Che cosa ci rende cittadini di una nazione? Le qualità elencabili sono numerose, e vanno dalla lingua alla cucina, dalla storia ufficiale alla memoria, dalla cultura popolare fino ai più semplici gesti che contraddistinguono la vita di tutti i giorni.
Vivere ed essere parte di un paese è dunque un bagaglio non da poco, che ci pervade fin da piccoli, ma cosa succede quando, per forza di cose, apparteniamo a due o più mondi diversi?
È come essere presenti e assenti in due posti nello stesso momento, un incontro-scontro che necessita di un gran lavoro di sintesi per trovare un equilibrio tra le diverse anime e i diversi modi di sentire.
Pegah Moshir Pour, attivista di origine iraniana ma ormai trapiantata in Italia da oltre venti anni, sa bene cosa significa questa “lotta” che accomuna i cittadini italiani di recente migrazione o di seconda e terza generazione: il percorso verso l’integrazione è irto di stereotipi e diffidenze, ma anche in grado di darti delle conoscenze e delle capacità fondamentali nel mondo iperconnesso e multiculturale di oggi.
Pegah, però, non è semplicemente una donna che ha deciso di fare del Belpaese la sua casa: è prima di tutto, e come già accennato, un’attivista per i diritti umani e digitali, in prima fila nella divulgazione attraverso i social delle proteste che imperversano in Iran dalla morte della giovane Mahsa Jina Amini e che stanno facendo scricchiolare il regime del terrore della guida suprema Ali Khamenei.
Le sue attività e collaborazioni, che vanno dai TedTalk agli incontri nelle scuole, hanno ormai assunto risonanza nazionale e internazionale, e non è un caso che la stessa Pegah sia stata premiata, a Palazzo Montecitorio, con lo Standout Woman Award e l’inserimento nella lista dei 100 innovatori e innovatrici che hanno fatto la differenza nel 2022 di StartupItalia, senza dimenticare l’ospitata al Festival di Sanremo, accanto a Drusilla Foer, in cui ha recitato i versi divenuti iconici nella nuova rivoluzione iraniana: donna, vita, libertà.
Tra i vari incontri che la impegnano in giro per lo Stivale, nella serata di ieri Moshir Pour ha fatto tappa anche nella Valle del Serchio, a Borgo a Mozzano per l’esattezza, in veste di ospite speciale per il secondo appuntamento stagionale del Teatro di Verzura, giunto ormai alla sua diciassettesima edizione.
L’attivista italo-iraniana, affiancata dall’assessore alle pari opportunità Roberta Motroni e dal sindaco di Borgo a Mozzano Patrizio Andreuccetti, non si è certo risparmiata nel rispondere alle numerose domande poste sia dai due “moderatori” che dai numerosi spettatori, tra cui spiccavano gli studenti delle scuole medie locali e numerose associazioni del territorio, prolungando la seconda serata del “Verzura” fino alle porte della mezzanotte.
Le tematica principe, nemmeno a dirlo, è stata l’attuale situazione dell’Iran a otto mesi dalla morte di Amini e le conseguenti e perduranti manifestazioni di dissenso: tra censura, omicidi e furiosa repressione, Moshir Pour sciorina numerosi “aneddoti” dolorosi e cruenti, che ben esemplificano la violenza e la pressione psicologica e fisica del regime iraniano sulla popolazione: potrebbe sembrare uno scenario senza via d’uscita, ma quegli stessi racconti mettono ancora più in risalto l’incredibile coraggio e la determinazione dei tanti, tantissimi cittadini, e specialmente cittadine, persiani che rischiano ogni giorno la vita immaginandosi un paese migliore e più libero.
Una lotta di civiltà e diritti straordinaria, che non può e non deve essere dimenticata dal mondo occidentale e dai suoi media, troppo spesso propensi a mettere in secondo piano quelle battaglie che si combattono a latitudini considerate troppo “remote” per prestargli un’attenzione prolungata.
Conquistare dei diritti è difficilissimo, spiega Pegah, ma per perderli a volte basta un attimo: la situazione iraniana deve aprire, per l’attivista, una riflessione anche nel nostro paese, e sulle sfide che lo aspettano nei prossimi anni.
Infatti, la disparità di genere, la discriminazione delle minoranze e il pericolo di derive autoritarie interessano anche le nazioni più economicamente e socialmente avanzate, e nonostante la libertà di espressione permetta di fare costantemente passi in avanti la strada per una società egualitaria in tutte le sue accezione sembra ancora distante.
Durante la serata c’è stata l’opportunità di discutere su altre tematiche, come il percorso di vita di Moshir Pour dal suo arrivo a nove anni in Basilicata, le discriminazioni di genere nel nostro paese e la problematica del bullismo nelle scuole, con ovviamente qualche curiosità sull’esperienza sanremese.
I ragazzi delle scuole medie, impegnati per mesi nel progetto intitolato per l’occasione “intorno a Pegah”, con la loro timidezza hanno strappato più di un sorriso all’ospite della serata, mentre gli operatori delle cooperative delle associazioni si sono confrontati sulle difficoltà dell’integrazione e la possibilità di nuovi punti di vista.
La partecipazione, da entrambi le parti del palco, è stata tanta, ma forse il momento più emotivamente impattante è stato il “regalo” di Sharifa, una giovane rifugiata afgana residente al Borgo, a Pegah: una poesia scritta di suo pugno, che Moshir Pour ha deciso di leggere al termine dell’evento. I versi di Sharifa trasmettono esperienze difficili, rapporti violenti e soprattutto l’impossibilità di essere di sé stessa. Le ferite di un passato doloroso non potranno mai rimarginarsi del tutto, ma un futuro più radioso potrebbe essere in grado di dar loro un nuovo significato.