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"Garfagnana Terra Unica, quelli del palco... Grazie a tutti"
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Come e perché fare testamento solidale
Esistono donazioni da poter fare nel presente e donazioni che valgono invece per il futuro. É il caso del testamento solidale, conosciuto…
Itinerari subacquei all'Isola d'Elba: dove e quando fare immersioni indimenticabili
L’Isola d’Elba è una delle perle dell’Arcipelago Toscano, famosa per le sue spiagge, i borghi storici e la sua natura incontaminata
Un nuovo rischio online: le bot farm
Ogni strumento, anche il più innocuo che possa essere stato creato, può rivelarsi dannoso se utilizzato in maniera impropria. E nello sconfinato mondo online questo genere di rischio è sempre all’ordine del giorno
La Juventus di Thiago Motta può tenere testa all’Inter di Simone Inzaghi?
Siamo soltanto alla terza giornata di Serie A, eppure già ci si interroga su quale squadra sarà la vincitrice del tricolore 2024-2025. Se il…
"Chiusa la scuola di Fabbriche di Vallico, tutta colpa di Giannini"
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa lettera inviataci da un gruppo di residenti sulla chiusura della scuola di Fabbriche di Vallico: Arrivati all' nizio dell' anno scolastico è…
Andrea Campani va in pensione: "Un saluto alla scuola al... rovescio"
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa lettera di Andrea Campani che dal 31 agosto è andato in pensione dopo aver trascorso gli ultimi sette anni della sua carriera come assistente amministrativo addetto alla didattica presso il Comprensivo di Borgo a Mozzano
I giochi in Toscana, fra tradizione e modernità
La Toscana è una delle regioni italiane più apprezzate a livello internazionale; non è un caso che in ogni periodo dell’anno, anche nei mesi più freddi, venga presa d’assalto da…
Convegno su San Pellegrino in Alpe: digitalizzazione e accessibilità dei documenti storici
La conservazione e la valorizzazione del patrimonio storico sono temi di grande rilevanza in Italia. Recentemente, si è tenuto un convegno a…
Navigare nel mercato del lavoro nella Valle del Serchio: opportunità e crescita professionale
La Valle del Serchio, incastonata nel cuore della Toscana, non è solo una regione ricca di bellezze naturali e patrimonio culturale, ma anche un fiorente centro…
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Ci sono condanne che lasciano non pochi angoli deserti e rendono complicato silenziare i fantasmi del dubbio. Sono le storie che iniziano da una fine o, per meglio dire, da un fine pena mai. La vicenda giudiziaria che torno a raccontarvi è quella di Michele Buoninconti.
Quando ricostruisco i casi di cronaca, ormai lo sapete, mi attengo sempre agli incartamenti processuali, per fornire un quadro quanto più chiaro ed oggettivo possibile, prescindendo così da quella più vasta “assise” rappresentante dall’opinione pubblica.
Per formazione accademica, io sono prima di tutto donna di legge, e – come già ho avuto modo di anticiparvi – ritengo che Buoninconti sia tutto fuorché colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio. Si è voluto rappresentare il pompiere di Costigliole d’Asti come marito ipertrofico, possessivo ed autoritario nei confronti non solo della moglie ma anche dei figli. Un marito che quella mattina del 24 gennaio del 2014, avrebbe strangolato e buttato nel Rio Mersa la moglie Elena Ceste.
Sempre alla ricerca di verità e giustizia, prima di riproporre tutti i punti oscuri della vicenda, voglio dare voce a Michele Buoninconti in ordine alle recenti dichiarazioni di Franco Ceste, padre di Elena. Qualche settimana fa quest’ultimo, per il tramite di un noto settimanale, ha accusato il genero di non aver mai versato un euro per provvedere al mantenimento dei figli. Circostanza smentita dalle contabili dei bonifici bancari. Ebbene, il pompiere di Costigliole d’Asti da quando è detenuto ha versato ai figli una somma pari a 9. 744, 58 euro. Un importo non di poco conto considerando che il Buoninconti non lavora e si trova attualmente detenuto nel carcere di Alghero. Ingiustamente peraltro. Le sentenze riguardanti le condanne di Buoninconti sono accessibili a tutti in rete e chi ha un po' di dimestichezza col diritto si renderà subito conto che mancano i criteri che l’ordinamento penale italiano esige per condannare un imputato “al fine pena mai”.
Elena Ceste, 36 anni e quattro figli, viveva in una piccola città di provincia. Di mestiere faceva la casalinga, sempre pronta ad accudire la casa e la prole. Nessuno, tanto meno la sottoscritta, può permettersi di giudicare le modalità con cui ciascuno sceglie di condurre la propria vita. Tuttavia, di fronte ad un giudicato così pesante, non è possibile fare “selezione all’ingresso” quanto agli elementi fattuali. In fondo, quando qualcuno scompare – soprattutto in un piccolo Paese – ha immediatamente diritto ad una biografia. Quindi diamo a Cesare ciò che è di Cesare. Elena Ceste, ritrovata cadavere il 18 ottobre 2014, non era propriamente osservante i vincoli matrimoniali. Ne avevamo già parlato, la signora infatti frequentava diversi uomini che accoglieva addirittura in casa in assenza dei figli e del marito. Queste non sono chiacchiere da bar, ma trovate tutto cristallizzato nelle sentenze.
Elena Ceste, i giorni prima della sua scomparsa, era profondamente afflitta e versava in uno stato di profonda confusione e turbamento emotivo dettato dalle dicerie di Paese. Oramai le sue scappatelle erano divenute di dominio pubblico dopo che le telecamere di un centro commerciale l’avevano ripresa mentre si appartava in macchina con Gian Domenico Altamura, uno dei suoi amanti. E di questo conflitto interiore ne aveva fatto parola anche con il parroco Don Zappino, al quale aveva espresso tutte le sue preoccupazioni in ordine a ciò che si raccontava in giro. Elena non dormiva sogni tranquilli per le sue relazioni extraconiugali e, anzi, proprio a quell’Altamura, qualche mese prima della scomparsa, aveva inviato un messaggio – anch’esso agli atti – molto significativo: “hai creato in me una violenza psicologica che porta al suicidio ti definivi rimbambito per essere gentile io provo solo pietà di fronte al male ho la pazienza che mi rende forte e i miei figli che mi danno la vita”. Parlare delle condizioni psicofisiche di Elena Ceste è emblematico per spiegare il motivo per i quale la pena inflitta a Michele Buoninconti non risponda al criterio previsto dall’art. 533 del codice di procedura penale per il quale “il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio”.
In tal senso, e ribadisco anche per voi che avete sposato la tesi colpevolista e state leggendo queste righe, consulenti di accusa e difesa concordano sull’impossibilità di stabilire la causa di morte della Ceste. La Corte da un lato non ci pensa due volte ad escludere – come sostenuto dalla difesa – l’assideramento ma, al contempo, nega la possibilità di affermare con certezza che si sia trattato di asfissia.
Per giustificare la sua tesi, l’Assise ricorre a mio avviso ad un sillogismo aristotelico. Di seguito un breve estratto: “I medici legali dott. Romanazzi e dott.ssa Maria Gugliuzza, pur precisando che lo stato dei resti, che non presentavano lesioni ossee evidenti, non era tale da evidenziare con certezza la causa della morte, erano tuttavia pervenuti alla conclusione di attribuirla ad asfissia non avendo concreta possibilità di essere sostenuta ogni ipotesi alternativa”. (pag. 10, sentenza Corte D’Assise d’ Appello di Torino).
Seguendo un simile ragionamento, e quindi considerando la conclusione cui sono pervenuti i giudici, potrebbe assumere pari valenza anche la seguente affermazione: “il treno soffia, Anna soffia, dunque Anna è un treno”.
O vivo in un mondo parallelo oppure non credo di essere un treno. Mi seguite?
Ancora qualche pillola di diritto penale. Nell’ordinamento giuridico italiano vige il principio de “in dubbio pro reo” in forza del quale nelle situazioni in cui non è possibile attribuire con certezza un fatto all’imputato (per esempio, in caso di insufficienza di prove), è opportuno privilegiare la soluzione più favorevole allo stesso.
Tiriamo le somme. Nel caso della Ceste, non solo non è possibile stabilire la causa di morte, ma sul corpo della donna non sono state trovate né ferite compatibili con arma da taglio né tanto meno ferite riconducibili all’esplosione di un’arma da fuoco. Questi dati, pur senza riscontro scientifico, sono ritenuti sufficienti dall’accusa per attribuire l’azione omicidiaria a Buoninconti. La causa di morte non si può stabilire però sicuramente è stato il marito a strangolarla.
Ma andiamo oltre. Carte alla mano gli amanti della donna, Antonio Ricchiuto, Damiano Silipo e il già menzionato Altamura, si intrattenevano con la signora Ceste e la situazione era ormai di dominio pubblico. Partendo dal presupposto che tutti e tre la mattina della scomparsa hanno un alibi di ferro, non può passare inosservato lo stato d’animo in cui Elena versava da mesi. Questa infatti aveva confessato le sue preoccupazioni non soltanto nel messaggio rivolto all’Altamura di cui sopra vi ho parlato, ma aveva paventato il timore di essere seguita e spiata anche a Don Zappino.
Spiega l’investigatore privato Cannella – che attualmente coordina il pool difensivo – “la sera dell’omicidio Michele aveva ritrovato Elena riversa a terra mentre si tirava in pugni in testa, preoccupata perché un uomo l’aveva fotografata vicino ad una cava ove si era appartata insieme ad un amico”.
Nessuno può sfuggire alla legge della coscienza, a maggior ragione una madre turbata per la possibilità che i suoi quattro figli vengano a sapere delle relazioni che intrattiene con altri uomini, facendoli addirittura entrare nella loro dimora.
C’è un’altra peculiare circostanza. I suoi vestiti la mattina della scomparsa sono stati ritrovati nel cortile di casa. A mio avviso, non è inverosimile affermare che la donna, in preda ad una profonda crisi, si sia volontariamente allontanata da casa. Gli stessi figli hanno raccontato che quella mattina erano stati accompagnati a scuola dal padre perché la madre non si sentiva bene.
Altro aspetto fallace della vicenda giudiziaria è sicuramente la mancata indagine del DNA, che in una circostanza come questa avrebbe potuto essere dirimente. Data l’impossibilità scientifica di stabilire la causa di morte, perché non si è tentato di isolare eventuali profili genetici presenti sulla scena?
Un’indagine un po' troppo superficiale è stata anche quella condotta sugli indumenti rinvenuti. L’esiguità del materiale non ha infatti consentito un’accurata analisi che conducesse a risultati certi. Sul punto concordano ancora accusa e difesa. Tuttavia, ai fini della condanna, i giudici scrivono “ben lungi dal rappresentare una prova dirimente”, il materiale ritrovato su pantaloni e collant repertati in giardino è compatibile con quello delle rive del Rio Mersa (luogo del ritrovamento del cadavere della Sig. Ceste).
Ci sono troppe cose che proprio non tornano. La Falco Investigazioni e il biologo forense D’orio stanno lavorando ad un’ipotesi alternativa ma per il momento si limitano a dichiarare “di non potersi spingere verso dichiarazioni specifiche per evitare di compromettere l’esito delle indagini difensive in corso, tanto tradizionali quanto scientifiche”.
E allora provo a concludere io riassumendo le risultanze in atti. Mancano le tempistiche per un omicidio. Manca la prova del DNA. Manca la causa di morte. Da giurista non posso negarvi che nutro seri dubbi su tale condanna. Ricordate, la colpevolezza dell’imputato deve essere infatti affermata “al di là di ogni ragionevole dubbio” e ricordate altresì che, laddove residuino incertezze, vige il principio riassunto nel brocardo “in dubbio pro reo”.
L’unica certezza oggi è che Michele sta scontando trent’anni nel carcere di Alghero e lo fa senza ricevere dai figli neppure una cartolina. Buoninconti, e anche di questo pochi sanno, prima del tragico evento, aveva ricevuto in eredità un’importante somma di denaro e l’aveva impiegata per aprire quattro conti correnti in favore dei figli versando per ciascuno 10.000 euro. Figli che hanno chiuso qualsiasi tipo di rapporto con il padre dal momento dell’arresto. Figli che però, contrariamente alle recenti dichiarazioni, hanno ricevuto bonifici bancari fino al 4 luglio 2016.
In foto la criminologa Anna Vagli
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Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa lettera di Mario Giuseppe Coltelli, presidente della sezione ENAL CACCIA PT di Vagli, in merito alla vicenda degli ibridi uccisi durante una battuta di caccia in zona “Penna del Sasso”.
“Non mi sono mai pronunciato sulla vicenda dell’uccisione di cinque maialini a Vagli, come riportato negli articoli di giornale di questi giorni, ma, dopo aver attentamente letto ed essermi documentato, ho ritenuto che fosse giusto dire la mia in merito, sia come presidente della locale sezione ENAL CACCIA PT di Vagli Sotto sia come ex responsabile della squadra di caccia al cinghiale n. 40 ovvero la squadra di Vagli.
Credo che, come prima cosa, ci sia da rimarcare come la minoranza consigliare, sempre attenta agli eventi che avvengono sul territorio comunale, abbia raccontato quello che è successo, ma sono rimasto stupito dalle risposte date dall’attuale responsabile della squadra di cinghiale quando, in un articolo della Gazzetta del Serchio di giovedì 19 dicembre, afferma: “Sottolineo inoltre che non si è trattato di maialini ma di maiali senza un padrone scappati dal bioparco……. e ancora l’unico animale che è stato ammazzato in quel modo (a pugnalate) è un animale che era ferito e cascato sulla strada asfaltata”; poi in un successivo articolo apparso su un giornale il 20 dicembre si cerca di riparare alle affermazioni fatte in precedenza. Non credo che gli articoli siano farina del suo sacco, ma siano stati scritti da qualche “luminare” che peraltro non sa nemmeno quello che dice non conoscendo la materia e quindi scrivendo delle assolute inesattezze, ma so che le affermazioni fatte alla stampa hanno trascinato nel ridicolo e anche in conseguenze che probabilmente arriveranno un’intera squadra forse ignara di quello che stava accadendo.
Apprezzo con immenso piacere che il comune di Vagli Sotto non abbia autorizzato alcun tipo di abbattimento con alcun atto, come affermato dal vice sindaco, e che venga così reso ridicolo quel cacciatore che ha affermato davanti ad altri cacciatori che si era recato in comune per ritirare l’autorizzazione per effettuare l’abbattimento e la cacciata in una zona dove certamente gli organi preposti dovrebbero provvedere a chiudere l’attività venatoria, visto che in quell’area, “Penna del Sasso”, esiste una chiusa di proprietà A.S.B.U.C. ed insiste un’attrazione qual è il Volo dell’Angelo che, a detta degli amministratori comunali, richiama centinaia di migliaia di visitatori; quindi come si può pensare di cacciare in quell’area dove, oltretutto, passa una strada sterrata dove transitano mezzi della Vagli Park che portano le centinaia di migliaia di persone al volo?
Facciamo un passo indietro, nel mese di ottobre, una signora di Vagli, che ha subito notevoli danni nei pressi della propria abitazione e addirittura anche nelle immediate vicinanze della stessa, si era recata presso gli uffici A.T.C. per chiedere spiegazioni e le funzionarie le avevano consigliato di aprire un NUI (numero unico d’intervento) presso la Regione, la quale avrebbe poi investito l’ATC Lucca 12, che a sua volta doveva contattare i cacciatori iscritti al registro per la caccia in Art. 37, comunicare i nominativi alla polizia provinciale che sotto la sua sorveglianza avrebbe provveduto all’abbattimento dei cinghiali, non certo dei maiali (che essendo fuggiti dal bio parco, come affermato, era più opportuno catturare e riportare all’interno dello stesso), una volta abbattuti i cinghiali sarebbero stati trasportati nel C.S. (centro di sosta) a Pescia. Ora, una tale operazione avrebbe fatto sì che venissero segnalati danni anche nel distretto 14 (nel territorio di Vagli) con la conseguenza che anche nel nostro comune venissero istituite aree non vocate (nelle quali viene preclusa la caccia in braccata); probabilmente, per evitare questo, il responsabile della squadra di caccia al cinghiale ha comunicato all’ATC Lucca 12 che avrebbe proceduto con la squadra in braccata, quindi di non attivare il NUI. Così è stato, si è proceduto in braccata e peraltro neanche con tutta la squadra, visto che come alcuni cacciatori mi hanno riferito, neanche sono stati avvisati.
A fronte di tutto ciò mi domando: ma che senso aveva affermare che la squadra era autorizzata dall’ATC o, ancor peggio, dal Corpo Forestale dello Stato o Forestali Provinciali, come riportato negli articoli, visto che questi organi non hanno il potere di autorizzare quel tipo di abbattimenti? Ne è la dimostrazione la secca smentita del presidente ATC nell’articolo apparso sulla Gazzetta del Serchio del 20 dicembre, ATC che credo dovrà tutelarsi anche nelle sedi legali competenti contro le affermazioni false nel caso non vengano ritrattate e smentite.
Per chiudere queste mie considerazioni in merito, vorrei esortare il responsabile della squadra a fare più attenzione nella gestione della stessa ormai ridotta al 40 per cento di cacciatori residenti e 60 per cento di cacciatori non residenti, e non sciupare un “giocattolino” creato dal sottoscritto assieme ai cacciatori di Vagli con tanto sacrificio e che ora si sta rompendo, anzi è rotto e, forse, irreparabilmente. Inoltre lo esorto a rileggersi bene la normativa che non prevede di portare in battuta o alle postazioni, persone che non sono in possesso della regolare licenza di caccia; mi auguro che ciò non accada, o meglio che non sia accaduto, per il bene di tutti, ma in particolare per il bene di una squadra che certo non merita tutto questo”.