Niente è stato spiegato; eppure, tutto è rimasto impresso in modo indelebile.
Fare una due-giorni con lo stesso evento poteva essere una scommessa per gli organizzatori della stagione teatrale barghigiana, ma visti i risultati di pubblico, e la qualità di ciò che è stato proposto, ben vengano le repliche!
“Paradiso XXXIII”, lo spettacolo ideato e interpretato da Elio Germano e Teho Teardo, è infatti riuscito a conquistare anche gli abbonati più scettici, e ha portato in Mediavalle una narrazione teatrale innovativa di cui si sentiva davvero bisogno.
Non c’è stato bisogno di sceneggiature chilometriche e ore di quieta seduta sulle poltrone del teatro: solo sessanta minuti, il tempo che Teardo e Germano impiegano per mettere in scena il trentatreesimo canto del Paradiso di Dante, tra sequenze di immagini ad alto impatto visivo, suoni incalzanti e solenni e un’interpretazione attoriale superba.
I due erano stati chiarissimi anche nell’incontro nel foyer del teatro prima della replica: “Riporteremo in modo fedele lo scritto dantesco, senza parafrasi. Ogni scelta è stata fatta rispetto al testo originale, e lo spettacolo vuole essere una restituzione fedele e divulgativa di una delle parti meno conosciute dell’opera di Dante”, e grazie ad un approccio immersivo, in cui la corporeità di Germano, le musiche di Teardo e il groviglio di luci e immagini stroboscopiche si univano in modo inseparabile, hanno creato i presupposti per un viaggio di pura esperienza, in cui persino le terzine del sommo poeta tremavano nelle labbra dell’attore.
Sessanta minuti, come detto, ma che sono riusciti ad espandersi fino a diventare una meravigliosa eternità: le atmosfere cupe hanno fatto pian piano spazio a visioni mirabili di pura luce e mandala di ogni colore, i versi di Dante si ripetevano come un mantra e passavano dalla voce di Germano agli speaker del teatro, il violoncello di Laura Bisceglia e la viola di Chiara Michelangeli sapevano legarsi alla perfezione ai ritmi a tratti incalzanti a tratti maestosi di Teardo, una regia (a cura di Simone Ferrari e Lulu Helbaek) in grado di essere tramite perfetto per qualcosa che è impossibile comunicare.
Una vera e propria allucinazione di grazia, un inno alla spiritualità slegata da ogni forma e canone prestabilito, un mirabolante gioco di tecnologie e strumentazioni utili per far rivivere e rendere carne le parole di un uomo che le immaginò e provo e imprimerle nell’inchiostro più di settecento anni fa.
Elio Germano, nell’incontro nel foyer, aveva definito la cantica del Paradiso come la “Storia di un fallimento”, poiché Dante deve constatare a malincuore che non esistono parole per descrivere l’immensità di ciò che vede.
Una resa di fronte allo scoglio insuperabile dell’incomunicabilità, ma forse la più pura e sentita rappresentazione della divinità a memoria d’uomo: i corpi, le immagini e suoni di “Paradiso XXXIII” hanno aiutato a svelare un pelo di più l’arcano, e capire che forse il sommo poeta ci aveva già detto tutto: bastava solo “accendere” la luce.