Gli appuntamenti enogastronomici che ogni settimana o quasi la coppia Soledad-Stefano organizzano nel loro ristorante di via del Fosso 94 hanno, tutti, un minimo comune denominatore: il locale è, infatti, completo e anche questa volta, quella andata in onda giovedì 31 marzo, almeno una quindicina di avventori interessati sono stati gentilmente invitati a ripassare perché il locale era full-up.
Saranno i piatti della padrona di casa, tipici di una cucina lucchese e toscana d'altri tempi e a chilometro zero ricca di passione e voglia di accoglienza; saranno i modi, l'ospitalità, la profonda cultura enologica che il padrone di casa immette nella sua professione, fatto sta che ogniqualvolta si varca la porta di questo ristorante un tempo sui dolci colli di Gattaiola e, adesso, in zona San Franesco, si ha, netta, la sensazione di intraprendere un viaggio in un altro evo.
Il posto, infatti, trasmette calore a prima vista e a immediato impatto. Due le sale la seconda molto ampia e divisa in dfue ambienti comunicanti sia pure ad altezze lievemente differenti. Pareti di un colore tiepido, ma di quel giallo capace di trasmettere sensazioni a volte dimenticate e che fanno a cazzotti con gli spesso freddi colori dei ristoranti new-age si fa per dire.
Conosciamo Stefano e sua moglie da una vita e, forse, anche qualcosa di più e ne sappiamo abbastanza per poter tranquillamente dire, senza timore di smentite, della grande, grandissima voglia di crescere e di diventare una sorta di eccellenza gastronomica tipica della cucina locale. Qui si mangia bene che vuol dire, perdonateci l'eufemismo, si mangia. Il bene è insito nel piatyto non appena compare sotto gli occhi e sulla tavola. Di nuovelle cuisine, a queste latitudini, c'è ben poco per fortuna: c'è, al contrario e casomai, della vielle cusine, molto, ma molto meglio.
Questa serata ha un ospite particolare, in realtà una famiglia che è, da tempo immemore, amica di Stefano e di sua moglie e che gestisce, dal 2003, un'azienda agricola e un agriturismo che si trovano nel territorio comunale di Borgo a Mozzano, Casa Macea, due ettari coltivati a vigna e capaci di produrre degli ottimi vini biodinamici che sono offerti durante la cena e che accompagnano le pietanze preparate in cucina e servite da uno staff giovane e desideroso di ben figurare. Tentativo riuscito senza ombra di dubbio.
"Nel nostro agriturismo - ha spiegato Cipriano Barsanti che, con il fratello Antonio, maestro di musica di flauto traverso alla scuola media di San Concordio - stiamo portando avanti un progetto di valorizzazione del nostro territorio e delle potenzialità viticole di questa area.
Sono queste montagne che rendono questo posto così particolare. I nostri vigneti variano dai 150 ai 350 metri ma la conformazione della valle fa si che le precipitazioni siano copiose, le escursioni termiche fortissime in estate, con giornate calde e notti molto fresche. I vitigni coltivati sono: Pinot Nero, Pinot Grigio e Sauvignon Blanc impiantati da noi a partire dal 1999. Nei vigneti più vecchi di oltre 50 anni di età abbiamo invece gli uvaggi tradizionali della zona. Da questi vecchi vigneti produciamo il Campo di Macea Rosso e Bianco
Dal 2003 lavoriamo seguendo il metodo biodinamico".
C'è un vino, in particolare, che ci ha colpito in positivo e che consigliamo vivamente: è il Macea Pinot Gris 2020, un nettare dal colore meravigliosamente vitale e gioioso che trasmette sensazioni al palato non facili da trovare. Non è un bollicine e nemmeno il classico rosé, ma ha le potenzialità di entrambi e anche qualcosa di più. Provatelo se potete.
Non possiamo, tuttavia, non soffermarci sui piatti che hanno fatto da cornice alle bottiglie dell'azienda agricola Macea: a cominciare dal formaggio di pecora di Pierpaolo Piagneri fuso su polenta di formentone otto file, frittatina di asparagi selvatici e manzo marinato. Quest'ultimo davvero meritevole e anche la polenta un sapore particolare tipico del prodotto.
I primi piatti hanno contemplato maltagliati alle tre farine al profumo di primavera (piselli, baccelli, asparagi) e qui abbiamo fatto il bis perché non è vero che a tutto c'è un limite. In cucina, spesso, no. E' stata poi la volta dei ravioli di papavero con burro artigianale di Pierpaolo Piagneri e parmigiano reggiano 38 mesi: una delicatezza infinita.
I secondi ci hanno deliziato in primis con lo stinco di scottona con pisellini freschi arrivato insieme al coniglio ripieno con insalatine di campo. Ora, non a tutti piace la carne di coniglio e, a dire la verità, in molti le preferiscono quella di pollo. Ebbene, noi non siamo tra questi. Il coniglio se cucinato bene, è sublime.
Quando eravamo degli aficionados del Mecenate a Gattaiola, Stefano e Soledad sapevano che, nella stagione giusta, a fine pasto non poteva mancare sul tavolo la loro meravigliosa zuppetta di buccellato con crema e fragole. Era un must che non abbiamo poi, più ritrovato facilmente, ma che giovedì sera era a chiusura della serata. Purtroppo e con grande rammarico, abbiamo dovuto abbandonare la tavola proprio prima del déssert e di questo ci siamo scusati e ci scusiamo anche ora. Siamo certi che chi è rimasto, ha goduto eccome se ha goduto.