare a casa, lontana dagli altri bambini, con bombola d’ossigeno, respiratore, pulsossimetro, saturimetro e Ambu. Un’infanzia diversa. Il rischio di infezioni era alto: un semplice raffreddore poteva costarle la vita. “A sei anni – spiega Reina -, invece che entrare in prima elementare, è stata inserita all’asilo perché doveva ancora imparare a stare con i bambini. A ottobre è entrata, ma a febbraio ne è subito uscita perché ricoverata con polmonite necrotizzante da aspirazione”.
Nel 2017, a 10 anni, Luce era ancora in balia di diagnosi sbagliate. La bimba si sentiva sempre male. I problemi respiratori rimanevano gravi. Le fu diagnosticata allora la Sindrome di Melas: una patologia, anch’essa rara e degenerativa, che si esplicita con gli ictus fino a che non arriva l’ultimo, quello fatale. “Dopo la diagnosi – continua la mamma -, siamo andati da un grande luminare, a pagamento, il quale ha saputo dirci solo che esistono due tipi di genitori: quelli con accanimento terapeutico e quelli con accanimento diagnostico”.
Sensibilità zero. “Io e mio marito, però, non abbiamo mai perso la speranza – dichiara Reina -. Abbiamo iniziato a guardare all’estero ed abbiamo scoperto che il Texas Children Hospital di Houston era specializzato in malattie genetiche e mitocondriali – la Melas rientra tra queste ultime. Così abbiamo contattato il genetista dell’istituto e gli abbiamo inviato tutte le cartelle cliniche di Luce. Per prima cosa, il dottore ci ha confermato che non si trattava di Sindrome di Melas. La bimba aveva un polimorfismo”.
L’unica cosa che è stata promessa alla coppia, però, è una diagnosi accurata. Per il resto, si poteva solo sperare che esistesse un trial o una sperimentazione nella quale inserirla. “Con questa consapevolezza nel cuore – afferma la giovane madre -, ci siamo armati di bagagli e siamo partiti, a nostre spese, per l’America. Se ci fosse stato comunicato che c’era una sperimentazione, io e la bimba ci saremmo fermate là, mentre mio marito sarebbe tornato in Italia per lavorare e mandarci i soldi”.
La diagnosi è arrivata in 25 giorni: Sindrome di Chops, appunto. Era l’agosto del 2017. La fine di un calvario, l’inizio di un altro. Quello della ricerca di un farmaco da sperimentare. “In California c’è un laboratorio che farebbe questa ricerca farmaceutica – conclude Reina -, ma ci vogliono 300 mila euro. Nessuno ce li dà, dobbiamo trovarli noi genitori. Trovato il farmaco, bisognerà poi fare la sperimentazione. E ci vorranno altri soldi. Impossibile farcela da soli. Per questo abbiamo attivato una raccolta fondi (un crowd-funding) e chiediamo l’aiuto di tutti”.
Reina, amministratrice del gruppo famiglie del Meyer, risiede da 20 anni a Montecatini Terme, ma tre giorni alla settimana li passa con Luce a Marina di Carrara per permetterle di respirare l’aria di mare e di effettuare le terapie necessarie presso un centro privato della zona. La piccola è ora in terza media: una ragazzina felice, gioiosa con gli altri bimbi - anche se, ovviamente, si esprime in modo diverso.
A luglio farà 16 anni.
Ecco il link dove donare: https://www.gofundme.com/f/un-aiuto-per-mario. Mario è un altro bimbo che, come Luce, ha scoperto da poco di essere affetto dalla stessa sindrome rara. Una donazione – seppur piccola – può farli sentire meno soli in questa dura battaglia per l’esistenza.
Bimba affetta da Sindrome Chops, il calvario dei genitori: “Un aiuto per Luce e non solo”
Scritto da andrea cosimini
L'evento
07 Aprile 2023
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