Gli organizzatori di “Mont’Alfonso sotto le stelle” non potevano di certo aspettarsi che in un venerdì di inizio agosto potesse abbattersi su Castelnuovo un clima di tipo autunnale. Il freddo era a tratti pungente, specialmente su in fortezza, ma questo non ha di certo fatto desistere le centinaia di persone che avevano acquistato il biglietto, circa settecento, ad assistere al quinto appuntamento della kermesse garfagnina. L’atmosfera era di certo più rilassata di quella di due giorni fa con Gianni Morandi, e non erano pochi i giacchetti pesanti e persino qualche ombrello di precauzione. Eppure, l’ospite di serata, il giornalista e scrittore Marco Travaglio, è riuscito a scaldare la platea col suo solito aplomb e le sue battute che oscillano sempre tra il caustico e il sagace.
Lo spettacolo, o per meglio dire monologo, di Travaglio, dal nome “I migliori danni della nostra vita”, si è composto di una carrellata di eventi, aneddoti e riflessioni, senza ombra di dubbio “a malincuore” tragicomici, sul percorso politico che ha permesso alla coalizione di destra guidata da Fratelli d’Italia e da Giorgia Meloni di raggiungere la maggioranza di governo e di decidere dunque le sorti del paese per i prossimi anni.
Le battute del giornalista piemontese si sprecano: da il “Marcio su Roma” alla “Destra asociale”, senza ovviamente dimenticare i “Berluscloni” e i “Fascisti” trasformatisi piuttosto in “Affaristi”. Il pubblico vive in una continua oscillazione tra applausi convinti e risate a volte smodate, ma, nonostante ciò, la satira di Travaglio potrebbe essere facilmente accostabile all’umorismo di pirandelliana memoria: sul momento la battuta o la scena non possono che far ridere, ma basta poco affinché il riso si trasformi in smorfia e in una riflessione dolorosa su un quotidiano che, volente o nolente, ci riguarda in modo diretto.
Il racconto dell’attuale direttore del “Fatto Quotidiano” ha rappresentato le storture, le contraddizioni e persino le idiosincrasie di una classe politica che, a dispetto di continui proclami sul rinnovamento, propone sempre e costantemente gli stessi “figuri” da oltre trent’anni, supportando in tal mondo il mantenimento di uno status quo tutt’altro che virtuoso (o, come lo definisce lo stesso Travaglio, un “Pilota automatico”).
I “padroni”, come spiega il giornalista, a braccetto con numerose testate “compiacenti”, indirizzano in modo irreversibile il giudizio degli elettori verso una realtà molto spesso inconsistente (e in alcuni casi persino inesistente), stroncando qualsiasi tipo di cambiamento e perorando con forza un mondo gattopardesco in cui tutto cambia affinché niente cambi.
Travaglio fa numerosi esempi: dalla lista dei ministri del nuovo governo (abbattuti uno dopo l’altro con una satira tagliente e mai banale) agli errori degli ultimi quindici anni di quelli che dovrebbero essere gli “avversari” ma che in realtà non fanno altro che lo stesso gioco.
In questo scenario, anche informarsi meglio è diventato una chimera, e il cittadino non può far altro che districarsi in un mare di uscite scadenti, notizie a metà e la costante ansia di una guerra continua che va ben oltre il fronte russo-ucraino.
Se Travaglio non fosse così dissacrante e riempisse la sua narrazione di costanti giochi di parole, ci sarebbe poco da ridere e molto da piangere, ma alla fine è come si ci fossimo amaramente abituati a questo siparietto che si gioca sulla pelle dei cittadini.
Dopotutto, se la politica italiana è uno spettacolo, è pur sempre vero che The show must go on.