Prendere spunto dai luoghi del cuori dell’infanzia, immersi nel verde della Garfagnana, per poi narrare l’emigrazione compiuta negli Stati Uniti di fine ottocento dai propri nonni, immedesimando il lettore nelle condizioni con cui hanno dovuto fare i conti molti nostri connazionali. È questo in sintesi lo scopo cercato e centrato dal libro “Il profumo dell’Elicriso”, edito da Maria Pacini Fazzi e seconda “fatica” letteraria di Guglielmo Franchi, noto assicuratore lucchese, che verrà presentato a Castelnuovo di Garfagnana quest’oggi (venerdì 1 ottobre nda) alle 17.30 presso la “Sala Suffredini”. L’introduzione sarà ad opera del sindaco Andrea Tagliasacchi mentre la presentazione spetterà al professor Umberto Sereni.
L’autore, che porta il nome del nonno paterno mai conosciuto e scomparso a Boston nel 1939, ha tratteggiato un ritratto della capitale del Massachusetts di inizio XX secolo, terrà sì ricca di opportunità, con il classico sogno americano a far breccia nell’immaginario collettivo, per gli emigranti italiani. Questi hanno dovuto compiere innumerevoli sacrifici per assicurare un futuro ai propri figli. Attraverso una minuziosa opera di ricerca bibliografica e usufruendo dei ricordi tramandati dai propri parenti, Guglielmo Franchi, che nel 2014 aveva scritto “Memorie di un esodo” relativamente alle vicende dei dalmati e degli istriani durante la seconda guerra mondiale, ha dato vita ad una pubblicazione che ha reso merito a quelle figure, tra cui il professor Rudolph J.Vecoli, che hanno fatto sì che non si disperdesse il filo del ricordo tra le diverse generazioni.
“Ho scelto questo titolo poiché l’intenso profumo di questo fiore, tipicamente garfagnino, mi ha riportato alla mente le estati che trascorrevo nella casa dei miei nonni.”- ha precisato Guglielmo Franchi- “Il legame con Lupinaia per il sottoscritto si è rafforzato di anno in anno.”
Come le è nata l’idea di scrivere libro su una tematica così importante per l’Italia di fine ottocento?
Tutto comincia dalla casa di mia nonna a Lupinaia (frazione del comune di Fosciandora) dove trovai da bambino una bandiera statunitense, un paio di guanti e una mazza da baseball, oggetti di mio padre che era nato a Boston. Questo, unito ai racconti dei miei parenti che erano emigrati oltreoceano, ha fatto sì che tale storia fosse dentro di me da 70 anni. Ho cercato dapprima di raccontare i luoghi, i motivi e gli aspetti della vita dei miei parenti per poi allargare lo sguardo verso i pregi e i difetti della società americana dell’epoca, considerata fa molti emigranti, non solo italiani, come una sorta di terra promessa. È stato anche un nuovo viaggio all’interno delle radici della mia famiglia che ha compiuto un tragitto di andata e di ritorno comune a tante nuclei famigliari di quell’epoca. Il libro è diviso in due parti: nella prima ho raccontato le vicende della mia famiglia mentre nella seconda ho posto la lente di ingrandimento sul ruolo di supporto agli emigranti svolto dalla chiesa e dagli anarchici.
Quali furono le principali difficoltà con cui dovettero fare i conti?
Considerando il fatto che i miei parenti a Boston vissero con tutti gli altri connazionali nel North End (il quartiere Little Italy di Boston nda) nelle cosiddette tenements, ossia le case popolari, gli italiani subirono diverse forme di sfruttamento. Oltre che dai datori di lavori, anche i banchisti, deputati a spedire in Italia alle famiglie i risparmi frutto di molti sacrifici, se ne approfittavano della situazione. Più di una volta quei soldi non sono mai arrivati a destinazione. Anche i lavoratori bostoniani non vedevano di buon occhio i colleghi italiani poiché temevano che questa ondata di nuova forza lavoro, compresi gli emigranti provenienti dall’est Europa, facesse perdere loro il buon livello di remunerazione che avevano raggiunto. Credo che si possa spiegare così il fatto che la seconda generazione di italiani negli Usa, per la gran parte dei casi, non abbia deciso di riannodare i fili con il proprio passato. Fortunatamente ciò è cambiato con la terza e quarta generazione, veramente dedite alla ricerca delle proprie radici.
Da chi arrivò un concreto aiuto per migliorare la loro vita quotidiana?
Dalla chiesa che, su impulso di Papa Leone XIII, si interessò del problema dell’immigrazione con un intervento ampio sia da parte dei cappellani di bordo che dalle molte congregazioni nate allo scopo fino all’opera di singoli religiosi. Basti pensare, solo per citarne alcuni, a Maria Francesca Cabrini, Pietro Bandini e Francesco Zaboglio. In tal senso un ruolo fondamentale lo svolsero anche gli anarchici che spinsero le famiglie a far valere i loro diritti da lavoratori, troppo spesso non proprio rispettati dagli imprenditori, facendoli conoscere l’utilità di scioperi, comizi e altre manifestazioni.
Nella seconda parte del suo libro ha dato grande risalto a quei personaggi, alcuni toscani, che hanno giocato, più o meno in tempi recenti, un ruolo importante per la vita degli italiani negli Usa
Mi è sembrato doveroso menzionare questi soggetti, tra cui l’anarchico abruzzese Carlo Tresca e il professore Rudolph J.Vecoli, separati da una certa distanza temporale ma che hanno fornito un prezioso contributo. Vecoli, di origine livornese, tenne una conferenza a Lucca nella quale sottolineò la differente concezione della famiglia, vista come un punto di riferimento, tra l’Italia e il mondo anglosassone dove tantissimi giovani lasciano il nucleo famigliare a 15-16 anni per aprirsi al mondo. Si tratta di una semplice nozione per fotografare in maniera precisa le differenze che intercorrono tra le due società.”