In occasione della festa della Toscana, Barga oggi ha celebrato, presso la Fondazione Ricci Onlus, questo evento con una manifestazione ufficiale, organizzata dalla stessa Fondazione, l'Unitre e l'Istituto Storico Lucchese, con il patrocinio della Regione Toscana e del comune di Barga.
Dalle ore 15 è stato possibile assistere alla proiezione del documentario sull'alluvione di Firenze “La città ferita" di Folco Quilici, autore il Barghigiano Antonio Mordini.
Il tema è stato quest'anno “Dal Rinascimento al Granducato”, ed è stato introdotto parlando di come il documentario che narra della ripresa di Firenze sia oggi più che mai attuale “perché in questo periodo siamo in un momento in cui dobbiamo ricrederci e ricostruire, siamo in una guerra senza armi e bisogna affrontarla, puntando sulla nostra terra: c'è bisogno di persone che credano nelle proprie radici e in ciò che abbiamo.”
È stata poi fatta un'analisi di due diverse vicende, accompagnate da numerose immagini, dai relatori Elisabetta Stumpo e Alberto Giovannetti (doveva essere presente anche Manuel Rossi, ma purtroppo a causa di un'influenza è stato impossibilitato).
La prima, Elisabetta, ci ha raccontato di come la cultura oggi abbia un ruolo fondamentale: bisogna infatti ringraziare la Toscana, che anche oggigiorno si è dimostrata una delle regioni che ha puntato di più sulla calma e sulla conoscenza per sconfiggere la paura, dilagante oggi, chiedendo quindi di tenere aperte scuole e luoghi pubblici, contrastando l’isteria, in molti casi immotivata, che si respira attualmente.
“Il mio intervento- ci dice- si ricollega alla figura di Cosimo I de'Medici, divenuto Granduca di Firenze negli ultimi anni del sui potere, alla fine di una politica molto ambiziosa, rendendo così lo stato Toscano, nel 1500, uno dei più importanti in Europa.”
Si susseguono quindi immagini dell'assedio di Firenze (che portò alla fine della repubblica e all'inizio del Granducato), ritratti sfarzosi e dipinti autocelebrativi dello stesso Cosimo, la maggior parte dei quali sono affreschi dell’illustre Giorgio Vasari, oggi conservati all'interno di Palazzo Vecchio, ex residenza proprio del Granduca, scelto da lui proprio per rappresentare il potere e promulgare la sua immagine pubblica. Un dibattito quindi sulle incongruenze giuridiche riguardo al titolo ottenuto da Cosimo, ma anche dei pericoli subiti da Firenze che era costantemente a rischio di perdere la propria indipendenza, finendo poi per sottomettere molte altre città (non ci riuscì con Lucca, ma con Siena sì).
A seguire, Alberto Giovanetti ha parlato di varie questioni giuridiche in ordine alla pena di morte: di fatti, il granducato di Toscana fu il primo stato ad abolire la pena di morte, ponendo la prima pietra per una catena di progressi giuridici: “ad oggi -racconta Alberto- sono quasi 60 su 193 i paesi aderenti all'ONU: sebbene alcuni ordinamenti siano lontani da noi, altri come gli USA sono democratici e progressisti. Nel corso dei secoli infatti ci sono stati sempre numerosi fautori convinti della sua necessità, come molti altri contrari, ed è strano pensare che le argomentazioni a favore o contro sono le stesse di qualche secolo fa.
Cesare Beccaria fu il primo, in questo contesto, a stravolgere il diritto penale: parlò dell'assoluta inutilità della pena di morte, non attraverso un discorso morale e filosofico ma puramente giuridico. Nel 1764 già parlava di come fosse inutile in un sistema giuridico moderno la pena capitale, e prospettava varie giustificazioni.
Nella prima affermava che lo stato nasce perché ognuno di noi affida allo stato parte della propria libertà per vivere civilmente, ma questa delega non affida allo stato la vita dell'individuo, e quindi non è possibile arrivare alla pena di morte. Non è nemmeno un deterrente, e questo ce lo insegna la storia. L'onda d'urto che provocarono le sue tesi a livello europeo, già a partire da pochi mesi dopo, provoca subito un contrasto giurisprudenziale con alcune teorie giudicate impensabili (poiché si metteva in dubbio la podestà dello stato, che deve “tagliare tralci secchi”). Per molti versi, anche l'atteggiamento della chiesa si intromise nelle leggi, con una forte componente a favore della pena capitale, spesso abusata per scopi politici Ad appoggiare le tesi di Beccaria furono i fratelli Verri, che da Milano tentarono di difenderlo dalle accuse di infamia contro lo stato.
Infine, nel 1785 in Toscana iniziano i lavori preparatori per la rivisitazione del diritto penale: quindi a Pietro Leopoldo, duca in quel periodo, va riconosciuto il primato di aver totalmente eliminato la pena di morte, sebbene qualche anno dopo fu ristabilita.”