Erano in molti a scommettere che sarebbe stato lui il vero mattatore di questa edizione di “Mont’Alfonso Sotto le Stelle”, e Giorgio Panariello non ha minimamente tradito le aspettative. Nella spettacolare cornice della fortezza castelnovese, il comico toscano ha imbastito un vero e proprio one man show, intrattenendo – con la solita maestria – una platea di quasi millecinquecento persone per più di due ore.
Panariello è sempre lo stesso: non sembra passato un giorno dai suoi successi su RaiUno, e il pubblico, nel vederlo, viene colto da dolci ricordi che hanno il gusto di primi Anni Duemila.
La sua prossemica, il suo modo di porsi agli spettatori – che tanto ricorda quello delle nostre zone – sono un cocktail vincente su tutta la linea.
Non si pensi però ad un’interminabile trafila di sketch o imitazioni celebri; ovviamente non sono mancate, ma servivano da accompagnamento, per aggiungere un sorriso alla storia – privata e artistica – del comico dagli Anni 60’ fino ai giorni nostri.
Attraverso i suoi personaggi più iconici, come Merigo, Mario il Bagnino, il PR del Kitikaka, Renato Zero, Naomo, Lello Splendor e Sirvano detto il “Vaia”, Panariello ha passato in rassegna buona parte della sua vita: l’infanzia dura ma felice, i lavori al porto e come cameriere, le difficoltà per raggiungere il successo, fino all’amicizia con Carlo Conti e l’approdo nello Showbusiness che conta.
Una vera e propria epopea, raccontata per decenni, in cui si intravede un Panariello inedito, più intimo e pensieroso, propenso a ragionare col pubblico su sé stesso e la sue scelte, decostruendo ogni episodio tra una risata strappata e una lacrima di nostalgia.
Persino lui – con sguardo tra il serio e il faceto – l’ha definita una vera e propria “Terapia di gruppo”, in cui c’è stato spazio anche per lo straziante e dolcissimo ricordo per il fratello Franco, venuto a mancare undici anni fa.
Uno spettacolo vero, in cui l’artista e il pubblico parevano vicinissimi, attratti e vogliosi di appartenere a quello strano sentimento chiamato nostalgia. Panariello usa il potere del ricordo, rimanendone però sommerso esso stesso, e spesso si perde sognante – assieme agli spettatori – a ricordare quadri di un’Italia che non c’è più: la dipinge come più bella, più libera, più spontanea, e sono molti coloro che lo seguono nel suo rimembrare.
Chi non ripensa alla propria giovinezza con dolcezza e passione? Ogni epoca è bella se quando scorre siamo ancora un po’ ingenui da farcela scivolare addosso, ma è altrettanto vero che non tutti saprebbero fartela vedere come – ieri sera – ha fatto Giorgio Panariello.